di
Rita Farneti
Il piede meno pronto
a saggiar rugiada,
meno vive nel cuore
nuove emozioni,
meno rapida
nel risorgere
una speranza
schiacciata.
(liberamente tradotto da V.Woolf)
Premessa
Assistiamo ad un aumento della durata media dell'esistenza,
anni d'attività lavorativa e non solo, anni di presenza
attiva nella società da parte degli anziani.
Un numero crescente d'anziani o , per così dire, individui
più attempati affrontano un trattamento psicoterapeutico(1).Alla
stessa stregua di pazienti anagraficamente più giovani
anche i meno giovani,motivati dal desiderio di vivere al meglio
il tempo che rimane,si mostrano maggiormente interessati a
riflettere sui propri vissuti, collegandoli ad un presente
potenzialmente meno afflittivo e disorientante, e ad un futuro
non solo residuale ma ,soprattutto, possibile.Invecchiamento
e vecchiaia sono stati interpretati come ultima crisi nel
corso dell'esistenza.Conflitti e difficoltà,irrelate
alle prime sequenze relazionali dello sviluppo affettivo,
sono rivissuti negli anni che seguono la tarda maturità:
per quanto questi conflitti possano essere di là da
una risoluzione definitiva,si registra,comunque,un cambiamento
in positivo.La persona anziana,anche molto anziana,trae giovamento
dal trattamento psicoterapeutico.
Inevitabile la domanda: è sufficiente aver favorito
un riadattamento soddisfacente dopo la crisi, ultima delle
sequenze che normano il processo dell'esistenza, per sostenere
sic et simpliciter la congruità del trattamento psicoterapeutico
per l'anziano? Per dirla con Valenstein,se fosse possibile
fare una magia, occorrerebbe invocare lo spirito di M.Twain
che ,nel 1901, all'età di 66 anni, in una lettera,nella
quale ricusò l'invito a partecipare ai festeggiamenti
in occasione dell'ottantesimo anniversario della nascita dello
Stato del Missouri,argutamente sottolineò: " Confesso
seriamente a me stesso,in più modi ed in più
di un'occasione,che il tempo sta avanzando inesorabilmente.
Sono arrivato alla soglia della vecchiaia:nel 1977 compirò
142 anni. Non è più tempo di svolazzare come
ape fior da fiore;devo distogliermi dalle attività
giovanili ed assumere decoro e compostezza consoni alla stagione
d'onorevole vecchiezza che incombe".
Quest'aneddoto rappresenta una premessa che bene c'introduce
allo studio di una popolazione sempre più anziana,il
cui incremento demografico e la cui prospettiva di vita ha
offerto ed offre un ventaglio d'anni d'attività lavorativa
e produttiva. L'ipotesi di un trattamento psicoterapeutico
per l'anziano può sollecitare maggior consenso ed approvazione?
Nelle nasse della vecchiaia
Ognuno di noi dà scacco a se stesso quando ,consapevolmente
e non, nutre l'ingenua convinzione che evitare il dolore rappresenti
l'unica possibilità per costruire significati accettabili
alla propria esistenza. Se nella relazione psicoterapeutica
diventiamo testimoni di resistenze e difese, erette dai pazienti
avverso i più sgraditi ed impresentabili sentimenti
,l'essere col paziente in modo empatico significa prioritariamente
accompagnarlo all'incontro con se stesso ,traducendo in un
linguaggio condivisibile, sue modalità nel percepire
il mondo interno e nel sentirsi in quell'esterno La relazione
terapeutica esprime l'essere con l'altro ed averne cura (
ed aver cura è primario rispetto al curare), vivificando
una capacità di contatto in termini di "pensabilità".
L'elemento fondamentale ,che si ancora nella percezione di
sé, è rappresentato dal senso d'identità
personale: è processo che si struttura attraverso sequenze
relazionali inducendo a riconoscerci attraverso l'atto stesso
del conoscere.Ognuno di noi definisce così la propria
individualità e le conferisce molteplici significati
attraverso il sentirsi qui ed ora, anche attraverso quello
che sono stato e che potenzialmente sarò.Tutto questo
ci consente visibilità,trasmette credito alla nostra
storia d'umani e ci mette in condizione di rientrare nella
normalità.I criteri di valutazione adottati per definire
ciò che rientra nella norma possono,invece, essere
volta a volta diversi.
Per questi motivi ritengo che più che di vecchiaia
sia meglio parlare del modo in cui una persona invecchia.E'
un sapore che ci mette sulla strada ( proprio come ci accade
quando assaggiamo un cibo ...) che dà gusto a vissuti,
sentimenti,concetti,forse convinzioni.
La letteratura, che si è occupata di come cominciamo
ad invecchiare ,fino a quando la persona è proprio
vecchia, è alquanto vasta,irrimediabilmente vasta.E'
facile cedere alla tentazione di assimilarla ad un passato
, troppo ingombrante, troppo passato,sottolineando come in
realtà un po' tutti avvertiamo lo scomodo incombere
di un avvenire piuttosto incerto.Siamo sollecitati dai media
e dai piani per la prevenzione sanitaria a sagomarcelo in
anticipo questo futuro ,a definire i contorni di un viso di
cui non conosciamo lo sguardo ,né se avrà quell'espressione
amichevole che possa farcelo sentire solo un po' meno pericoloso.Intrigati,
turbati ,dubbiosi ed al tempo stesso determinati nel volerlo
vivere questo futuro possibile, non solo residuale.Non sappiamo
in anticipo - il che, ammetto, ci rassicurerebbe oltremisura
- con quali mezzi o, meglio, se i mezzi a nostra disposizione
ci permetteranno sufficienti buoni incontri e fruttuose esperienze,Agogniamo
ad essere un po' più riparati dal senso di solitudine,
inutilità e tristezza nella nostra quotidianità.
Se poeti e filosofi, fin dall'antichità, hanno scritto
della vecchiaia e dei suoi caratteri,psicologi psichiatri
e sociologi hanno offerto altrettanti contributi inerenti
al processo d'invecchiamento , che per la maggior parte costituiscono
tesi già note.Non ultimi si aggiungono coloro che professano
aderenza alla teoria ed alla tecnica della psicoanalisi,dottrina
che un sempre maggiore consenso ha guadagnato in virtù
del modello di funzionamento mentale di cui è sostenitrice:
i processi evolutivi , che della persona esigono un adattamento
, sono scanditi attraverso le relazioni ,che l'essere umano
struttura con sé e col mondo esterno .Regolano ,in
forma specificatamente dinamica, tutto il corso della nostra
vita.(Abraham 1919,Berezin e Cath 1965,Bibring 1966,Cath 1985,1986,1997,Cath
e Miller 1986,C.D.Cohen 1985,N.A Cohen 1982,Coltart 1991,Crusy
1985,King 1980,Grotjahn 1985,Hildebrand 1985,1987,Hinze 1985,Kahana
1980,Levinson 1985,Nemiroff e Colarusso 1981,1985,Notman 1985,Pollack
1987,Radebold 1994,Sandler 1984,Segal 1958, Settlage 1996,Simburg
1985,Wylie e Wylie 1987)
Forse il dettato del primo Freud(1898,1905), che sconsigliava
il trattamento analitico in pazienti già in là
con gli anni( si riferiva a persone che avevano già
varcato la soglia dei 40/ 50 anni) non caldeggiò l'applicabilità
della terapia analitica in soggetti anziani. D'altro canto
postulare nelle posizioni che assunse Freud - teorizzatore
di un modello di funzionamento mentale che non autorizzava
la fruizione di trattamento analitico in chi avesse seppur
di pochi lustri oltrepassato il dantesco "mezzo"
del cammino di propria vita - la causa del veto al trattamento
analitico dell'anziano significa anche entrare nel merito
della pratica professionale esercitata da Freud, forzandoci
alla conferma di un modello teorico che,più o meno
consensualmente,si è stabilito accettare come vero.
"Vi sono due modi di costruire una teoria psicologica.Il
primo consiste nel raccogliere dei fatti e trovare fattori
comuni da cui dedurre leggi e generalizzazioni.Il secondo
consiste nel costruire un modello teorico ed osservare come
i fatti siano in armonia con esso,al fine di rimaneggiare
il modello ,se necessario"(H.F.Hellenberger 1976) .
La preferenza di Freud,non discostandosi da un "orientamento
comune al suo tempo", andò "al secondo".
Non è mio intento entrare più specificatamente
nel merito (o eventuale demerito) di questioni così
complesse,che possono apparire ai non addetti ai lavori piuttosto
criptiche, ed in fondo lontane, come ci appare ora lontano
il milieu culturale e scientifico di una Vienna fine secolo,
poco propensa ad accogliere innovazioni così scandalose,così
poco verificabili
(D.Berthelsen 1990) Mi limiterò
a sottolineare come Freud non concordasse per nulla sull'
accesso per così dire indiscriminato al trattamento
analitico; invocava come requisiti necessari sia un "
buon livello di maturità dell'io"sia una congrua
capacità introspettiva ed elaborativa nel paziente.La
preclusione (all'anziano) era anche motivata dalla consistenza
stessa del materiale analitico;le persone avanti negli anni
non avrebbero avuto ,una volta terminata l'analisi, "tempo
sufficiente per valutare (se) non essere più oggetto
di patologia,quella patologia che li aveva portati ad affrontare
l'analisi".Va anche detto che tali valutazioni sulla
papabilità al trattamento analitico e sulla flessibilità
dei processi mentali intorno a 50 anni possono sollevare una
certa sorpresa,alla luce del fatto che Freud sviluppò
siffatte convinzioni tra il 1898 ed il 1905.Tenuto conto della
sua data di nascita,6 maggio 1856, risalta agli occhi che
lui in primis stava vivendo l'intervallo tra la quarta e la
quinta decade di vita...E nel pieno di una fase produttiva
e creativa di lavoro !
Se da un lato le considerazioni di Freud possono ingenerare
stupore,occorre sottolineare che per molto tempo ci sono state
consegnate , nel loro complesso, come poco revedibili ; per
questo possono rappresentare concetti suscettibili d'ulteriore
lettura all'interno della cornice evolutiva della dottrina
psicoanalitica.
La psicoanalisi nasce "psicologia del conflitto",almeno
all'inizio, e questo "dissidio" permane in larga
parte durante l'esistenza di Freud. L'atteggiamento di allora,protrattisi
fino agli anni sessanta, deriva da quest'assunto teorico:
il trattamento psicoanalitico può essere somministrato
a persone più giovani,per lo meno a persone che abbiano
abbastanza vita davanti a sé.Saranno loro i più
diretti beneficiari in quanto soggetti con aspettativa di
vita, oggettivamente parlando, più lunga rispetto a
quella di altri decisamente più anziani. Forse in un
soggetto giovane, o, meglio, anagraficamente parecchio giovane,
le decisioni più importanti in merito alla propria
vita non sono ancora prese e tanto meno possono dirsi consolidate
le scelte definitive.Esiste dunque ancora un margine, più
tempo per cambiamenti e riadattamenti.Questo darebbe a ritenere
che in una personalità più recettiva maggiori
potrebbero essere le possibilità di un cambiamento
adeguante, supposto "un potenziale in termini d'elasticità
e duttilità",in grado di dispiegare dal suo interno,
tramite l'esperienza terapeutica, risorse vivificanti per
sviluppare al meglio capacità d'amare e lavorare(to
love and to work, come s'interpretò dal testo freudiano).
Quanto poi questo cambiamento possa essere anche strutturante
- e non solo strutturi un più efficace riadattamento
alla realtà - forse,né analista, né tanto
meno paziente possono rivendicare certezza di verifica e tempo
sufficiente per poterlo fare
Va da sé che la tipicità del modello di funzionamento
mentale,nel quale Freud aveva blindato ogni eventuale possibilità
di revisione della teoria analitica, implicava ,come diretta
conseguenza, l'inapplicabilità del trattamento stesso
al paziente anziano,applicabilità allocata cum vinculo
alla purezza ed ortodossia della dottrina e metodo psicoanalitici.Il
concetto di neurosi,per intendersi il complesso edipico, era
al centro della teoria analitica:anche nel caso,del tutto
ipotetico, che tale conflitto potesse per l'anziano affiorare
alla soglia di coscienza sarebbe valsa la pena acquisire una
consapevolezza ,di per sé poco spendibile, tenuto conto
della ridotta e decisamente esigua aspettativa di vita?L'ipotesi
che la partita fosse,per così dire, già stata
giocata ,e non si permettessero tempi supplementari, è
assolutamente verosimile, ma ,nel complesso, non soddisfa
la condizione di veridicità con la quale ,usualmente.
si preferisce ammantarla. E' "solo" ribadita la
finalità per la quale l'analisi "quale era allora"
era concepita ed implementata : si supponeva dunque poco azzardabile
l'ipotesi di una possibile candidatura dell'anziano alla terapia
analitica.
Procedendo lungo l'asse temporale, dalla teoria di Hartmann(1939)
- che aveva introdotto l'adattamento come un attributo psicologico
dell'io - si arrivò al modello di sviluppo psicosociale
,elaborato da Erickson(1950,1963), e all'esegesi fatta da
Rapaport(1956),una teoria"epigenetica",che contemplava
il susseguirsi,nel ciclo di vita, di fasi che normano , scandiscono
e favoriscono l' adattamento,inteso come soddisfacente rapporto
con se stessi e col mondo (dalla nascita alla morte).
Il soddisfacente superamento di una fase permette di affrontare
le inevitabili difficoltà ed i conflitti insiti nella
fase successiva,via via fino alla crisi finale dell'esistenza,la
vecchiaia, ultima nelle sequenze adattive .In qualche modo
diventa sempre più vero che gli esami non finiscono
mai;la differenza è che,cambiando a volta a volta la
posta in gioco, se ne deduce che i registi e gli attori della
nostra esistenza siamo noi.
Col passare del tempo sempre più si utilizzano i dati
frutto di studi sull'osservazione del comportamento infantile
e sui trattamenti psicoterapeutici che vedevano nei bambini
i pazienti oggetti di studio(2).
Integrati gli uni agli altri, questi elementi indirizzarono
nel sostenere applicabili in psicologia clinica la teoria
dello sviluppo,sostenuta da Erickson, e la teoria delle relazioni
oggettuali.Da ciò scaturisce l'importanza attribuita
alla relazione terapeutica,come esperienza condivisa, luogo
e tempo nei quali i conflitti irrisolti,per lo più
inconsci, possono affiorare alla soglia di coscienza per far
lievitare nel paziente maggiore consapevolezza del proprio
mondo interno.E' un dialogo (3)che entrambi, paziente e terapeuta,
costruiscono durante tutto il corso del trattamento analitico
( o psicoterapeutico sic et simpliciter, come alcuni autori
preferiscono più semplicemente chiamarlo) ed introduce
al complesso tema dell'ambivalenza transferale e della "effettiva"
efficacia della psicoanalisi per l' anziano.
L'invecchiamento : schema imposto e possibilità
ricercata ?
L'invecchiamento è biologicamente scandito all'interno
di un processo vitale programmato geneticamente: ogni organismo
vivente è programmato per lo sviluppo e per le fasi
cruciali della crescita ,nella direzione di longevità,
vecchiaia e morte, da un orologio biologico personale,per
fronteggiare intrusioni esterne o iatrogene ,per ridurre,
abbreviare o porre termine alla lunghezza dell'aspettativa
di vita.Se l'invecchiamento è un processo, regolato
dal nostro orologio biologico, sappiamo anche che le lancette
di quest'ultimo per alcuni corrono più velocemente
che per altri:la molla - che ne garantisce il funzionamento-
è anche congegnata per bilanciare fattori di natura
biologica e psicologica.
Forse la verità scientifica della biologia implicitamente
influenzò Freud e lo portò in modo del tutto
esplicito ad introdurre la sua teoria speculativa (e controversa)
riguardo ad Eros e Thanatos, istinto di vita ed istinto di
morte. Freud, non va dimenticato, aveva alle spalle una più
che rispettabile carriera pre- analitica :neurologo e neuroscienziato
non abbandonò mai del tutto la scienza e la biologia
come cornice di riferimento per la psicoanalisi.Forse percorrendo
a ritroso la sua malattia creativa(H.F.Ellenberger 1976),
come lui stesso amò definire la tensione che lo animò
nella ricerca , può sorgere un dubbio : avrebbe potuto
dare un'impronta più solida se avesse maggiormente
legato strettamente la teoria allo specifico del biologico,
piuttosto che ancorarla alla metapsicologia psicoanalitica
,come fece qualcuno che lo seguì, più alla lettera
che metaforicamente?
Nel 1920 Freud postulò che l'istinto di morte è
tensione inevitabile: esiste in qualunque età della
vita, non è ,dunque, esclusivo appannaggio della vecchiaia,ma
forma particolare delle pulsioni.Eros e Thanatos nell'essere
antagonisti si raccordano ad un destino, rappresentato dalla
morte alla fine della vita e dalla vita che possiede, nel
suo statuto d'esistenza, certa la morte.La caducità
nell'esistenza umana non enfatizza il possesso della vita,solo
la temporalità dell'esistenza.
Esiste una qualche forma di compensazione che si accompagna
alla biologia dell'invecchiamento? Perché i più
vecchi subiscono una diminuzione della capacità sensoria
e diventano con l'età più saggi?
Il termine invecchiamento esprime il processo biologico di
un declino fisico generalizzato e di un'involuzione metabolica:per
quanto la distinzione mente/corpo rappresenti un utile costrutto
concettuale, non è possibile scindere in una forma
complessivamente "compiuta" quanto derivi (esclusivamente)
dal soma e quanto dalla psiche(4).Ne consegue che la curva
discendente,espressa dall'assetto endocrinologico, dialoga
necessariamente con l'altro interlocutore rappresentato dallo
specifico psicologico della persona. Conseguente all'involuzione
catabolica del livello ed equilibrio ormonale che sopraggiungono
con l'invecchiamento, esiste una graduale diminuzione degli
impulsi sessuali ed aggressivi.Ci sono,però, differenze
quantitative e qualitative fra individuo ed individuo che
influenzano lo sviluppo e l' estensione delle modificazioni
stesse.Alcune compaiono più precocemente ed in misura
maggiore in certi individui rispetto ad altri .
In questo senso bene sottolinea CesaBianchi (5) quando dichiara
complesso poter distinguere fra patologia dell'invecchiamento,
patologia nell'invecchiamento ed invecchiamento stesso.
Pochi personaggi famosi, ad esempio B.Russel e G.B.Shaw,
mantennero eccellente attività ,acutezza mentale e
creatività fino alla fine, ed in età molto avanzata.
Gli anziani sono meno mossi dall'irrequietezza e dall'impulso
all'azione che urge nel giovane. L'invecchiamento rappresenta
una curiosa,particolare ed affatto comoda altalena di pensosità
e pulsione ad agire.
Nel corso della vita ,per un lungo periodo, l'essere umano
accumula,per così dire, una considerevole esperienza
nel mondo delle relazioni interpersonali e (parallelamente)
con se stesso.Appena il fuoco della passione e della distruttività
si spengono, una (relativa) distaccata riflessività
ed un più compiuto e profondo senso di essere nella
vita sono offerti come saggezza e capacità di ponderato
e distaccato giudizio.
In tempi più lontani ed in culture primitive -che
sembra abbiano subito meno la pressione del modernismo e del
consumismo competitivo- l'anziano era usualmente considerato
ed apprezzato per l'acume che aveva presumibilmente conquistato
nel corso della sua vita e del suo invecchiare.
Diventare più vecchio ma non troppo vecchio potremmo
definirlo un rischio che ci sentiamo ancora di correre,ma
l'accettare di diventare proprio vecchio rappresenta un' ipotesi
così sgradita che difficilmente siamo disposti ad avvallarla
nella forma logica e scontata con cui altri ( magari non così
vecchi) sembrano offrircela.
La considerazione della vecchiaia può essere sincera
e più o meno gratificante : dipende dall'individuo
e dalla sua cultura sociale di riferimento.Sovente una simile
considerazione assolve la funzione di diniego,tende addirittura
alla smentita di una verità ineludibile : la vecchiaia
esiste veramente e risulta( più o meno) sgradita.Il
sentimento intriso di malinconia che intesse la consapevolezza
dello scorrere del tempo - la temporalità dell'esistenza-
deve toccarci, pungerci, se davvero desideriamo aver cura
della ferita che,più o meno quotidianamente, ci provoca
Non è possibile aver cura di un dolore negato o veicolato
attraverso il soma: è solo un dolore con il quale l'appuntamento
è rimandato, posticipato.Desolatamente contrattato,
se capacità ed energie sono esaurite ,se età
e malattia cominciano a lasciare un segno (troppo tangibile,troppo
intollerabile)su corpo e mente.
Divenire più vecchio solleva dalla corsa competitiva
e dalle aspettative che si hanno da giovani ,depotenzia gradualmente
la spinta a contare sulle proprie( e più vitali ) forze
.Non solo si è definitivamente perso il treno della
giovinezza,ma è anche messo amaramente in dubbio il
senso d'autosufficienza narcisistica ( per quanto ognuno continui
ad augurarsi che ciò non avvenga).
Quando tutto è stato detto ed è stato fatto,
la freccia della vita si scaglia in un'unica direzione : la
vita appare una corsa già corsa.
Più vecchio ed i suoi molteplici significati
Durante la vecchiaia il tempo è percepito avanzare
più velocemente rispetto alla giovinezza e,soprattutto,
rispetto all'infanzia, fasi della vita nelle quali lo scorrere
del tempo si percepiva intriso di qualità soggettive,
l'essere straordinariamente breve ed imprevedibilmente vischioso.
Alcuni di noi sono ancora in grado di ricordare quanto insopportabilmente
lungo appariva il periodo della scuola, come se le vacanze
non dovessero arrivare mai.
Gifford sottolinea che il familiare -come consueto e noto
- fenomeno dello scorrere del tempo ,percepito più
rapido con l'aumento dell'età, si lega,usualmente,
ad una graduale riduzione di varietà ed intensità
della stimolazione sensoria.In questo senso può essere
interpretato come un possibile adattamento alla fase involutiva
della vita.Il fenomeno dell'involuzione sembra colpire specialmente
quella fascia di individui molto attivi, che sembrano essere
stati riccamente dotati di slancio vitale,coloro che già
sembravano non aver mai tempo a sufficienza per interessi
ed attività.
In queste persone il processo di invecchiamento appare premere
a fondo il pedale dell'acceleratore così che lo scorrere
del tempo si ravvisa più rapido ed intempestivo ( inopportunamente
intempestivo)di quanto in realtà sia. Così,
guardando al graduale declino di corpo e mente,si consegue
amaramente la prova provata della terminabilità dell'esistenza.
E' più frequente che soggetti fortemente attivi cedano
a sconforto e profonda amarezza,perché irrimediabilmente
feriti nel loro sentimento di vitalità e ,forse, progettualità
dell'esistenza, percependo di essere scippati inesorabilmente
di una duplice proprietà,vita e tempo di vita. Eppure
possono essere proprio loro a trarre maggiore giovamento dal
trattamento psicoterapeutico.Lungo l'arco dell'esistenza si
modula una tensione che dinamicamente oscilla tra il vivere
ricordando con nostalgia ciò che è passato e
vivere senza ricordare, con lo sguardo al futuro.E questa
è una caratteristica degli anni della vecchiaia(6).
Parecchie sono le persone anziane che vivono nelle reminiscenze
del passato con una nostalgia romantica dei ricordi o, almeno
,di quanto analizzano come ricordi.Poiché il vivere
per loro è adombrato dalla perdita di vigore fisico
e prontezza mentale - altrettanto quanto la curva algoritmica
della lunghezza della vita - il guardarsi alle spalle, il
vivere a gambero, incrementa la speranza di ricatturare paradossalmente
un passato da opporre ad un presente (sconfortante) e ad un
futuro ( troppo esiguo).Si coltiva, dunque,l'illusione di
compensare un presente devitalizzato,ancor più estraneo
ad un futuro troppo evanescente.Sono operazioni che sortiscono
l'effetto di ingenerare,spesso, noia ed esasperazione nei
membri più giovani della famiglia. Frequentemente ricorrono
frasi come -era meglio ai vecchi tempi- oppure- la fai facile
tu
non hai idea di com'erano i tempi andati
lasciatelo
dire -
.
M.Twain amava ripetere : quanto più vecchio divento,
più vividamente ricordo cose che non sono mai accadute
(7)
L'elaborazione delle perdite - reali e fantasticate - non
può avvenire se non si è realizzata un'adeguata
opera di metabolizzazione ,ma il concomitante processo di
invecchiamento rafforza i vissuti di deprivazione ed abbandono.Probabilmente
gioca un ruolo importante anche la nostalgia , il senso del
ricordare quanto è passato, che è parte del
normale processo del lutto .I più anziani possono essere
aiutati ad elaborare il lutto per liberarsi della depressione
che implicitamente racchiude la perdita del passato. Affrancati,
possono vivere in modo più vitale il presente.Ma se
questo può essere più vero per alcuni e non
per altri,di certo non include tutte le rimuginazioni di chi
invecchia e di chi si sente ormai troppo vecchio per vivere
Il termine più vecchio è di per sé ambiguo:letteralmente
non esprime altro che un'opera di comparazione fra oggetti
ed oggetti, funzioni ed altre funzioni, lungo la scala temporale.Non
può recuperare senso l'invecchiare all'interno del
concetto di vecchiaia se non come fase finale nello schema
evolutivo dell'esistenza.Ed anche così rischia di soddisfare
un criterio troppo relativistico . Nell'uso del comparativo
"più vecchio" non esiste una comparazione"sostanziale",
in grado di differenziare coloro - che sono più vecchi
per aver oltrepassato la linea di confine ,stabilita per le
donne biologicamente dal climaterio - da coloro che sono ormai
desolatamente troppo vecchi.Una distinzione più significativa
potrebbe però portare a proporre due gruppi (di anziani),includendo
nel primo le persone tra i 55 ed i 68 anni e nel secondo le
persone che abbiano superato i 75 anni.Se è vero che
i soggetti appartenenti al secondo gruppo sono più
vecchi, è altrettanto vero che più vecchio è
eufemisticamente usato per intendere un soggetto "diventato
davvero molto vecchio".
Usualmente lo si preferisce rispetto ad invecchiato, termine
che indica quegli anziani per i quali l'avanzare del tempo
è decisamente netto ed estremamente limitata la prospettiva
di vita.
Più vecchio ha anche ulteriori sfumature.
E' un termine che definisce quella fascia di popolazione
fra i 50 ed i 60 anni,che rappresenta,cronologicamente parlando,
il gruppo dei più giovani.Un paziente più vecchio,
ma paradossalmente anche più giovane ,ancora giovane,
ha tempo per una vita attiva e per opportunità di cambiamento.
Di conseguenza, può essere fortemente motivato a "lavorare"
da un punto di vista psicoterapeutico.
Quando il pensiero del proprio invecchiamento assurge alla
soglia di coscienza,si viene maggiormente motivati ad impiegare
al meglio il tempo che rimane,prima che scelte ed attività
personali possano essere colpite dal veto ingiunto dalla vecchiaia
di un vecchio diventato sempre più vecchio.
Una donna di 62 anni, nell'intraprendere l'analisi, disse:"
mi domando se sarò in grado di lavorare così
duramente da usare (e brillantemente) il tempo che rimane
per vivere gli aspetti migliori della vita"(8).
Una simile persona rientra probabilmente in quel gruppo di
persone solide che sono fuori dall'usuale curva dell'invecchiamento,che
esulano dalla norma nel mantenere vigore fisico, capacità
psicologiche e sociali attive ed il più possibile funzionanti.
Ma per quelli per i quali il processo di invecchiamento è
andato oltre il limite, che sono nell'ottava e nona decade
della vita, i cosiddetti grandi vecchi? Invero stanno invecchiando
anche se nel loro caso si preferisce usare più vecchio
rispetto a vecchio,forse perché ai giorni nostri e
nella nostra società vecchio è già un
obbrobrio, perché allude troppo a qualcosa da buttare(magari
perché ha assolto ogni funzione prevista dall'uso).
Per coloro che sono realmente vecchi, malati e definitivamente
attaccati da malattia ad esito infausto, la vecchiaia rappresenta
davvero un'afflizione che sembra senza rimedio.D'altro canto
obiettivi e scopi in chi è vecchio sono differenti:il
futuro si sta presentando come mancanza di futuro.Esistono
dunque delle limitazioni nella riorganizzazione intrapsichica
di es superio io e realtà esterna. Procedendo dall'inizio
della vita sotto la spinta alterna degli impulsi si torna
ad uno stato inanimato che racchiude la cosiddetta morte delle
pulsioni di vita,acme ed inevitabile punto finale della crisi
evolutiva della vecchiaia.Adattamento e sforzo di progettualità
rappresentano operazioni complesse, prove ardue che aggiungono
tormento alla sofferenza di una vita ormai deprivata di significato.
Un trattamento psicoterapeutico può facilitare il
guado in questo rito di passaggio All'interno di un'atmosfera
empaticamente responsiva , valori e prospettive possono essere
rivisti .
Freud ci parlò di un amico che ,mentre stava morendo,
gli chiese :" per favore, tienimi la mano Ho sempre paura
ad affrontare il buio da solo"(9).
Alla luce di considerazioni conclusive di natura tecnica
Attraverso il ciclo dell'esistenza le sequenze legate alle
varie fasi dello sviluppo sono in grado di mobilitare nella
persona capacità di crescita personale ed adattamento
alla realtà : eventi negativi e conflitti sortiscono
l'effetto di riattivare, attraverso la regressione,la specificità
connessa alla consistenza della fase precedente .Dunque l'ultima
fase ,la vecchiaia, e la sua prospettiva di fase terminale,
producono effetti nell'analisi dell'anziano e nel complesso
dei fattori terapeutici della situazione analitica.E' principalmente
nella forma, intensità, contenuto del transfert che
l'analisi dell'anziano varia rispetto probabilmente all'analisi
di una persona giovane.I pazienti tra l'ottava e la nona decade
di vita vengono in analisi con bisogni e motivazioni innescati
dalla consapevolezza di essere diventati inevitabilmente vecchi
con incerto, troppo esiguo ,desolatamente esiguo futuro. Una
riflessione su queste differenze e sul loro effetto nella
tecnica analitica andrebbe ben al di là dello scopo
di questo lavoro
Pur tuttavia cercherò di tratteggiare
alcuni elementi che con maggiore frequenza ricorrono nel lavoro
analitico con anziani.Un profondo senso di solitudine ed un
intensificato bisogno di attaccamento permeano il vissuto
dell'anziano, in particolare quello di più avanzata
età che ha perso il partner e che è stato lasciato
troppo solo.Inoltre lo stillicidio irreversibile irrelato
agli effetti fisici e psichici nel processo di invecchiamento
è normalmente percepito come un susseguirsi di smacchi
, inadeguatezze, amputazioni ,quando non perdite definitive
della propria autonomia ed autosufficienza.
Non solo sono diventati troppo vecchi, costretti a patire
la perdita di importanti legami con gli altri significativi
ma ,soprattutto, soffrono per il vissuto, a loro familiare,
di perdita nel sentirsi "altri abitanti" del loro
corpo e della loro mente come (da sempre) risultano a loro
noti e familiari.Corpo e mente,in modo anche del tutto apparente,
sembrano paradossalmente sganciati dalle rappresentazioni
che si amerebbe di loro poter conservare
Si rafforza
la disperante sensazione di navigare a vista e in condizioni
climatiche affatto favorevoli.
"Ora sono fondamentalmente solo Non mi rattristavo in
questa maniera quando ero giovane , più giovane; qualche
volta ne gioivo Allora sapevo sempre di contare sull'esserci
per me e per gli altri altrettanto bene. Oggi, per quanto
abbia amici e conoscenti, non posso davvero più contare
su qualcuno, né su di me per essere mia risorsa e sostegno"(10).
La ricerca della comprensione dei conflitti intrapsichici
e degli eventi negativi nel processo di crescita rappresenta
la gran parte dell'analisi nell'anziano, come avviene anche
per i più giovani. Per l'anziano, in modo speciale.Poiché
nel lavoro psicoterapeutico ci si prefigge migliore comprensione
ed accettazione di noi stessi, la qualità nel risultato
dipende anche dalla capacità di sentirsi e esprimersi
autenticamente attraverso la relazione analitica col terapeuta.
A questo proposito il transfert ,modulato nella relazione
col terapeuta -- che a sua volta mette quel tipo di paziente
sulla strada di una maggiore conoscenza e tollerabilità
dei vissuti - soddisfa un bisogno di attaccamento realistico
affinché possa avvenire un processo dì restituzione
per un anziano privato di oggetti e con scarse opportunità
di nuovi legami significativi.Anche la possibilità
di riflettere sul passato sfogliandone via via le speranze
che di quel passato hanno rappresentato ordito e trama. Nell'analisi
di una persona giovane che,al contrario, avverte in modo reale
e denso l'esperienza di perdita ed isolamento,interpretazione
ed insight rappresentano gli elementi necessari nel lavoro
col paziente.
L'obiettivo per l'anziano si colloca dunque nell'acquisizione
di un ragionevole grado di autonomia e coinvolgimento interpersonale,
particolarmente importante verso la fine del trattamento psicoterapeutico.In
tutte le analisi forse l'analista funziona come oggetto transizionale
per rafforzare la capacità integrativa dell'io ed il
recupero del senso di coesione del sé..Ma nelle analisi
degli anziani il conseguimento di un ragionevole, apprezzabile
e consistente senso di sentirsi non estraneo a se stesso acquista
una certa urgenza per fugare il sentimento di depersonalizzazione
che sovente alligna nelle molteplici sfumature del percepirsi
vecchio ed inutile.
L'anziano nella fase finale della propria vita è sollecitato
interiormente ed esternamente a confrontarsi con l'essenza
del suo stesso esistere nella vita ,come ancora se stesso
e per paradosso non più se stesso ,pericolosamente
lontano dal suo essere se stesso perché anche soggetto
che - tristemente -invecchia.
Il lavoro analitico rappresenta un'opera di restituzione:
il senso di vitalità ,non solo di attività,nell'anziano
può essere recuperato ed anche rafforzato.
L'analisi di pazienti nella loro ottava e nona decade di
vita ci conduce alla fondamentale teoria dello sviluppo che
scandisce attaccamenti,evoluzioni ed involuzioni nel ciclo
di vita :il primario senso di sé, differente da non
sé,acquisito nei primi mesi di vita, riveste un'importanza
decisiva. Naturalmente ci sono sempre eccezioni ,alcune degne
di nota, ad esempio persone che riescono - al di là
del contingente - a contare su di sé affrontando la
realtà Ma coloro che sono vecchi tendono per lo più
a regredire verso l'oggetto primario e la posizione depressiva
anaclitica.Di conseguenza la modulazione del transfert è
connotata dal senso di andare a ritroso, verso primitive ed
arcaiche posizioni (predipiche e diadiche) : questa è
una differenza che salta agli occhi se mettiamo a raffronto
le edizioni e riedizioni della risposta transferale durante
il corso del trattamento analitico di pazienti più
giovani,affetti da nevrosi..A questo riguardo età e
sesso nell'anziano - che affronta una terapia vis a vis -
ed età e sesso dell'analista assumono un'importanza
significativa (nel gradiente della coloritura ed intensità
transferale ) durante tutto il corso del trattamento.
Si viene sempre più delineando che non esiste un veto
,nel senso stretto del termine, come lo intendeva Freud,al
trattamento analitico del paziente anziano.La differenza non
si colloca solo nella struttura dell'anziano,ipotizzata maggiormente
impermeabile al lavoro analitico, ma nella qualità
della relazione che il paziente costruisce con se stesso ripercorrendo
fasi arcaiche del suo sviluppo intrapsichico che sono anche
e soprattutto potentemente investite dalla consapevolezza
della temporalità dell'esistenza. Sono le primitive
fasi dello sviluppo mentale ripercorse con un'intensità
più forte che lo impegnano doppiamente nell'affrontare
i conflitti ed il riadattamento che ne consegue.
Può avere una certa importanza (ma non fondamentale
per l'assetto della relazione) se anche l'analista è
una persona anziana; può facilitare un'identificazione
con la prospettiva esistenziale del terapeuta ,che si offre
come luogo di incontro di valori che possono essere condivisi.Per
recuperare una sufficiente capacità di adattamento
e per supportare una visione della vita meno sconsolata.Generalizzando
esiste una differenza nel modo in cui ci avviciniamo e trattiamo
con un paziente anziano.Tendiamo ad accettare in misura maggiore
, ad essere più inclini a responsività nell'
analizzare i bisogni che questo tipo di paziente esprime,vale
a dire la richiesta di attaccamento e supporto .Lo facciamo
perfino attraverso quello che sgorga in una qualche misura
dalla priorità tradizionalmente assegnata all'analisi
del transfert nella revisione dei preesistenti conflitti e
relazioni oggettuali.Senso dell'umorismo verso la vecchiaia,anche
ironia ,possono esserci d'aiuto se congiunti ad uno spirito
di accoglienza genuina e confortante.
Possono segnare l'inizio di un' analisi che per un anziano
non termina nel modo consueto poiché attraverso gli
aspetti transferali, che contraddistinguono la relazione analitica
di quel paziente , si mira a sostenere ,forse anche privilegiare,certi
aspetti rispetto ad altri. Ne consegue che una porta in senso
non solo lato e metaforico deve comunque rimanere aperta,
anche quando l'analisi è terminata, tecnicamente terminata.Una
porta aperta - da aprire e chiudere a piacimento del paziente-
deve poter costituire un tratto per così dire costante:
questo permette di esprimere attaccamento empatico e senso
di responsabilità nell'aver cura dell'anziano( non
solo nell'avere un anziano in cura) qualora le circostanze
della sua vita possano in un futuro esigerlo.Sono decisamente
consapevole di aver solo "tratteggiato" , e negli
aspetti più essenziali, cosa significhi scivolare nella
china della vecchiaia, sempre più vicini alla morte.Nonostante
ciò mi piacerebbe spezzare una lancia riaffermando
che" non tutto è perduto quando si diventa anziani".
Come alcuni autori hanno sostenuto(King 1980, Sandler 1984,
Settlage 1996),ci sono persone ,anche molto vecchie, non disposte
a sedersi in panchina e lasciarsi scorrere addosso il tempo.Come
i più giovani ,così i più anziani manifestano
un interesse sempre crescente nel riflettere ed analizzare
il proprio passato rispetto al presente ed al futuro : sono
- e di gran lunga- motivati dal desiderio di fare il miglior
uso possibile del tempo rimasto.
Poiché analizzare l'anziano non significa percorrere
un cammino tutto in discesa,occorre metter in conto in anticipo
le difficoltà che si legano alla percezione personale
dell'invecchiamento nel singolo anziano per poterne rafforzare
capacità integrativa dell'io e favorire recupero del
Sé.
Purtroppo non è possibile annullare pene ed eventi
negativi nella (e della) vecchiaia:possono essere mitigati
,anche semplicemente addolciti,rimanendo fedeli al vecchio
adagio di G.B.Shaw che ,commentando sull'invecchiamento e
sulla morte, raggiungeva un rocambolesco e fantasioso compromesso:
"One should die young,but delay it as long as possibile".
Causticamente è dunque consigliato morire giovani;in
fondo anche per gli antichi greci era caro al cuore degli
dei chi moriva in giovane età, ma ,s'intende, se non
è possibile evitare con questo paradosso la vecchiaia
allora è augurabile cimentarsi bene nel procrastinare
quanto più possibile il commiato dalla giovinezza.
NOTE BIBLIOGRAFICHE
Faccio ampio riferimento alle fonti bibliografiche citate
in lingua originale ed adotto alcuni criteri esplicativi inerenti
la terminologia usata.
Nota 1
Per Psicanalisi si intende la disciplina fondata da Sigmund
Freud"in cui si possono distinguere tre livelli:
A - Un metodo di indagine consistente essenzialmente nell'esplicitare
il significato inconscio dei discorsi,delle azioni,delle produzioni
immaginarie(sogni,fantasmi,deliri) di un soggetto.
Questo metodo si fonda principalmente sulle libere associazioni
del soggetto che sono la garanzia di validità dell'interpretazione.
L'interpretazione psicoanalitica può estendersi a produzioni
umane per le quali non si dispone di associazioni libere.
B - Un metodo psicoterapeutico fondato su tale indagine e
specificato dall'interpretazione controllata della resistenza
del transfert e del desiderio. A questo senso si ricollega
l'uso di psicoanalisi come sinonimo di cura psicoanalitica;
esempio: iniziare una psicoanalisi(o un'analisi)
C - Un complesso di teorie psicologiche e psicopatologiche
in cui sono sistematizzati i dati apportati dal metodo psicoanalitico
di ricerca e di trattamento.
Freud ha dato varie definizioni della psicoanalisi. Una delle
più esplicite si trova all'inizio della voce Enciclopedia
pubblicata nel 1922.
Psicoanalisi è il nome di
1) un procedimento per l'indagine di processi mentali che
sono pressoché inaccessibili per altra via
2) di un metodo terapeutico fondato su tale indagine per il
trattamento dei disturbi nevrotici
3) di una serie di concezioni psicologiche acquisite per questa
via e che gradualmente convergono in una nuova disciplina
scientifica".
Nota 2
Bene afferma Rodini quando sottolinea che " un insieme
di fattori hanno favorito il confronto fra psicoanalisi e
psicologia evolutiva.In campo psicoanalitico l'interesse per
la ricerca diretta sul bambino è stata favorita dal
nuovo atteggiamento della psicologia dell'Io orientata a reperire
nuove informazioni sullo sviluppo( gli studi di Spitz e della
Mahler ne rappresentano un'illustre espressione) e dalla scuola
kleiniana che ha messo a punto il nuovo metodo dell'infant
observation per studiare lo sviluppo neonatale nel contesto
naturale della famiglia, a ciò si aggiunge l'interesse
per lo studio della relazione precoce madre/bambino aperta
dalle nuove prospettive introdotte dalla teoria delle relazioni
oggettuali.Dal canto suo la psicologia evolutiva ha sviluppato
gli studi sull'interazione madre/bambino,gli studi longitudinali
interessati al cambiamento ed il filone interattivo-cognitivista.Questo
insieme di ricerche hanno favorito una situazione di confronto
fra questi campi di studio riducendo una incomunicabilità
storica fra metodo clinico e metodo sperimentale.Ora si aprono
nuovi dibattiti circa il ruolo da attribuire all'attività
simbolica e fantasmatica del mondo intrapsichico rispetto
all'attività cognitiva e circa le conseguenti applicazioni
nel campo della diagnosi e del trattamento ,di cui cominciano
ad apparire dei contributi(Robbins 1989,Modell 1985,Fonagy
1991) soprattutto nelle patologie più gravi".
Nota 3
In questo senso si consiglia la lettura di quanto previsto
dal Codice deontologico dell'Albo degli PSICOLOGI.
Nota 4
Nella primaria modulazione somatomentale" tutto ciò
che è pensoso è vissuto come un fuori"...Una
sofferenza fisica precoce "eccessiva" ostacolerebbe
la possibilità di integrare "l'io corpo"
e di maturare il senso di identità,così come
una quota di sensazioni dolorose si renderebbe indispensabile
alla coniugazione ed al consolidamento del senso di sé,garantendo
una consapevolezza "sicura e fidata" di abitare
il proprio corpo e di essere nel corpo stesso .
Nota 5
M.Cesa-Bianchi(1996),Anche la personalità invecchia,
Kos Rivista di medicina cultura e scienze umane,giugno 1996,nr.129,pp.42-44
Nota 6
Riguardo al tema della memoria faccio riferimento a C.Cornoldi,
R.De Beni(2002), Era vero o no? Eventi vissuti ed eventi pensati.
funzionamento,malfunzionamento,paradossi e "papere"
del monitoraggio della realtà,Psicologia Contemporanea,settembre-ottobre,nr.173,pp.50-56
Note 7-8-9-10
A.Valenstein(2000), The older patient in psychoanalysis,Journal
of the American Psychoanalytic Association,vol.48,nr.4,pp.1563-1589
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
- AA.VV(1996),Mondo interno e mondo
esterno,Nis,Roma,pp.235-263
- D.Berthelsen(1990),Vita quotidiana
in casa Freud,Garzanti,Milano
- F.Borgogno( a cura di)(1999),La
partecipazione affettiva dell'analista.Il contributo di
Sandor Ferenczi al pensiero psicoanalitico contemporaneo,F.Angeli,Milano
- S.de Beauvoir(1971),La terza età,Einaudi,Torino
- H.F.Ellenberger(1976), La scoperta
dell'inconscio,Bollati Boringhieri, Torino,pp.1-526,527-1043,voll.1-2
- R.Farneti(2000),Rappresentazioni
del climaterio fra ipotesi passate e modelli al presente,Quaderni
di cultura della Formazione, Imprimitur,Padova, pp.181-226
- S.Gifford(1978),The prisoner of
time.Some developmental aspects of time perception in infancy,sensory
isolation and old age, Annual of Psychoanalysis,8,pp.131-154
- J.Laplanche,J.B.Pontalis(1968),Enciclopedia
della psicoanalisi,Gius-Laterza,Milano,pp.434-436
- A.Van Gennep(1981),I riti di passaggio,Bollati
Boringhieri,Torino,pp.127-164
Il presente lavoro è in corso di pubblicazione presso
le Edizioni Imprimitur di Padova per la "Collana Quaderni
di Cultura della Formazione", diretta dal Prof. E. Guidolin.
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