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Invecchiamento, vecchiaia e morte - 1  

Nelle cartelle cliniche di qualche decennio fa era più frequente rispetto ai nostri giorni che il decesso di avi e proavi fosse attribuito tout court alla vecchiaia. Nel rileggere le storie di allora è facile scoprire, infatti, che gli ascendenti morivano con una discreta frequenza per senectus, locuzione questa che sicuramente serviva a nascondere spesso l'ignoranza sulla causa di morte, ma che, comunque, lasciava trapelare anche un particolare atteggiamento culturale. La domanda che si pone alla nostra attenzione, come si è posta a quella degli studiosi di ogni epoca, riguarda l'esistenza o meno di una morte per vecchiaia sul piano del riscontro pratico, più che su quello speculativo.

Da questo secondo punto di vista, infatti, può risultare relativamente facile definire la morte naturale come il fenomeno che conclude un ciclo vitale geneticamente determinato ed esprime l'estremo punto di arrivo dell'invecchiamento "fisiologico".Quest'ultimo può essere considerato, a sua volta, come il progressivo deterioramento delle capacità omeostatiche e di adattamento all'ambiente in funzione di un solo fattore, quello cronologico. Per tale motivo l'invecchiamento "fisiologico", o normale, può essere detto anche monofattoriale perchè comprende quel complesso di modificazioni morfologiche e funzionali, di tipo involutivo, che intervengono nell'individuo adulto per la sola azione del fattore tempo, dovute cioè al progredire dell'individuo nella sua età cronologica.

Ma tornando al quesito iniziale sulla morte per senectus possiamo rilevare che sul piano statistico la sua frequenza è affatto trascurabile e che l'uomo d'oggi muore sì nella vecchiaia, anche avanzata, ma non di sola vecchiaia in quanto nell'età inoltrata aumenta la morbilità generale in conseguenza del fatto che acquistano maggior peso ed importanza fattori eziopatogenetici del tutto irrilevanti in età giovane e adulta. Va aggiunto, inoltre, che parallelamente all'aumento degli eventi morbosi si registra generalmente, nell'età senile, un abbassamento della "soglia letale" di tale entità che basta talora una malattia del tutto modesta, e in altra età innocua, per provocare la morte del soggetto.

Questo tuttavia non esclude, come abbiamo già osservato, che sul piano dottrinario si possa ipotizzare la possibilità teorica di un "invecchiamento fisiologico" o "naturale" che decorra cioè senza la sovrapposizione di elementi patologici ambientali sino ad una fine fisiologica della vita, sino a quella morte naturale che conclude, ad esempio, la longevità potenziale, corrispondente alla massima durata della vita in una determinata specie. Tale massima sopravvivenza, quindi, può definirsi come quella età che pochi individui di una popolazione, i più longevi appunto, sono in grado di raggiungere, al riparo dalle influenze ambientali, sulla base dei caratteri geneticamente determinati e peculiari di quella data specie.

È evidente che l'invecchiamento di questi soggetti privilegiati dovrà decorrere in modo normale o naturale attraverso quel complesso di modificazioni morfologiche e funzionali, ovviamente di tipo involutivo, che sono dovute alla sola azione del tempo, cioè al progredire dell'individuo nella sua età cronologica secondo un modello monofattoriale di senilizzazione. In sostanza questo tipo di invecchiamento, definito anche come primario, è un fenomeno universale che rispecchia unicamente gli effetti avversi del trascorrere del tempo, è considerato intrinseco all'organismo ed è determinato da fattori ereditari o congeniti.

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