di
Rita Farneti
La pila degli anni non è così alta
come quando venisti prima d'ora
ma sta crescendo ogni giorno
dal pavimento del ricordo
e mentre alzandomi sul cuore
posso ancora raggiungere la cima
cancella la montagna col tuo volto
ed afferrami prima che io cada.
(E.Dickinson)
Cosa s'intende per successfull ageing,usualmente tradotto
con vecchiaia di successo?
Il sostanziale aumento dell'aspettativa di vita(Bowling 2005),conquistato
nel secolo scorso,unito ai progressi della chirurgia,a migliorate
condizioni di vita,a mirate politiche di programmazione sanitaria
ed a più raffinate conoscenze dei processi di invecchiamento,hanno
puntato l'attenzione internazionale sull'età adulta
tarda,promuovendola come fase della vita ancora potenzialmente
declinabile in condizioni di salute e benessere soddisfacenti.
Mutando dunque i modelli di malattia della(e nella) vecchiaia,riducendo
ulteriormente con interventi tempestivi ed efficaci i rischi
per la salute dell'età adulta tarda,vivere una stagione
della vita migliorata e migliorabile diventa un obiettivo
sempre più realistico,tanto da ritenere che un'attenta(ed
in pari misura lungimirante) politica sanitaria dovrebbe promuovere
un invecchiamento "felice" già fin dai 60
anni - piuttosto che un mero supporto ad anziani già
in condizioni di malattia , spesso cronica - ,per sostenere
e supportare un modello di invecchiamento positivo tanto caro
alle speranze dei più.
Le teorie biomediche considerano buona una vecchiaia comprensiva
di maggiore aspettativa di vita,nella quale diventa auspicabile
poter sempre più contrastare i segni di un fisiologico
deterioramento fisico,mentale ed una condizione di svantaggio
cognitivo.
Da ciò il tanto usato - e forse abusato termine- successfull
ageing, con il quale si ricomprende sia l'assenza di malattia
cronica (subordinata ad un'efficace antagonizzazione dei fattori
di rischio per l'insorgenza della malattia stessa),sia un
livello di salute percepito soddisfacente, con alti gradi
di autonomia fisica, inclusa la possibilità di dare
prestazioni ancora buone ,la presenza di autosufficienza ed
una capacità di orientamento temporospaziale complessivamente
accettabili.
La usuale e,forse, superficiale dicotomia fra una popolazione
che invecchia,funzionando come malata, ed una popolazione
che,pur invecchiando,registra ancora parametri di normalità,anche
se sfiorata da patologie, ci induce a riflettere sull'amplissima
e complessa eterogeneità all'interno dei due gruppi.
Rave e Kahn(1998) hanno infatti preferito operare una distinzione
fra una vecchiaia valutata come"normale", con un
normale e fisiologico declino psicologico e fisico, ed una
vecchiaia "buona",nella quale la perdita funzionale,
se pur progressiva, è contenuta,poichè i fattori
estrinsechi giocano ruoli neutrali e/o positivi.
Questa valutazione porterebbe ad evidenziare nei componenti
di una buona vecchiaia non la mera assenza di malattia,ipotesi
peraltro irrealistica, bensì la capacità di
mantenere una buona forma fisica ed un buon funzionamento
mentale, incluso un attivo e gratificante impegno sociale.
Il modello offerto da Rave e Kahn viene sempre più
adottato,pur nella realistica consapevolezza che una vecchiaia
libera da "affanni e malanni" rappresenti un'eventualità
alquanto remota per la maggior parte delle persone.Per quanto
a metà della popolazione anziana secondo i predetti
parametri venga riconosciuto di invecchiare con successo,solo
poco meno di un quinto può essere portatore di un invecchiamento
felice, supportato da un benessere psicofisico percepito ancora
soddisfacente.
Il livello di soddisfazione per ciò che si è
vissuto ed il grado di appagamento per il presente,uniti ad
una realistica speranza in un futuro se pur residuale, costituiscono
i parametri che permettono di definire con un approccio positivo
una fase della vita,la vecchiaia,sempre più indagata,data
,forse, troppo per scontata, ma complessivamente ancora di
delicata decodifica.
Se il modello biomedico enfatizza la minor incidenza di patologie
gravi ed invalidanti,auspicando altresì quanto più
a lungo possibile ben integro e conservato il funzionamento
fisico e mentale, dunque un'immagine di vecchiaia al meglio
delle sue possibilità,il modello sociopsicologico invece
sottolinea la capacità di provare ancora soddisfazione
dalla vita,in virtù di una partecipazione attiva alla
socialità,agevolata da un funzionamento psicologico
ancora adeguato,da buone risorse interiori,in sintesi dalla
possibilità di ulteriore crescita personale( nell'arco
dell'intero ciclo di vita che include a pieno titolo la senescenza).
Essere portatori sani di buona vecchiaia esprime la possibilità
di provare ancora appagamento,di nutrire la propria giornata
di volizione e reattività,di sperimentare ancora la
capacità di gioire,favoriti da un equilibrio felicemente
instabile fra il desiderare e l'accettare di potere realisticamente
appagare desideri in forma ridotta,surrogata ed anche simbolica,
conservando altresì quanto più possibile un'idea
di sé coesa ,coerente ed apprezzabile,alimentata dal
senso di congruenza interna,dalla duttilità creativa
e dalla capacità di sviluppare ancora adattamento a
perdite ,lutti,separazioni e dolori.
La capacità di funzionare come esseri sociali è
dunque l'altro aspetto del buon invecchiamento, poichè
un'interazione positiva con l'idea di sé e la capacità
di costruire ancora relazioni con gli altri permettono integrazioni
al modello del sè sociale e la partecipazione vivificante
all'ambiente in senso lato.
Il vecchio adagio non solo anni alla vita ma ,soprattutto,
vita agli anni in fondo lo testimonia appieno.
Dal punto di vista psicologico le carte vincenti per un buon
invecchiamento includono una visione del mondo "pacificata",un
senso di dignità ed apprezzamento personale, la percezione
di autostima e controllo sulle personali e residuali proprietà
della vita,complessivamente strategie di rievocazione e conservazione
ancora delle buone cose per fronteggiare cambiamenti e modificazioni
del sé corporeo.
La difficoltà di riconoscere se stessi come ancora
se stessi rappresenta forse la difficoltà maggiore
e sottolinea un compito evolutivo ove più intensa si
addensa la sofferenza.Il corpo diventa testimone,muto ed assordante
al tempo stesso, dello sfinimento della vita, dimostrando
inequivocabilmente l'approssimarsi del commiato con tutte
le angosce del caso.L'esperienza del vivere include l'acquisire
la consapevolezza della temporalità dell'esistenza
e,dunque, della morte -da ciò la logica stringente
che si invecchia un po' come si è vissuto-,riconsiderando
che se temperanza e realismo permettono ancora un equilibrio
interiore,la loro assenza in questo ulteriore compito evolutivo
di adattamento alla realtà interna( un mondo che si
percepisce appartenente a quello/a che sono stato/a ed una
realtà esterna ove manca il posto per quello che si
è nell'hic et nunc)spingono nella direzione della desolazione
più devastante, aggravata dalla fatica nel fare un
bilancio spesso percepito soggettivamente deficitario,ultima
pulsione aggressiva contro la morte focalizzata invece su
brandelli di vita vissuta.Sono pochi i contributi e le ricerche
inerenti i punti di vista degli anziani sul modello di una
vecchiaia felice,simmetrica nel vissuto ad una vita altrettanto
felicemente attraversata.Se le ricerche sulla vecchiaia vanno
per lo più nella direzione di un'acquisizione di dati
relativi alla salute mentale e ad un adattamento sociale,spesso
espresso in forma generalizzante,pressochè irrisori
sono i contributi che permettono di indagare sulla modalità
di progressivo distacco dalle cose e dalle persone, conservate
alla propria coscienza nella forma intangibile del ricordo,fino
all'ultimo ancora palpitanti e confortanti,in quella fase
che anticipa la separazione fisica dalla vita e prelude all'accettazione
della propria mortalità e della propria morte,momento
fra i più profondi, alti,intimi e solitari ai quali
l'essere umano consegna l'incontro con la separazione definitiva
da se stesso.
Se l'equazione binaria salute=giovinezza ancora accampa tutto
il peso della sua incalzante logica, per i più invecchiare
bene significa invecchiare in salute,il che non esclude acciacchi,eventi,incidenti
ed accidenti di percorso, poiché prevede la possibilità
di godere ancora delle proprietà di quella vita nella
quale è ancora una volta possibile riconoscersi.
Se studi di politica sanitaria sulla senescenza evidenziano
l'importanza delle condizioni di svantaggio,le ricerche relative
ad un invecchiamento felice rilevano che una vecchiaia buona
è meno dipendente da fattori genetici di quanto usualmente
si pensi.Molto peso assumono le interazioni ed interrelazioni
sociali,le relazioni ed attività sociali residuali,legate
ad un sentirsi ancora nel mondo , che consente di viversi
come vitale contrastando le rappresentazioni di una vecchiaia
contenitore di ogni malanno,deputata dunque alla mera rottamazione.
Nell'arte del vivere si può imparare ad invecchiare,magari
con ottimismo e con una ragionevole speranza...
Vale l'adagio del bicchiere che si accetta essere mezzo pieno,senza
sottolinearne la metà troppo vuota,vale la capacità
di tollerare l'ambivalenza dei propri oggetti interni,l'aver
fatto le separazioni necessarie da un corpo che non si può
pretendere immutabile,permettendo il passo discreto di un
tempo vuoto e silenzioso nel quale poter accettare di abbandonarsi,consapevoli
che permane sulla vita e sulla vecchiaia tutto il fascino
ed il mistero che ancora ne evocano verità ed essenza.
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
A.Bowling,What is a successfull ageing and
who should define it?BMJ,2005,331:1548-1551.
E.Palmore,Predictors of successfull ageing,Gerontologist,1979;19:427-31
J.W.Rawe,S.L.Kahn,Successfull ageing,New York,Pantheon Books,1998
R.Crosnoe,G.H.Elder,Successfull adaptation in the later years
:a life course approach to ageing,Soc.Psychol.Q.,2002,65:309-28
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