di
Enzo Grossi
Direzione Medica Europa, Bracco Imaging SPA, Milano
Che consigli offrire ai pazienti quando le nostre evidenze
sui trattamenti provengono da ampie popolazioni di studio?
La medicina ha fatto dei progressi dai tempi della famosa
citazione di Voltaire, "l'arte della medicina consiste
nel distrarre il paziente mentre la natura cura le malattie,"
ma ciò che sembra evidente è che questo progresso
sia stato e continui ad essere piuttosto lento.
Cercherò di chiarire questo concetto attraverso il
fittizio ma non improbabile dialogo che segue:
Paziente indagatore: Se assumo questo farmaco
guarirò?
Medico compiacente: Si!.
Paziente indagatore: Come fa ad esserne
certo?
Medico compiacente: L'ho letto nella recensione
di un articolo pubblicato su di una prestigiosa rivista medica
Paziente indagatore: lei legge questi articoli
in modo critico?
Medico compiacente: In realtà no.
Infatti non ho mai letto questi articoli interamente per mancanza
di tempo. Ma le informazioni sul farmaco che ho avuto da colleghi
e da congressi medici mi hanno fatto capire che il farmaco
che le sto prescrivendo funziona. Ci sono forti evidenze provenienti
da ampi studi randomizzati.
Paziente inquisitore: Che cosa è
uno studio randomizzato?
Medico compiacente: Molti sostengono essere
la più importante scoperta medica del XX secolo. In
uno studio randomizzato un ampio numero di persone riceve
in modo randomizzato il farmaco o un placebo, ovvero qualcosa
del tutto somigliante al farmaco attivo ma che attivo non
è. Successivamente gli sperimentatori osservano ciò
che accade ai pazienti. Il farmaco che le sto prescrivendo
è stato somministrato a circa un migliaio di persone,
e circa lo stesso numero di persone ha assunto il placebo.
Nel gruppo trattato con il farmaco si sono verificati 50 decessi,
mentre nel gruppo che non ha ricevuto il trattamento i decessi
sono stati 200. Questo dimostra chiaramente che il farmaco
funziona.
Paziente indagatore: Cosa è successo
agli altri?
Medico compiacente: Sono ancora vivi.
Paziente indagatore: Ma sono stati curati?
Medico compiacente: In realtà no.
Sono ancora affetti dalla condizione patologica, ma è
chiaramente molto meglio ricevere il trattamento.
Paziente indagatore: Ok, quindi io non guarirò.
Questo sono disposto ad accettarlo, ma lei è sicuro
che il farmaco mi darà dei benefici?
Medico compiacente: Naturalmente. Basta
guardare le differenze tra chi ha assunto il farmaco e chi
no. Quelli che non lo hanno assunto hanno una probabilità
di morire quattro volte superiore.
Paziente indagatore: A me sembra che qui
vi siano quattro possibili esiti. Potrei assumere il farmaco
e morire nonostante ciò. Potrei assumere il farmaco
e non morire ma continuare ad avere la condizione patologica.
Potrei non assumere il farmaco e morire. Infine potrei non
assumere il farmaco e non morire ma continuare ad avere la
condizione patologica.. Come faccio a sapere in quale gruppo
rientrerò?
Medico compiacente: Beh, chiaramente lei
dovrà assumere il farmaco perché le ridurrà
di tre quarti le possibilità di morire. Questa è
la grande differenza.
Paziente indagatore: Ma io potrei assumere
il farmaco e morire nonostante ciò, oppure potrei non
assumere il farmaco e sopravvivere. Come faccio a sapere cosa
mi accadrà?
Medico compiacente:
.Non lo so!
Paziente indagatore: Solo perché
questo farmaco funziona in alcuni pazienti in questo studio,
come faccio a sapere che funzionerà in futuro? Lei
non sta per caso facendo l'errore del "tacchino induttivo"
di Bertrand Russell il quale supponendo di essere nutrito
tutti i giorni alle nove del mattino, credette di poter mangiare
alla stessa ora anche alla vigilia di Natale, mentre quella
mattina sempre alle 9 gli tagliarono la gola?
Medico compiacente: Io sono soltanto un
medico, non un filosofo.
Paziente indagatore: Questo è il suo problema.
Questa immaginaria ( ma non tanto) scena ci riporta ad un
problema apparentemente insolubile: come applicare le evidenze
derivate dalla letteratura, e in particolare dai grandi studi
clinici randomizzati al singolo caso.
Inizierò con il presentare alcuni semplici assiomi:
" Un singolo paziente non è la media rappresentativa
della popolazione, bensì una persona con caratteristiche
uniche.
" Un intervento può essere efficace per una popolazione
di individui ma non necessariamente per il singolo paziente.
" Le raccomandazioni di una linea guida possono non essere
giuste per un particolare paziente perché non corrispondono
a ciò che lui/lei vuole, e attuare le raccomandazioni
in quello specifico caso non necessariamente porterà
ad un esito favorevole.
L'epidemiologia clinica e la statistica applicata al campo
medico non sono adatte a rispondere alle specifiche domande
che sorgono a livello individuale. Esse si focalizzano sui
gruppi di individui e non sui singoli individui. La statistica
classica per definizione ha bisogno di campioni per lavorare,
e i campioni per definizione sono sempre più grandi
di uno. Questo spiega perché è quasi impossibile
rappresentare qualsiasi genere di statistica partendo dal
singolo individuo. Nonostante questi limiti i medici si sono
sforzati di trasferire i concetti statistici emergenti dai
gruppi ai singoli individui con risultati che il paziente
(e spesso anche il dottore) non sempre riescono a capire.
Come Michael Kattan ha scritto in un famoso editoriale, il
paziente che ci è di fronte può sempre più
spesso dire: "Io sono un paziente, non un calcolo statistico!"
[1].
La medicina basata sulle evidenze, che è un naturale
prodotto degli studi clinici randomizzati e della statistica
classica, ha condotto allo sviluppo di protocolli di gestione
che sono il miglior compromesso per un gruppo di pazienti
definiti in un determinato modo. Ma quando le linee guida
astratte vanno a investire un paziente reale, l'esperienza
di cura mostra chiaramente che (fatto salvo rare eccezioni)
nessun protocollo si adatta ad ogni paziente, e, ancora più
importante, nessun protocollo si adatta perfettamente ad ogni
paziente.
I clinici hanno bisogno di misurazioni degli esiti di singoli
pazienti durante una sperimentazione così come durante
l'attività clinica di routine, specialmente quando
essi si aspettano variazioni considerevoli negli esiti. Un
intervallo di confidenza è inadeguato per i clinici
affinché essi possano decidere cosa significhino nella
pratica clinica i risultati ritenuti utili emersi da una grossa
sperimentazione. I risultati ottenuti con la media statistica
e con gli intervalli di confidenza dalle grosse sperimentazioni
celano enormi differenze fra i risultati dei singoli soggetti.
Gli intervalli di confidenza ristretti generati dalle grosse
sperimentazioni (e ancor più dalle cosiddette meta-analisi)
sono spesso stati intesi a significare che il medico possa
riporre fiducia nel fatto che le stime dell'efficacia terapeutica
sono valide e accurate. Questo è falso sia in senso
strettamente statistico che più ampiamente in senso
clinico. Infatti gli intervalli di confidenza non danno indicazioni
della precisione di una stima per un singolo individuo all'interno
di una sperimentazione. Inoltre, la ristrettezza di un intervallo
di confidenza non ha alcuna relazione con una possibile interconnessione
causale, né fornisce alcuna indicazione dell'applicabilità
del risultato di una sperimentazione ad un'altra popolazione
di soggetti. Un paradosso che emerge è che questi intervalli
di confidenza ristretti non sovrapponibili che discriminano
in modo netto fra i protocolli in un senso statistico possono,
tuttavia, essere associati ad una variazione fra i soggetti
tale che alcuni pazienti possono essere danneggiati da un
trattamento di cui la maggioranza beneficia.
Una delle sfide maggiori dei prossimi anni per quanto riguarda
la ricerca biomedica sarà quella di trovare il modo
di assegnare il miglior trattamento ad un determinato paziente
sulla base dell'esperienza maturata in una grande popolazioni
di pazienti.
Si tratta in buona sostanza di trovare il paziente noto di
cui siano noti gli esiti a distanza ad esempio o la risposta
a particolari trattamenti, più prossimo e somigliante
al paziente in studio. Una sorta di "patient like me".
Ed è proprio questo il nome di un servizio offerto
negli stati uniti da una nuova ed emergente organizzazione
privata che, grazie a sistemi basati sull'intelligenza artificiale,
sta collezionando una enorme banca dati relativa a casi singoli
con l'intento di offrire a comuni cittadini la possibilità
di creare un matching con altri casi, magari affetti da una
malattia particolarmente complessa o strana. http://www.patientslikeme.com/about
Su questo filone sono nate riviste come " Cases Journal"
che perseguono proprio questo obiettivo: accumulare quantità
enormi di singoli casi per permettere di appaiare casi molto
simili tra di loro e di trarne utili informazioni e predizioni.
In effetti inserendo i dati clinici in sistemi basati su algoritmi
ricorsivi che possono risolvere i problemi che non sono accessibili
con i metodi della statistica classica, sarebbe teoricamente
possibile trovare i singoli individui all'interno della popolazione
originaria che sono più vicini al nostro soggetto in
base a tutti i parametri descrittivi.
Anzi, prendendo in considerazione tutti parametri disponibili
potremmo essere in grado di confrontare il nostro soggetto
con un sottogruppo appropriato di soggetti o addirittura con
un altro singolo soggetto, superando così la limitazione
della statistica di un gruppo a beneficio di quella del singolo
individuo. Il problema indubbiamente non è semplice.
Supponiamo che la popolazione di riferimento sia composta
da ( soli) 100.000 soggetti e che ciascun individuo sia descritto
da 500 variabili( sembrano tante, ma con l'avvento della genomica
questo numero sarà del tutto banale). Ora trovare un
singolo individuo che sia il più simile al soggetto
in studio in base a tutte le variabili, rappresenta un problema
di calcolo di tempo non polinomiale in cui ci sono milioni
di miliardi di possibilità da esaminare. Anche con
i computer più potenti il tempo necessario per compiere
questa analisi sarebbe superiore a qualsiasi possibilità
praticabile.
Speciali "algoritmi evolutivi" capaci di trovare
la migliore distribuzione spaziale di un dato numero di "oggetti"
(nel nostro caso i soggetti umani) descritti attraverso un
determinato numero di variabili fanno al caso nostro. Il numero
dei soggetti e delle variabili può essere incredibilmente
alto, ma nonostante ciò l'algoritmo è in grado
di far fronte ad una crescita esplosiva della dimensionalità
del vettore di osservazione. Il trucco sta nel rispettare
al massimo grado le "distanze" degli oggetti fra
di loro nello spazio multidimensionale senza esplorare tutte
le possibili combinazioni ma evolvendo in modo adattivo attraverso
le soluzioni ottimali. Questo permette di evitare la cosiddetta
"maledizione della dimensionalità".
E' probabile che a questo punto i dottori comincino a sentirsi
a disagio con i numeri, ma per coloro che desiderano saperne
di più rimando agli articoli citati in bibliografia
dove esiste una dettagliata spiegazione matematica.
La cosa importante da capire è che finalmente, grazie
a questi sforzi, noi iniziamo ad avere un metodo che va oltre
le popolazioni di individui per avvicinarci ai singoli soggetti..
Questo sviluppo sarà molto importante per aiutarci
in futuro a dare consigli ai pazienti individuali con una
più forte base scientifica.
Riferimenti bibliografici
1. Kattan M: Statistical Prediction Models,
Artificial Neural Networks, and the Sophism "I Am a Patient,
Not a Statistic". JCO :885-887. Feb 15 2002
2. Buscema M, Terzi S: An evolutionary approach
to the problem of multi-dimensional scaling. WSEAS Trans Inf
Sci Appl 2006, 9:1704-1710.
3. Buscema M: Genetic doping algorithm (GenD):
theory and applications. Expert Syst 2004, 21:63-69.
4. Grossi E: Non-linear associations between
laryngo-pharyngeal symptoms of gastro-oesophageal reflux disease:
clues from artificial intelligence analysis. Acta Otorhinolaryngol
Ital 2006, 26(5):293-8.
5. Helgason CM, Grossi E, Pandey D, Valika
A, Cursio J, Brace LD: Platelet aggregation and recruitment
with aspirin-clopidogrel therapy. Cerebrovasc Dis 2008, 25(5):392-400.
Epub 2008 Mar 17
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