È necessario, pertanto, che il geriatra nella sua funzione
di geragogo s'impegni a pubblicizzare il più possibile presso
la popolazione anziana i vantaggi delle terapie psico e fisioattivanti
e delle varie tecniche di terapia occupazionale. Tali metodiche
si prefiggono lo scopo di prevenire e d'interrompere l'ipocinesia
e la tendenza alla sedentarietà, così tipiche della vecchiaia
e spesso conseguenza di una cattiva cultura precedente più
che di una patologia degenerativa muscoloscheletrica legata
alla senilizzazione. Le terapie fisio e psicoattivanti, che
si integrano a vicenda come s'è detto in precedenza, esercitano
un benefico effetto globale mediante meccanismi multipli che
si traducono in una influenza positiva sugli apparati cardiovascolare
e respiratorio, in un miglioramento del tono e del trofismo
muscolare, in una diminuzione del frequente sovrappeso, in
un'azione riequilibrante sul sistema neuroendocrino, in un
miglioramento del tono dell'umore e delle funzioni mentali
superiori, sia per le variazioni positive del flusso ematico
cerebrale che per l'influenza benefica che la socializzazione
determina, nel lavoro di gruppo, a livello psicoemotivo.
Anche le varie tecniche di terapia occupazionale vantano
effetti positivi sulla psicomotricità del soggetto anziano
educandolo a compiere atti motori finalizzati che, salvaguardandone
l'autosufficienza, completano i risultati della fisiokinesiterapia
ed agiscono positivamente, tra l'altro, sul senso di autostima.
Il quesito che potrebbe sorgere a questo punto riguarda la
figura del geragogo, di chi debba assumersi cioè il compito
di educare in senso geragogico gli individui di qualsiasi
età, sulla base di quelle convinzioni, ormai diffuse ed accettate
dalla maggioranza dei gerontologi, secondo cui l'uomo deve
intendersi come un'entità globale, che richiede pertanto un
approccio educativo globale, e la vita deve valutarsi come
un continuum, su cui positivamente può influire un'educazione
che inizi nell'infanzia e prosegua in modo permanente durante
tutte le fasi dell'esistenza, senza pregiudizi ingiustificati
sulla potenzialità di apprendimento di chi non è più giovane.
Benchè l'instaurarsi di una nuova mentalità in questo campo,
frutto di una nuova cultura, riguardi un po' tutti gli aspetti
antropologici e non solo quello relativo alla salute, si deve
in sostanza ritenere che, per gli stretti legami esistenti
fra l'impostazione geragogica dell'educazione alla salute
e la scienza medica, spetti anzitutto ai medici ed agli operatori
sanitari in generale di diffondere i presupposti educazionali
per l'attuazione di questo nuovo modello di vita. Fra i medici,
poi, sembra di potere individuare soprattutto in coloro che
esercitano l'attività "di base" e quella internistica ospedaliera,oltre
ai geriatri naturalmente, l'asse portante dell'educazione
geragogica. Sono appunto costoro che, per il numero di anziani
con cui vengono a contatto e per la vastità dei problemi loro
sottoposti, si trovano nella condizione migliore per scoprire
la via di comunicazione tramite cui far giungere al paziente
l'insegnamento geragogico. Appare necessario, ovviamente,
che questi operatori sanitari, per primi, siano posti nella
condizione di farsi un sufficiente bagaglio geragogico e possiedano,
inoltre, la vocazione per affrontare un impegno tanto gravoso.
Se ci chiediamo, a questo punto, a chi spetti di preparare
il gerogogo, dobbiamo senza incertezze rispondere che tale
compito spetta istituzionalmente alla struttura universitaria.
È questa infatti per tradizione il nucleo della ricerca,
il centro di ogni approfondimento scientifico e la sede formativa
di chiunque tenda ad una professionalità sostanziale. Nel
caso particolare appare indispensabile che nel corso di laurea
in medicina e chirurgia venga inserito come insegnamento fondamentale
la gerontologia, intesa nel senso più vasto del termine, e
quindi anche l'aggregazione geragogica, in posizione non eccentrica
o marginale, ma come istituzione propedeutica basilare alla
prassi della medicina preventiva. Sarebbe del resto auspicabile
che anche in altri corsi di laurea, scientifici ed umanistici,
si facesse strada l'insegnamento geragogico per lo meno nella
sua impostazione generale, il che non vuol dire limitarsi
soltanto ad un magistero generico e superficiale.
Ci sembra, a questo proposito, che il nostro pensiero non
possa trovare un'espressione migliore di quella usata dalla
Aveni Casucci quando auspica che: "l'Università esca dalla
turris eburnea dei laboratori e delle aule universitarie,
morda nella realtà, offrendo la propria opera di ricerca e
didattica a tutte le iniziative delle organizzazioni culturali,
sociali, di volontariato... per fondere la teoria con la prassi,
per una migliore qualità di vita in tutta la società". Sul
piano più strettamente attuativo abbiamo già individuato,
in una precedente lezione, le modalità con cui l'insegnamento
geragogico dovrebbe permeare in maniera capillare l'intera
realtà sociale per non correre l'alea di restare indefinitivamente
al livello di una elucubrazione teorica e priva di radici
profonde nella quotidianità.
L'acquisizione di questa nuova disciplina da parte della
cultura ufficiale non basta, essa abbisogna di una divulgazione
di massa che deve essere svolta, come abbiamo detto, direttamente
dagli operatori sanitari o tramite i mezzi di comunicazione
sociale. I "mass media", infatti, sono formidabili mezzi di
educazione e di progresso collettivo, a condizione che assumano
un ruolo di servizio comunitario, di vero strumento di cultura
e di maturazione sociale che porti a quella auspicata inversione
di mentalità cui tende appunto la rivoluzione geragogica.
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