Geriatria e gerontologia
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Geragogia psicosociale - 2  

Non vi è stata, per molti degli attuali anziani, una reale possibilità se non per qualche raro autodidatta di aprirsi alle nuove idee, ai problemi emergenti, restando così impotenti di fronte all'incalzare dei nuovi modelli culturali e nei confronti dei continui e tumultuosi cambiamenti sociali. Si tratta di un modello di società, il nostro, notoriamente finalizzato ad una produzione crescente e continua, basato oltre che su questo su valori come l'efficientismo, il carrierismo, il giovanilismo e l'avvenirismo, dove il metro di giudizio più comune si fonda su ciò che uno ha, piuttosto che su ciò che uno è, ed è altrettanto noto che l'anziano pensionato di solito è colui che ha di meno. È evidente, inoltre, che l'avvicinamento dell'adulto alla settima decade della vita conduce inevitabilmente verso una doppia crisi: quella postparentale, come abbiamo visto, e quella del pensionamento, aggravata anche dalle passate spinte sindacali verso un abbassamento dell'età produttiva, fatta eccezione per alcune recenti proposte di segno contrario.

La condizione adulta, di conseguenza, va verso una graduale restrizione, per la presenza di una condizione giovanile sempre più protratta nel tempo (fino al trentesimo anno di età, e oltre) e di una condizione anziana che si è andata abbassando negli ultimi anni, come abbiamo appena sottolineato,facendo emergere una particolare situazione socioeconomica che consente all'adulto, ben pagato, di mantenere contemporaneamente fuori dal ciclo produttivo giovani e anziani. Ecco allora emergere le contraddizioni di questa società in progresso: alti livelli di benessere e crescenti aliquote di emarginazione, massimo tasso di efficientismo e spreco di esperienze individuali. In particolare, la disfunzionalità dell'anziano rispetto al sistema non è un fatto accidentale, non voluto e pertanto facilmente eliminabile, bensì la fredda programmazione di un evento che è deciso ed accettato socialmente, in quanto i crescenti livelli di benessere esigono che nella corsa al successo i ritardatari paghino il costo con l'esclusione.

Anzi, è proprio questo evento che ne permette altri come l'accesso al ciclo produttivo riservato ai giovaniadulti, la concorrenza spietata e la selezione naturale. In una parola, l'esclusione degli anziani consente una quota maggiore di fruizione sociale agli adulti ed ai giovani più dotati o più fortunati. In questo contesto la situazione degli anziani, oltre che corrispondere ad una assoluta marginalità, ha ben poche speranze di essere cambiata dal suo interno: "uno degli aspetti più disperati della situazione dei vecchi diceva Simone de Beauvoir è la loro impotenza a modificarla". La domanda che sorge spontanea, a questo punto, riguarda il particolare stato dell'anziano dopo il pensionamento e può essere formulata nel modo che segue: la terza età equivale a perdita di ruoli? Probabilmente si perchè la nostra vita acquista significato anche per i ruoli che siamo chiamati a ricoprire nella comunità di appartenenza e comunque nella vita sociale. E ciascun ruolo è tanto più significativo quanto più ampio è il riconoscimento che gli viene assegnato dal contesto sociale. È necessario tenere sempre presente, a questo proposito, che alcuni ruoli sono fondamentali nel determinare il tipo di integrazione personale e sociale e che nella società attuale i criteri predominanti intorno ai quali si costituiscono i ruoli fondamentali sono quelli economici e familiari, per cui, se si vuole mantenere positivamente il concetto di sè nelle varie età e fasi della vita è necessario che l'autoimmagine sia socialmente accettata nei suoi ruoli da gruppi di riferimento che riconoscano tali ruoli e attestino la bontà dell'autoimmagine.

Ora l'uomo nella sua anzianità ma forse fin dal pensionamento che non sempre può essere identificato con l'anzianità viene a perdere molti ruoli. Innanzitutto perde il ruolo di lavoratoreproduttore, significativo e fondamentale nella società consumistica, anche se vi sono spesso nette differenze in rapporto ai vari tipi di lavoro e di reddito. Infatti, il contenuto "etico" che da sempre siamo stati abituati ad attribuire al lavoro si è talmente dilatato (e maggiormente quanto più il lavoro è gratificante) che quando, per invalidità o vecchiaia, esso viene irrimediabilmente perduto, nascono spesso gravi traumi psicologici derivanti da un profondo senso di inutilità sociale. Inoltre va osservato che il ruolo di genitore (madre e padre), assunto in modo naturale e quasi inconscio, determina all'interno della famiglia una scala di valori di cui l'importanza è a tutti nota, per cui la perdita del ruolo decisionale e di guida nella famiglia, sebbene si instauri gradualmente, è avvertita spesso con grave senso di frustazione.

Va rilevato che non è sufficiente a compensare questa perdita, la funzione subalterna, spesso delegata e di comodo, in quanto non riconosciuta in genere come educativa in senso lato, ma solo come funzione di supporto al nucleo familiare. Non parliamo poi dei ruoli economici e sociali nell'ambito comunitario, che vengono perduti con il pensionamento in maniera tanto più drammatica quanto più erano in precedenza gratificanti. Il problema quindi dell'adattamento alla vecchiaia ed al pensionamento è strettamente collegato all'esistenza di uno "status" e di ruoli nuovi che siano chiaramente e positivamente definiti, attraverso i quali le persone possano trovare una sostituzione per le loro attività ed interessi precedenti. Succede invece che la perdita di ruoli viene per lo più aggravata nell'anziano dal fatto che ad essi non ne vengono sostituiti di altri.

Lo stesso ruolo di anziano, se così lo possiamo definire, è un ruolo vuoto, nel senso che le aspettative nei suoi confronti da parte delle diverse componenti sociali sono vaghe, se non inesistenti, e quindi con scarse possibilità per l'individuo di costruire un'immagine positiva di sè. È infatti l'inconsistenza e l'ambiguità dei ruoli permessi socialmente all'anziano che ne rende facile l'emarginazione. In linea generale, dunque, più che di un ruolo vuoto, si tratta di un ruolo con assenza di ruolo, di un ruolonon ruolo. La conseguenza di ciò è spesso una caduta di "status", più o meno evidente, contrastando tale processo con quanto avveniva nella società contadina, in cui il prestigio di un individuo poteva addirittura crescere con l'aumentare dell'età, mentre oggi l'ossequio per tutto ciò che è nuovo porta a trascurare in ogni campo l'immagine dell'individuo anziano.

E la causa di tutto ciò si situa a monte del momento in cui la perdita di ruolo si verifica. In realtà è discutibile già il trattamento che la società infligge alla maggioranza dei suoi membri fin dal tempo della loro giovinezza e maturità; la sorte che essa riserva, poi, a coloro che sono diventati inattivi, dimostra che li ha sempre considerati in precedenza come un bene materiale, da cui ha cercato di ottenere il massimo profitto. Non si può non essere d'accordo con la de Beauvoir quando afferma che un uomo può rimanere tale nella vecchiaia solo quando è stato sempre trattato da uomo. C'è da chiedersi, a questo punto, se il futuro degli anziani è proprio senza speranza, se nulla è possibile fare per cambiare questo stato di cose, se non sono possibili, oggi, nuovi ruoli sociali nei quali gli anziani possano mantenere quella dignità di cui godevano da adulti. D'altra parte, la modifica dei ruoli non dovrebbe essere considerata di per sè un impoverimento dell'individuo, ma piuttosto uno sviluppo logico della vita, in quanto lasciare un ruolo significa fondamentalmente aver assolto il proprio compito.

Ed è proprio in questa prospettiva che può e deve inserirsi la geragogia. Se infatti il processo di invecchiamento si presenta come un processo di trasferimento in un ruolo che si caratterizza per l'assenza di qualsiasi ruolo, nessun utile adattamento è possibile per l'individuo che diventa anziano. Per poter affrontare con precisione e senza ambiguità questo argomento l'insegnamento geragogico deve prefiggersi e percorrere alcune direttrici operative che tengano conto della natura umana e delle dimensioni sociali della vecchiaia. L'uomo è di per sè pervaso da un'incommensurabile energia vitale che lo spinge ad una continua ricerca della felicità, di cui la vita, e non la morte, è il metro di misura; ogni uomo è irripetibile, nel senso che Qualcuno lo ha pensato diverso da ogni altro essere umano. La diversità è dunque la sua naturale espressione, mentre socialità ed organizzazione agiscono soltanto come complemento della sua personalità. Dunque il sostanziale desiderio di uguaglianza tra tutti gli esseri deve essere integrato nella consapevolezza che la diversità significa ricchezza sociale ed arricchimento globale, e che il desiderio di uguaglianza equivale a momento di confronto e di integrazione reciproca. Il lavoro non può essere l'unico criterio con cui l'uomo misura la sua intima essenza, anche se è una necessità umana, ricca di dignità e significato. Infatti l'essenza umana si caratterizza per un impegno sociale in cui fatica, saggezza, riflessione, cultura, lavoro manuale e mentale, giovinezza e vecchiaia apportano un loro specifico contributo.

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