In questa seconda ipotesi la disponibilità di tempo libero
può diventare, per il vecchio, una contingenza propizia, la
via maestra per un approccio educativo, se non addirittura
l'unico riscontro possibile per qualsiasi ingerenza gerontologica,
essendo l'anziano privo di punti di riferimento istituzionali
ed incluso in una condizione, quella senile, contrassegnata
spesso dall'inattività e dalla solitudine. Sono questi desolanti
simulacri della condizione senile che sollecitano, più di
ogni altro connotato negativo, l'intervento gerontologico
programmato e diretto a saturare ogni frazione di tempo vuoto
con intromissioni pedagogiche, attivanti ed occupazionali.
Ci si riferisce, nel caso dell'anziano, al tempo libero di
ogni ora e di ogni giorno, al tempo libero quotidiano e permanente,
che non può confondersi, ovviamente, con l'altro tempo libero,
quello di chi lavora o studia, occasionale o ricorrente, meglio
designato come tempo di vacanza. Inattività e solitudine,
pertanto, debbono considerarsi il frequente appannaggio del
tempo libero permanente, quello di ogni giorno, che molto
spesso non è tempo di vita partecipata, ma tempo libero in
quanto liberato dal lavoro e, con esso, da compagnie, relazioni
sociali, affetti. La cosiddetta "età libera" è ancora il patrimonio
di pochi predestinati, mentre per i più il tempo libero è
un tempo vuoto, è la stagione del nulla, è solitudine, esclusione
da ogni partecipazione collettiva, annullamento dell'individualità.
La vita personale del vecchio è troppo spesso ridotta a
poche, minime attività prive di contenuto sociale, la cui
validità non è ratificata per di più dalla fascia più ampia
dei giovani e degli adulti socialmente attivi. Questo dono
del tempo libero che la società elargisce all'anziano fuori
ruolo, questa età del riposo assoluto o, come si usa dire,
della meritata quiescenza, non è altro, a nostro parere, che
una sorta di pietosa ipocrisia, liberatrice forse dal senso
di colpa di cui la coscienza collettiva soffre per l'espulsione
coatta dell'individuo dal campo del lavoro e, quindi, dalla
vita attiva. Il tempo libero offerto al vecchio, come abbiamo
già osservato, è un tempo di forzata inattività nella grande
maggioranza dei casi, ragione frequente di emarginazione sociale
e di solitudine. Un connotato comune della condizione senile
è, infatti, proprio la solitudine che fatalmente, direi, consegue
a tutta una serie di eventi che vanno dalla vedovanza alla
cessazione dell'attività lavorativa, dalla perdita progressiva
dell'autonomia alla lontananza dei figli, che, come sappiamo,
può essere geografica o anche semplicemente affettiva. La
solitudine del vecchio non si identifica, comunque, con la
condizione o lo stato di chi vive da solo o appartato. Per
tale situazione è da preferire il termine isolamento che indica
meglio la condizione di chi, spontaneamente o costretto da
cause esterne, vive isolato, appartato dagli altri, ma non
è necessariamente privo di affetti o amicizie, di appoggi,
di persone che l'aiutino o l'assistano.
Quando del resto la vita in isolamento si compie, tanto
per fare un esempio, per scelta personale e volontaria, come
nel caso paradigmatico dell'anacoreta, non si può certo parlare
di solitudine nel senso negativo che attribuiamo a questo
termine nel nostro discorso.Allo stesso modo non è appropriato
usare tale espressione nel caso non frequente di persone anziane
che vivano da sole per loro elezione, ma conservando volontà
e capacità di mantenere vivi i loro rapporti interpersonali
ed il calore degli affetti. Solitudine vuol dire sentirsi
soli e questo accade a chi vive isolato ed appartato, non
per scelta propria, ma per condizione imposta dagli organismi
sociali, economici e culturali del proprio complesso antropologico.
In questo senso possono soffrire di solitudine, sentirsi soli,
anche i vecchi che, pur vivendo in famiglia o in qualche comunità
di tipo assistenziale, sono comunque ricusati dall'ambiente
o non più approvati dalla collettività. Non deve stupire che
una tale situazione si verifichi anche in famiglia e non soltanto,
come sembrerebbe più prevedibile, negli ospizi, nelle case
di riposo o nelle varie strutture protette. La solitudine,
infatti, non risparmia nemmeno gli anziani che, pur inseriti
in nuclei familiari numerosi, esperimentano paradossalmente
l'isolamento affettivo e l'emarginazione quando la convivenza
con i congiunti crea problemi e frustrazioni reciproche.
Dalla parte del vecchio c'è, infatti, un bisogno continuo
e pressante di affetto ed una costante esigenza di comunicazione
che non trovano sempre corrispondenza nei membri giovani e
adulti della famiglia. Nella maggioranza dei casi figli e
nipoti non sono in grado di dare una risposta completa ai
bisogni esistenziali del loro congiunto che finisce per sentirsi
un estraneo e quasi un intruso nel contesto affettivo familiare.
La conclusione di questa breve digressione potrebbe essere
che una risposta ai problemi dell'anziano non può cercarsi
soltanto nell'organismo familiare che, nella società odierna,
non ha più le caratteristiche nè i presupposti perchè il vecchio
possa ancora estrinsecarvi la sua personalità e soddisfare
in esso le proprie esigenze di vita, di relazioni interpersonali,
di partecipazione. È indispensabile e urgente, come abbiamo
più volte rilevato, un vasto piano geragogico che si proponga
di educare la società in generale, oltre che l'individuo e
la famiglia, allo scopo di favorire la caduta di tutti quei
pregiudizi che hanno relegato l'anziano nel limbo dell'incomprensione
e della solitudine. Si potrebbe obiettare, a questo proposito,
che il senso di solitudine, questo sentirsi solo e abbandonato,
non ha età in quanto è anche appannaggio del giovane e dell'adulto
che talora, per certe difficoltà connesse alla evoluzione
della loro personalità, esperimentano situazioni di angoscia
e di abbandono non dissimili da quelle del vecchio.
È risaputo, del resto, che sentirsi solo, respinto e abbandonato
può delineare una delle angosce più prepotenti che possano
ghermire un essere umano, giovane o vecchio che sia. La solitudine
del giovane, comunque, quando non sia di segno psicopatologico,
è spesso una condizione esistenziale transitoria, frutto di
un momentaneo smarrimento o di una ribellione impulsiva. L'anziano,
invece, per un concorso di cause quali certi pregiudizi, l'ignoranza,
l'indifferenza e, talora, anche la protervia degli altri,
esperimenta sempre una situazione finale, di arrivo, quasi
naturale ed obbligatoria. E ciò nonostante è dato spesso di
osservare che questi esseri umani, avviati a percorrere l'ultimo
tratto del loro arco biologico, fanno tutto quel che possono
per essere accettati, per non vivere separati, per non avere
più la sensazione di essere respinti dagli altri nel ghetto
della solitudine e dell'abbandono. A questo punto, forse,
sarebbe opportuno dare una dimensione alla gravità del fenomeno
cercando di stabilire, con sufficiente approssimazione, il
numero dei vecchi che vivono in solitudine, specie nell'età
più alta che è anche la più ricca di bisogni. Non è facile,
però, disporre di dati statistici attendibili circa la consistenza
numerica di tale evenienza e tanto meno è agevole raccogliere
informazioni sulle condizioni di vita nella fascia di anziani
che vivono soli.
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