Al di là di ogni variazione semantica dei termini resta comunque
il fatto che il nostro organismo, soggetto all'invecchiamento
e solitamente anche alla vecchiaia, porta certamente in sè
un meccanismo programmato che fissa un limite invalicabile
al suo arco biologico, termine raggiungibile solo nelle condizioni
ideali di un invecchiamento che si mantenga fisiologico sino
alla fine. Quando invece, ed è il caso estremamente più comune,
sulla base di questo invecchiamento fisiologico di organi
ed apparati si innestano quegli agenti ambientali che abbiamo
in precedenza ricordato, si assiste a quel precoce decadimento
delle condizioni fisiche e mentali che costituisce l'invecchiamento
secondario o altrimenti conosciuto come patologico. Da queste
considerazioni risulta che l'invecchiamento, nel senso più
comune del termine, deve intendersi quasi sempre come una
condizione multifattoriale in cui il fattore ambiente è verosimilmente
uno degli agenti di particolare rilevanza e nel quale si identificano,
oltre alle malattie fisiche, tutte quelle situazioni ed afferenze
negative che derivano all'individuo dall'ecosistema che lo
circonda durante l'intero corso della vita. Nel processo di
deteriorainento senile l'ambiente, quindi, esercita un'influenza
fondamentale anche sul versante sociale dove spesso, con la
perdita del ruolo professionale, l'anziano corre il rischio
di essere respinto verso l'emarginazione e l'isolamento che
sono, come è noto, i "gerotossici" più pericolosi.
Dobbiamo tuttavia tenere presente che, al momento attuale,
non è ancora possibile indicare fino a che punto le modificazioni
strutturali e funzionali dell'organismo, riferibili alla senescenza,
siano attribuibili alla costituzione genetica dell'individuo
e della specie, cioè al processo di invecchiamento primario,
e fino a quale punto invece esse siano da imputare alle aggressioni
ambientali di varia natura che, come abbiamo visto, sono in
grado di esercitare un impulso accelerante sulla naturale
involuzione fisiologica dell'uomo. È di osservazione abbastanza
comune, tuttavia, che la morte per vecchiaia è ancora un evento
del tutto eccezionale anche nelle società più progredite,
dal momento che la "senescenza programmata" è largamente sollecitata
da altre cause di invecchiamento che provengono dall'ambiente
di vita. In conclusione, come abbiamo osservato all'inizio,
la longevità potenziale, che corrisponde alla massima durata
di vita per ogni specie, si concretizza, nella realtà particolare,
in un segmento biologico "effettivo" che risulterà più o meno
variabile da individuo a individuo a seconda delle differenze
genetiche osservabili all'interno della specie stessa ed a
seconda della diversa decurtazione operata dai fattori ambientali.
L'eccezione della morte naturale rimane tuttavia possibile,
sul piano speculativo, come conseguenza di una qualsiasi perturbazione
dell'omeostasi che non configuri una vera e propria entità
clinica, pur causando una fatale ed irreparabile perdita di
efficienza del sistema organismico. È quanto già ipotizzava,
due secoli or sono, Antonio Mandini in un passo del suo trattato
su "La Vecchiezza" che ci piace citare, a chiusura di questa
esposizione: "La vita quantunque preziosa, ben impiegata,
ed utile ad altrui, deve poi finalmente aver termine; e se
una qualche malattia acuta, o un colpo di esterna invasione
non la tronca d'improvviso, se una lagrimevole consunzione
in mezzo alli stenti poco a poco non la infievolisce,ed avvelena,
per fisica necessaria indispensabile conseguenza deve anche
fuor di malattia reale, e palese, a modo di una fiaccola,
che manca d'alimento, grado a grado indebolirsi, placidamente
perdere la sua luce, e poi mancare per intiero".
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