Sono quindi indagini di scarsa utilità per la nostra ricognizione
sull'invecchiamento cerebrale perchè, come si è detto, sono
state condotte generalmente su animali da laboratorio, trattati
con dose unica e, inoltre, senza che venisse attuata una distinzione
di età fra gli animali saggiati. È presumibile che nell'assunzione
cronica le variazioni a livello di neurotrasmettitori possano
riconoscere meccanismi più complessi per la coesistenza di
fenomeni malnutrizionali che interessano vitamine, aminoacidi,
oligoelementi e precursori. Un qualche valore, comunque, può
essere attribuito agli studi sperimentali a cui abbiamo accennato
in quanto ci confermano la capacità dell'alcol etilico di
modificare il "turnover" dei neurotrasmettitori con un'azione
di tipo diretto. Gli effetti che si riscontrano negli animali
da laboratorio con la somministrazione acuta di etanolo sono
depurati, infatti, da tutte le intromissioni di tipo mediato,
come ad esempio i fenomeni carenziali che possono accompagnare
il trattamento cronico.
È appunto sulla scorta di studi condotti nell'animale che
Freund è riuscito a individuare le basi molecolari attraverso
cui alcol ed invecchiamento biologico concorrerebbero in modo
conforme al deterioramento cognitivo e comportamentale, intervenendo
simmetricamente sia sul depauperamento neuronale che sul tono
neurotrasmettitoriale di regioni cerebrali diverse. È pertanto
presumibile che, come avviene nell'invecchiamento naturale,
anche nell'assunzione cronica di etanolo possano verificarsi
considerevoli modificazioni dei neurotrasmettitori, una variazione
della densità recettoriale ed alterazioni dell'affinità che
i recettori presentano nei confronti degli stessi mediatori.
Desiderando quindi approfondire i meccanismi d'inter ferenza
tra invecchiamento ed alcol è evidente che nuovi studi dovranno
essere indirizzati a livello di sinapsi, sede in cui si realizzano,
forse primariamente, i mutamenti funzionali responsabili dei
"deficit" cognitivi e comportamentali rilevati negli animali
e nell'uomo. Resta comunque il fatto che già le attuali conoscenze
sui sistemi neurotrasmettitoriali e sulle loro variazioni
metabolicofunzionali nella senescenza cerebrale ci suggeriscono
di non sottovalutare, in questo campo, il ruolo dell'alcol
che, anche nei cosidetti bevitori sociali, sembra in grado
d'interferire positivamente, assieme all'età, nel processo
d'invecchiamento. L'ultima delle principali azioni che vengono
riconosciute all'alcol sulle strutture e sulle funzioni del
neurone è provocata indirettamente dai suoi metaboliti. Il
ruolo dell'acetaldeide e degli alcaloidi di neosintesi è al
momento attuale ancora poco conosciuto e non completamente
definito, nonostante che gli studiosi rivolgano sempre maggiore
attenzione a queste sostanze. Generalmente la biotrasformazione
dell'acetaldeide in acetato avviene molto più rapidamente
che quella dell'alcol etilico in acetaldeide, per cui l'organismo
rimane relativamente poco esposto agli effetti tossici dell'aldeide
acetica.
In alcune situazioni, però, si può avere un aumento di acetaldeide
talmente cospicuo da causare lesioni epatiche ed extraepatiche
in notevole misura. L'aldeide acetica, infatti, è in grado
di agire su tutte le strutture subcellulari, come è sicuramente
dimostrato per il fegato e come è probabile che avvenga anche
nei confronti di mitocondri, apparato del Golgi e microtubuli
della cellula neuronale. Oltre che nell'intossicazione acuta
si può registrare un importante aumento di acetaldeide nell'etilismo
cronico e, quel che più ci interessa, nell'età senile, anche
se per ora tale incremento è solo ipotizzabile sulla base
di studi teorici che prevedono un diverso metabolismo dell'acetaldeide
nei vecchi. Da una nostra ricerca, infatti, sulle modificazioni
degli organuli subcellulari nella senescenza del fegato umano
è risultato che nella età avanzata, oltre ad una ipertrofia
del reticolo endoplasmatico liscio, si riscontrano frequenti
alterazioni quantitative e qualitative dei mitocondri epatocitari.
Questi dati ci permettono di avanzare la congettura che nell'età
tardiva ci possa essere un rallentamento nella biotrasformazione
dell'acetaldeide a causa della diminuzione numerica e delle
alterazioni mitocondriali peculiari del fegato senile e che,
parallelamente, possa verificarsi un incremento del metabolismo
etanolico per una iperfunzione del MEOS a livello del reticolo
liscio ipertrofico.
La conseguenza di tali ipotesi è che nel soggetto anziano,
analogamente a quanto si riscontra nell'etilista cronico,
ci si dovrebbe attendere un aumento dei livelli intraepatocitari
e sierici della aldeide acetica, come del resto è stato dimostrato
da Wiberg nei ratti vecchi. Sulla base di queste congetture,
facilmente verificabili, esaminiamo ora brevemente quali siano
gli effetti dell'acetaldeide sulla cellula neuronale, nella
prospettiva di dare una valutazione più completa sull'azione
del fattore alcol nel processo d'invecchiamento umano. Sull'attività
diretta dell'aldeide acetica a livello neuronale si è già
accennato in precedenza e non riteniamo, pertanto, di ritornare
sull'argomento, in questo passo conclusivo, se non per ricordare
che si tratta di una micromolecola molto diffusibile (e molto
più reattiva dell'etanolo) che attraversa rapidamente la barriera
ematoencefalica, raggiungendo in breve tempo un rapporto d'equilibrio
tra sangue e tessuti. Rimane da puntualizzare, invece, la
capacità dell'acetaldeide di interagire con le amine endogene,
come adrenalina, noradrenalina, dopamina e serotonina, dando
origine per condensazione a prodotti di neosintesi a cui è
riconosciuta un'intensa attività biologica. La condensazione
con le due prime amine endogene dà luogo, attraverso una base
di Schiff intermedia, alla formazione di alcaloidi tetraidrochinolinici,
mentre con la dopamina, tra le varie possibilità, predomina
la neosintesi di un alcaloide morfinosimile quale la tetraidropapaverolina.
Uno dei prodotti che derivano dalla condensazione con la
serotonina è la melanotonina, l'ormone epifisario, che si
sarebbe mostrata capace di aumentare il consumo di alcol nell'animale.
In definitiva possiamo osservare che gli effetti biologici
di questi alcaloidi di condensazione possono divenire rilevanti
in quelle evenienze che comportino un aumento dell'acetaldeide
nel sangue e nel cervello, come avverrebbe appunto nell'età
senile allorquando questa è accompagnata ad un consumo cronico
di etanolo. Si è potuto dimostrare, negli animali, che gli
alcaloidi di neosintesi possono avere molteplici meccanismi
d'intervento sul deterioramento cerebrale, accumulandosi,
ad esempio, nei granuli contenenti neurotrasmettitori del
sistema adrenergico, competendo con i meccanismi di reuptake
delle catecolamine e comportandosi talora come falsi neurotrasmettitori.
Dati sperimentali abbastanza recenti hanno dimostrato, inoltre,
che nel ratto gli alcaloidi isochinolinici sono in grado di
indurre una degenerazione selettiva delle terminazioni adrenergiche.
Tutte queste acquisizioni sull'azione indiretta dell'alcol
servono, a nostro avviso, a prospettare alcuni importanti
ed ignorati meccanismi di accelerazione nel processo di deterioramento
cerebrale senile, anche se in taluni casi si tratta ancora
di congetture in attesa di una ratifica definitiva. Oltre
a quelle che abbiamo sino qui esaminato vi sono probabilmente
molteplici altre vie attraverso le quali l'etanolo, anche
se assunto in dosi considerate adeguate, può indurre un deterioramento
mentale che finisce col sommarsi, accelerandolo, a quello
correlato alla sola età. Alcol ed età, ad esempio, sono considerati
da molti studiosi come fattori additivi di rischio nel determinismo
di "deficit" vitaminici e di oligoelementi, condizioni queste
che sarebbero in grado, attraverso svariati meccanismi, di
condurre ad uno scadimento delle funzioni cognitive superiori
e del comportamento.
Ci sono inoltre altre turbe nutrizionali, oltre a quelle
vitaminiche e dei metallitraccia, che vengono da Alcuni considerate
nell'invecchiamento cerebrale come ulteriori possibili fattori
di rischio. Ci riferiamo ad un improbabile ridotto apporto
dietetico, a causa di malnutrizione alcolica, di alcuni precursori
neurotrasmettitoriali quali il triptofano, la colina e la
tirosina. Noi non riteniamo comunque che questo possa essere
un meccanismo patogenetico influente, nemmeno in via secondaria,
nel determinismo dei deficit cognitivi negli anziani, sia
pure in presenza di abuso alcolico.
E soprattutto non riteniamo di poter considerare le carenze
vitaminiche e minerali come il meccanismo preminente di deterioramento
mentale attraverso cui agirebbe nell'anziano l'uso/abuso di
bevande alcoliche. Nella precedente rassegna, sia pure con
fini esclusivamente geragogici, abbiamo affrontato a fondo
tale tematica e crediamo di avere a sufficienza esaminato
le varie modalità con cui alcol, acetaldeide e prodotti di
condensazione sono in grado di attivare autonomamente alcuni
congegni neurobiologici di deterioramento cerebrale.
È evidente, pertanto, che non possiamo affrontare questo
problema limitandoci a proporre la somministrazione di supplementi
vitaminici, ma dobbiamo bensì promuovere interventi di tipo
educazionale sull'uso veramente adeguato delle bevande alcoliche
e, prima ancora, dobbiamo sollecitare la ricerca scientifica
perchè definisca con sicurezza la soglia di rischio nell'assunzione
cronica di etanolo. Tra gli intendimenti di questa esposizione
vi era, per l'appunto, anche quello di suscitare nei lettori
alcuni interrogativi sulla definizione di assunzione alcolica
adeguata in generale e, soprattutto, in riferimento a quei
bevitori che si trovano ben addentro nell'età geriatrica.
A questo proposito desideriamo sottolineare con particolare
evidenza la scarsità in letteratura di pubblicazioni che si
occupino di questo argomento, nonostante che negli ultimi
quattro lustri si sia registrato, oltre all'incremento della
popolazione anziana, un notevole aumento del consumo di alcol
e di patologie ad esso correlate proprio nelle fasce più alte
di età. Vien fatto altresì di osservare che i criteri usati
per distinguere l'assunzione "adeguata" di alcolici da quella
"inadeguata" mancano a tutt'oggi di un supporto scientifico
in grado di valutare, come avviene per gli altri xenobiotici,
la dose da considerarsi realmente priva di effetti dannosi
nel corso di un consumo cronico. Dopo quanto si è detto sino
a questo punto è evidente che per effetti dannosi da etanolo
debbono intendersi anche quelli che possono tradursi in un
precoce invecchiamento dell'organismo senza richiedere, obbligatoriamente,
la mediazione del fenomeno patologico.
Il geriatra ed il gerontologo, quindi, di fronte all'uso
di bevande alcoliche da parte dell'uomo adulto, devono porsi
come compito principale quello di stabilire, anzitutto, la
dose consentita con sicurezza alle diverse età della vita,
nell'uomo e nella donna, e da cui non ci si debbano ragionevolmente
attendere effetti dannosi di alcun genere, incluso un possibile
invecchiamento prematuro clinicamente non patologico. Alcuni,
come Tiengo, sono dell'opinione che l'apporto calorico inerente
all'alcol, nella dieta dell'anziano, non dovrebbe superare
il 10% delle calorie totali, percentuale che corrisponde a
mezzo litro scarso di vino da assumersi nelle giornata. Non
è affatto dimostrato, però, che tale quantità di alcol non
comporti inconvenienti o danni nel corso degli anni ed, in
particolare, non si hanno per ora studi rigorosi che possano
escludere, come si è detto, un precoce invecchiamento dell'organismo
riferibile a consuetudini alcoliche, socialmente accettate,
che affondano le loro radici nella cultura millenaria di molte
popolazioni.
Per sopperire a questa lacuna ha preso l'avvio, quest'anno,
in Italia un progetto di ricerca epidemiologica, denominato
Dionysos 2, che si propone di condurre uno studio longitudinale
sulle popolazioni di due cittadine (Campogalliano in Emilia
e Cormòns in Friuli) della durata prevista di tre anni. In
tale progetto viene precisato l'obiettivo di studiare la relazione
esistente tra il consumo di alcolici (e di altre "noxae" alimentari)
e la prevalenza di malattie croniche di fegato nei due comuni
prescelti, nella convinzione di poter definire, tra l'altro,
una soglia tossica nell'assunzione alcolica cronica, sulla
base unicamente del danno epatico indotto da tale consuetudine,
anche se, in verità, del tutto recentemente si è visto con
varie tecniche diagnostiche e test psicometrici che il danno
cerebrale da alcol si instaura più precocemente e può rivestire
pari importanza clinica e sociale.
Gli studi, comunque, che si occupano del deterioramento
cerebrale provocato dall'etanolo si rivolgono, nelle gran
parte, all'indagine dei danni neurologici conseguenti ad una
assunzione inadeguata di bevande alcoliche, mentre da un punto
di vista più specificatamente pedagogico potrebbe interessare
maggiormente una valutazione del "deficit" cognitivo nei cosidetti
bevitori sociali. Le nuove acquisizioni in questo campo, infatti,
potrebbero servire, oltre che per un intervento di educazione
sanitaria in senso lato, per una impostazione più corretta
e completa dei programmi geragogici. La possibilità, infatti,
di accertare nel modo più razionale possibile la dose di alcol
concessa all'adulto è un'esigenza particolarmente sentita
dal geragogo che deve preoccuparsi di ogni fattore in grado
di interagire con l'età nel processo di senescenza. Parker
e collaboratori sono stati i primi a considerare l'eventualità
di una interazione con l'età da parte dell'alcol, anche a
dosi "adeguate" come si ritiene venga assunto nei bevitori
sociali.
Gli studi di questi Autori, basati su particolari test psicometrici,
hanno dimostrato un deficit sensibile della capacità di astrazione
e di adattamento anche con un uso modesto di alcol, mentre
carenze nella capacità di memorizzazione e nell'apprendimento
sono state rilevate soltanto in bevitori più forti, comunque
sempre compresi tra i bevitori cosiddetti adeguati o sociali.
Per concludere, pertanto, la complessa tematica di questa
indagine preliminare, ci sembra opportuno ribadire la necessità
di ulteriori studi sulla reversibilità delle disgregazioni
cognitive alcolindotte e, soprattutto, sui limiti di sicurezza
in cui l'adulto deve mantenersi nell'uso delle bevande alcoliche.
La notevole somiglianza, ampiamente confermata, tra alcuni
"deficit" cognitivi prodotti dall'alcol con quelli causati
dall'invecchiamento naturale, si riconferma, dopo questa nostra
disamina, di estremo interesse per il gerontologo e per quanti
si occupano di programmazione geragogica.
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