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I processi biologici nell'invecchiamento e il ruolo dell'infiammazione Torna agli editoriali

di
A.Ciaramella 1 , P. Bossù 1 e C. Caltagirone 1, 2

1 Fondazione Santa Lucia Roma
2 Clinica Neurologica Università di Roma Tor Vergata

Introduzione
L'invecchiamento può essere considerato un processo multifattoriale, prodotto dell'interazione tra fattori genetici, ambientali e stile di vita. Nell'uomo, l'età avanzata è caratterizzata dall'insorgenza di alcune patologie che, benché non siano di per sé espressione di invecchiamento, sono però strettamente associate alla vecchiaia, in quanto il declino fisiologico dovuto alla progressione dell'età è un fattore centrale nel determinare l'incremento di rischio che l'anziano ha di sviluppare tali patologie. Nel corso del tempo moltissimi studi sono stati indirizzati all'identificazione degli eventi biologici a cui potrebbe essere imputabile il deterioramento progressivo che si verifica in concomitanza con l'invecchiamento. Attualmente una delle teorie maggiormente accreditate ipotizza che esiste un meccanismo comune alla base di numerose patologie associate all'invecchiamento che colpiscono organi diversi [ad esempio, la malattia di Alzheimer (AD), la malattia di Parkinson (PD), il diabete di tipo 2, l'aterosclerosi ed altre malattie cardiovascolari]. Questa teoria è incentrata sul ruolo primario svolto dai radicali liberi e fornisce un modello plausibile e generale per spiegare il processo dell'invecchiamento (1). La premessa iniziale di tale teoria è che l'invecchiamento e le malattie ad esso correlate siano la conseguenza di danni indotti dal fenomeno dello stress ossidativo. Questo processo è associato ad uno sbilanciamento fra l'eccessiva produzione di fattori ossidanti (quali i radicali liberi) e la diminuzione delle difese antiossidanti, che alla fine si manifesta sotto forma di danno per l'organismo. Più in dettaglio, i radicali liberi sono specie chimiche che hanno un singolo elettrone non accoppiato localizzato in un'orbita esterna dell'atomo. L'energia generata da questa configurazione è instabile e viene trasferita alle molecole adiacenti che a loro volta perdono la loro stabilità e funzione (2). Oltre a tali dannosi effetti, i radicali liberi possono avere anche la funzione di messaggeri molecolari, per esempio durante i processi infiammatori. Infatti, i radicali liberi rappresentati dalle specie reattive dell'ossigeno e dell'azoto (ROS e RNS) sono in grado di indurre la produzione di molecole che possono determinare uno stato di infiammazione e, allo stesso tempo, altri tipi di molecole infiammatorie inducono la produzione di ROS e RNS. È possibile così che, in determinate condizioni quali l'invecchiamento o le patologie ad esso associate, si inneschi un ciclo di risposte che generano il danno cellulare e il deterioramento degli organi bersaglio. Considerato quindi il ruolo centrale che l'infiammazione svolge nell'ambito di questo processo invecchiamento-stress ossidativo, viene di seguito offerto un approfondimento sui meccanismi infiammatori che maggiormente contraddistinguono il fenomeno dell'invecchiamento umano.

Meccanismi biologici dell'infiammazione
L'infiammazione è un processo reattivo verso agenti patogeni di qualsiasi natura attraverso cui l'organismo si difende, innescando i processi del sistema immunitario (3). L'ultimo obiettivo del processo infiammatorio è di liberare l'organismo da ogni entità che generi danno cellulare (ad esempio i microorganismi, le tossine, ecc.) o dagli effetti del danno stesso (ad esempio le cellule morte ed i tessuti necrotici). L'infiammazione distrugge, diluisce o contiene l'agente nocivo ed allo stesso tempo innesca una serie di eventi che riparano e ricostituiscono il tessuto danneggiato.

Una funzione critica dell'infiammazione è il reclutamento, nel sito danneggiato, delle cellule del sistema immunitario, i leucociti. Questo fenomeno, chiamato chemiotassi, si verifica tramite l'incremento locale del flusso ematico e attraverso mutamenti strutturali dei microvasi. I leucociti ingeriscono gli agenti tossici, uccidono i microorganismi, degradano il tessuto necrotico e gli antigeni estranei. Liberando enzimi, mediatori chimici e radicali dell'ossigeno o dell'azoto, i leucociti sostengono l'infiammazione e, oltre a ricoprire un ruolo effettore protettivo possono, in alcuni casi, indurre danni nei tessuti circostanti. Infatti, nel caso in cui, a causa di un alterato meccanismo regolatorio, lo stato infiammatorio si prolunghi, l'infiammazione può diventare nociva e risultare implicata nella patogenesi di numerose malattie. Più in dettaglio, l'infiammazione può essere definita di tipo acuto o cronico. L'infiammazione acuta rappresenta la risposta immediata ad un agente dannoso, è di durata relativamente breve (va da minuti ad alcuni giorni) ed è principalmente caratterizzata dalla formazione dell'edema e dalla migrazione dei leucociti, in prevalenza granulociti neutrofili. L'infiammazione cronica, che è generalmente il risultato di stimoli persistenti, è di durata più lunga ed è caratterizzata, dal punto di vista istologico, dalla presenza di altri tipi di cellule leucocitarie (linfociti e macrofagi), dalla proliferazione dei vasi sanguigni e dalla fibrosi o dalla necrosi del tessuto. In alcuni casi l'infiammazione cronica può essere preceduta da una fase iniziale di infiammazione acuta, altre volte inizia in maniera asintomatica e con un'intensità ridotta. L'infiammazione cronica può verificarsi in seguito ad infezioni persistenti dovute a microorganismi che riescono a sfuggire al controllo del sistema immune, come ad esempio il Mycobacterium tuberculosis (agente eziologico della tubercolosi) o il Treponema pallidum (che causa la sifilide); in seguito all'esposizione prolungata ad agenti potenzialmente tossici di origine esogena o endogena, oppure a causa di fenomeni di autoimmunità. Le cellule coinvolte nell'infiammazione cronica vengono reclutate nel sito dell'infiammazione, si attivano e rilasciano innumerevoli fattori solubili che mediano il danno e la fibrosi del tessuto. Tali molecole svolgono un ruolo chiave nell'inizio e nell'esecuzione della risposta infiammatoria e tra le loro funzioni principali vi è l'induzione della dilatazione dei vasi, la chemiotassi, l'adesione e l'attivazione dei leucociti, la tossicità diretta nei confronti del microrganismo invasore, la proliferazione dei fibroblasti, la deposizione del collagene e l'angiogenesi (4, 5). Di grande rilevanza fra questi mediatori sono le citochine, molecole di natura proteica, che agiscono anche a bassissime concentrazioni, interagendo mediante legami ad alta affinità con recettori specifici espressi sulle cellule bersaglio. Le citochine mediano la comunicazione intercellulare intervenendo nell'indirizzo, nella regolazione e nella terminazione dei processi infiammatori. Esse costituiscono una trama complessa di relazioni e, dalla loro reciproca regolazione, dipende l'esito finale dei processi biologici che vengono regolati. Un aspetto importante è legato alle quantità di mediatori solubili che vengono prodotti in risposta ad uno stimolo. Ad esempio, il rilascio extracellulare di bassi livelli di una citochina proinfiammatoria, può aumentare l'espressione di altre citochine e delle molecole di adesione per i leucociti, tutti fattori che amplificano la cascata infiammatoria; al contrario, livelli elevati di essa, possono danneggiare cellule o tessuti.
Per finire, poiché le citochine rappresentano degli strumenti estremamente efficaci nelle risposte immunitarie, che possono rivelarsi anche armi pericolose, esiste in natura un complesso sistema atto a regolarne finemente l'attività. Le citochine ad esempio, possono essere prodotte in una forma immatura che viene attivata tramite il taglio operato da specifici enzimi rilasciati solo in determinate condizioni; possono esistere dei recettori solubili, oppure delle proteine dalla funzione analoga, che legandosi alla citochina bersaglio, ne neutralizzano l'azione impedendo che si leghi ai recettori di membrana; inoltre possono esistere delle molecole con la funzione di antagonisti recettoriali che, legandosi al recettore specifico, impediscono il legame della citochina e l'innesco degli eventi biologici che essa influenza. Queste e molte altre forme di controllo dell'attività di una citochina rappresentano un sistema di sicurezza attraverso il quale l'organismo si tutela dalla possibile azione nociva di queste molecole.

Processi infiammatori nell'invecchiamento e nelle patologie ad esso associate
L'intero sistema immunitario dell'anziano è soggetto ad un complessivo declino caratterizzato sia da una deregolazione dei processi infiammatori, sia da una ridotta capacità della risposta immunitaria nel discriminare tra molecole estranee e molecole proprie dell'organismo. Nell'anziano infatti, oltre alla diminuita capacità di resistere alle infezioni o ai tumori, si osserva anche una tendenza a produrre più autoanticorpi. Quindi la perdita di funzionalità cellulare, tipica dell'età avanzata, potrebbe essere imputabile, almeno in parte, proprio agli attacchi del sistema immunitario contro i tessuti nativi dell'organismo stesso. Infatti artrite, psoriasi ed alcune altre patologie autoimmunitarie, sono maggiormente presenti in età avanzata. Altra evidenza che sottolinea la relazione esistente tra immunità e invecchiamento è l'osservazione che l'esposizione durante la vita ad agenti infettivi di varia natura, riduce la longevità mediante meccanismi di accelerata immunosenescenza (6) e di infiammazione cronica (7). Per quanto riguarda l'alterazione della regolazione dei processi infiammatori, con l'invecchiamento aumentano i livelli di citochine proinfiammatorie e, indipendentemente dalla presenza di patologie, molti studi hanno documentato concentrazioni di citochine aumentate nel siero di individui anziani rispetto agli individui giovani (8-10). Tuttavia, l'aumento delle molecole infiammatorie è ben lontano dai livelli che si osservano durante l'infiammazione acuta, indicando che l'invecchiamento è associato ad una risposta infiammatoria cronica, ma di intensità ridotta. Inoltre, come già indicato, i radicali liberi, i cui livelli sono innalzati negli anziani, potrebbero contribuire alla perpetuazione di questa forma infiammatoria.

Poiché l'infiammazione cronica è uno dei fattori implicati nell'aterosclerosi, nell'artrite, nell'AD, nei tumori, nella sindromi metaboliche quali il diabete di tipo 2 ed in numerose altre patologie multifattoriali che affliggono gli anziani, questo fenomeno rappresenta un evento importante in grado di contribuire al danno e alla degenerazione caratteristica dell'invecchiamento. Benché in tutti questi casi la causalità dell'infiammazione non sia chiaramente definita nell'ambito dei meccanismi patogenetici, rimane un dato inconfutabile che molte manifestazioni dell'infiammazione cronica, come ad esempio l'infiltrazione dei macrofagi o gli aumentati livelli circolanti dei mediatori chimici pro-infiammatori, siano comuni, anche se sotto diverse forme, alle patologie appena elencate. Ad esempio, in pazienti con AD è spesso evidenziabile la presenza, a livello delle placche senili o del tessuto che le circonda, di cellule della microglia attivate (11). Tali cellule fanno parte del sistema immunitario e rappresentano, a livello cerebrale, l'equivalente dei macrofagi negli altri tessuti. Lo stesso fenomeno è stato osservato anche nel cervello di pazienti con PD e ALS (12, 13) e, analogamente, macrofagi attivati sono stati trovati nelle placche aterosclerotiche e nel cuore di persone colpite da infarto, anche dopo anni che si è verificato l'episodio acuto (14, 15). Infine, le citochine proinfiammatorie, che si riscontrano generalmente più espresse nei pazienti con patologie neurodegenerative e cardiocircolatorie, svolgono un ruolo patogenetico anche in altre patologie, come ad esempio l'osteoporosi e l'artrite, la cui incidenza aumenta con l'avanzare dell'età.

Relativamente alle malattie cardiovascolari, in seguito allo studio di un gruppo di 130 individui di età superiore agli 80 anni è stato dimostrato, in associazione ad eventi aterosclerotici, un incremento significativo dei livelli plasmatici di alcune citochine proinfiammatorie in grado di favorire lo sviluppo delle lesioni aterosclerotiche e la vulnerabilità della placca, svolgendo quindi un ruolo cruciale nell'innesco dell'aterosclerosi (16). Inoltre, l'incremento dei livelli serici di queste molecole è stato riscontrato anche in pazienti con malattie polmonari ostruttive croniche, dove è stato documentato che anche certe molecole ad attività chemotattica svolgono un ruolo importante nella patogenesi di queste malattie (17). In maniera del tutto analoga, diverse molecole infiammatorie, tra cui le citochine stesse, sono ritenute responsabili di malattie reumatoidi croniche a base infiammatoria, quali l'osteoartrite e l'artrite reumatoide (18).
Un ulteriore approccio per studiare il coinvolgimento delle molecole proinfiammatorie nell'invecchiamento e nelle malattie associate è quello di analizzare come alcune varianti geniche di queste molecole possano rappresentare per gli individui portatori un rischio di sviluppare una determinata malattia, influire sulla longevità o sul decorso della malattia stessa. I geni del nostro genoma non sono identici da individuo a individuo, ma sono presenti in forme che differiscono per uno o più nucleotidi, i mattoni alla base della catena del DNA. I geni che presentano questa caratteristica sono definiti polimorfici. Le varianti geniche polimorfiche esistono in numero limitato e sono distribuite con frequenze relative, misurabili e costanti da generazione in generazione. Dal punto di vista evoluzionistico, la presenza dei polimorfismi è la base della variabilità genica e garantisce la stabilità della popolazione. Infatti, poiché l'ambiente sottopone di continuo gli individui di una popolazione alla selezione, solo una grande variabilità genica è in grado di garantire la possibilità di superare i cambiamenti ambientali. Tuttavia, poiché la variabilità è un fenomeno che si origina in maniera casuale, è possibile che alcune varianti geniche in determinate condizioni ambientali, o durante l'invecchiamento, rappresentino per gli individui portatori un fattore di rischio per la suscettibilità ad una malattia. Quindi, la possibilità di analizzare nella popolazione la distribuzione dei polimorfismi, e la loro eventuale associazione con le malattie, permette di definire a priori il grado di rischio che un individuo ha di sviluppare quella determinata malattia. Ad esempio, l'analisi dei polimorfismi di alcuni geni di citochine pro-infiammatorie, ha dimostrato che alcune varianti sono maggiormente rappresentate in pazienti con AD o PD, suggerendo che queste molecole possono contribuire alla patogenesi di malattia (19-22).
Tuttavia lo studio delle citochine nell'invecchiamento e nelle patologie ad esso associate non si limita solo all'analisi dei polimorfismi genici o dell'espressione molecolare, ma si estende anche alla valutazione complessiva del sistema che regola l'attività di ogni singola citochina. Questo fenomeno si verifica tramite l'espressione dei recettori di membrana, antagonisti recettoriali o molecole che si legano alle citochine neutralizzandone l'azione, concorrendo alla modulazione fine dell'attività della citochina bersaglio. L'equilibrio di questi meccanismi modulatori non è statico, ma si modifica nel corso della vita umana. Infatti, se da una parte molte citochine hanno la tendenza ad essere maggiormente espresse durante l'invecchiamento, diventando uno dei fattori che contribuisce allo sviluppo di patologie ad esso associate, dall'altra è stato osservato che i meccanismi che bloccano l'eccessiva produzione di citochine proinfiammatorie possono essere potenziati con l'avanzare dell'età, questo fenomeno è stato osservato in preferenza nei centenari (23). Al contrario, una riduzione dell'efficacia di questi meccanismi regolatori può rappresentare un ulteriore elemento che predispone allo sviluppo delle malattie che si manifestano durante l'invecchiamento.

Conclusioni
L'invecchiamento è caratterizzato da uno stato di infiammazione cronica lieve che è legato sia alla genetica che alla storia antigenica di ogni individuo. Questo tipo di processo infiammatorio può condurre, alla lunga, alla compromissione di organi e apparati quindi alla riduzione della longevità, incrementando la sensibilità ad alcuni fattori rischio. Le malattie correlate all'età, come l'AD, il PD, l'aterosclerosi, il diabete di tipo 2, l'osteoporosi, possono iniziare a manifestarsi o essere amplificate dall'infiammazione. Per questo motivo lo studio dell'infiammazione, in particolare dell'alterazione nella produzione delle citochine che regolano questo processo, rappresenta una frontiera ancora poco esplorata ma molto promettente. Si possono ipotizzare una serie di interventi atti a ridurre l'incremento delle citochine osservato negli anziani. Ad esempio, potrebbe essere sviluppata una nuova categoria di farmaci antinfiammatori specifici, nei quali l'attività farmacologica sia potenziata, ma allo stesso tempo essi non siano penalizzati da quegli effetti collaterali che attualmente li rendono di difficile somministrazione per lunghi periodi. Un'altra tipologia di intervento potrebbe essere quella di sfruttare, potenziandoli, i meccanismi naturali di controllo dell'attività delle citochine proinfiammatorie. Infatti, la somministrazione di antagonisti recettoriali, di recettori solubili, di anticorpi monoclonali o di molecole chimeriche che neutralizzano l'attività delle citochine, potrebbe costituire l'alternativa più mirata e selettiva all'utilizzo di farmaci che modificano troppo profondamente la fisiologia dell'organismo. Benché tali strategie terapeutiche siano del tutto auspicabili e teoricamente valide, ancora molti studi devono essere effettuati in questo settore, non solo allo scopo di approfondire la comprensione dei meccanismi fini che regolano i processi biologici legati all'infiammazione nell'invecchiamento, ma anche e soprattutto per rendere disponibili all'umanità degli strumenti terapeutici attendibili in un ambito di straordinaria importanza come quello della longevità umana.

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