di
Eminè Meral Inelmen e Enzo Manzato
Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche
Cattedra di Geriatria (Dir: Prof. Enzo Manzato)
Università di Padova
INTRODUZIONE
Attualmente 25 milioni di persone nel mondo sono affette
da demenza, con 4.6 milioni di nuovi casi/anno: una diagnosi
ogni 10 secondi. La Malattia di Alzheimer (AD) rappresenta
il 50%-60% di tutte le forme. Si stima che in Italia vivano
circa 600.000 soggetti affetti da AD e alla luce del continuo
aumento dell'aspettativa di vita è possibile che questo
numero si triplichi nei prossimi 50 anni [1].
Da quando Alois Alzheimer nel 1907 descrisse un "slowing
progressive decrease in body weight" nel suo primo paziente,
numerosi studi hanno confermato, in un'ampia sottopopolazione
di pazienti, un Calo Ponderale Non Intenzionale (CPNI) e uno
stato di malnutrizione [2, 3, 4], con conseguente modificazione
della composizione corporea [5, 6]. Gli aspetti della malnutrizione
sono di grande implicazione clinica, dato che il paziente
malnutrito sarà fisicamente meno attivo, quindi più
prono a sviluppare ulcere da decubito ed infezioni [5, 6].
In letteratura, è ancora un tema aperto alla discussione
se il CPNI sia evento causale o conseguenza della AD [7].
Il CPNI potrebbe essere la causa in quanto i deficit di micro-macronutrienti
sono dimostrati associati a peggior performance cognitiva,
anche nei soggetti non dementi. Ma è altrettanto vero
che potrebbe essere un effetto della malattia, considerando
l'ipotesi secondo cui il processo neuro-degenerativo che comincia
prima della diagnosi clinica può essere di per se una
causa primaria della perdita di peso.
Aspetti tipici della malattia quali il progressivo declino
cognitivo, la degenerazione cerebrale, l'atrofia della corteccia
temporo-mesiale, l'inadeguato apporto calorico e l'aumentato
dispendio energetico, i disturbi metabolici e del comportamento
alimentare [8] sarebbero in parte associati al CPNI osservato
in questi pazienti [9-10].
Si è stabilito che alcune aree cerebrali quali ipotalamo,
talamo, tronco cerebrale, sistema limbico e diverse aree della
corteccia sono coinvolte nella regolazione centrale del comportamento
alimentare [11-13]. Ulteriori studi hanno suggerito che il
sistema nervoso autonomo, alcuni ormoni peptidici e sistemi
implicati nella neuro-trasmissione sarebbero coinvolti nel
mantenimento dell'equilibrio energetico dell'organismo [14,
15]. Il CPNI si accompagna ad atrofia della massa muscolare,
accelerata perdita dell'indipendenza funzionale e rischio
aumentato di infezioni e mortalità [16, 17]. Inoltre
essendo un indicatore di malnutrizione proteica ed energetica,
esso è sempre una grande preoccupazione per il medico
clinico in quanto rappresenta un fattore predittivo di mortalità
[18].
A questo punto la domanda che ci si pone è: il CPNI
avviene prima o dopo la AD?
La Figura 1 mostra le possibili interazioni tra deficit nutrizionali
e deficit cognitivi.
BACKGROUND
Già da tempo vari Autori avevano riscontrato nei pazienti
con AD non solo la presenza di un basso peso corporeo [19]
ma anche la tendenza verso un calo ponderale progressivo [20-22].
Questo dato è parso talmente caratteristico, che dal
1984 il CPNI fa parte dei criteri diagnostici di demenza del
National Institute of Neurological and Communicative Disorders
and Stroke (NINCDS) e Alzheimer's Disease and Related Disorders
Association (ADRDA) tra le altre caratteristiche cliniche
suggestive di probabile AD, dopo esclusione delle altre cause
di demenza [23]. Tuttavia, dal momento che non si evidenziava
una correlazione con l'assunzione di alimenti, né in
questi pazienti era più frequente una condizione di
malnutrizione, gli Autori concludevano affermando che "
allo stato attuale, la causa della perdita di peso nei malati
di AD rimane incerta" [21].
Recentemente si è messo in evidenza come il CPNI che
incorre nei soggetti con AD (0,52 kg/m2/anno) sia superiore
a quello dei pazienti affetti da tumori (0,14 kg/m2/anno),
insufficienza cardiaca (0,23 kg/m2/anno) e dei pazienti non
affetti da demenza (0,14 kg/m2/anno) [24]. Inoltre la severità
della demenza non modifica il trend della diminuzione del
peso (0,59 kg/m2/anno nelle forme di demenze lievi contro
0,47 kg/m2/anno nelle forme di demenze di stadio avanzato)
[24]. Questo dato è però in contrasto con l'ipotesi
secondo cui il CPNI dovuto a disturbi comportamentali, sarebbe
confinato agli stadi finali della malattia, suggerendo la
possibile esistenza di una base biologica concomitante [24].
1° Ipotesi: il CPNI avviene dopo l'insorgenza della
AD
Il CPNI potrebbe essere una conseguenza dei processi patologici
che colpiscono varie strutture cerebrali deputate al mantenimento
di una corretta omeostasi dell'organismo [25]. Questi possono
influenzare il comportamento, l'appetito, il dispendio energetico
e quindi condurre ad una riduzione del peso corporeo [25].
Alternativamente, la perdita di peso potrebbe far parte di
una risposta generalizzata dell'organismo allo stress o di
una down-regulation dei bisogni energetici associati alla
ridotta funzione cerebrale [25]. Dato che gli insulti patologici
non possono essere corretti e non sono reversibili, il cervello
non può dare supporto ai network sinaptici sofisticati
ed elaborati responsabili della memoria e delle attività
intellettive superiori. Un inadeguato apporto nutrizionale
potrebbe, in aggiunta, essere sommato, allo stress e gravare
ancora di più nel già debole sistema. Data l'attuale
mancanza di trattamenti che possono influenzare il decorso
della malattia, una migliore conoscenza dei meccanismi responsabili
del CPNI potrebbe essere molto utile [25].
Il CPNI sarebbe dunque una diretta conseguenza della AD,
non solo per l'associazione della demenza a disturbi comportamentali
e dell'alimentazione, ma anche perché le lesioni cerebrali
tipiche della AD coinvolgono le sedi implicate nella regolazione
dell' assunzione di cibo [26]. Le strutture limbiche presenti
nel lobo temporale mediale sono coinvolte nelle funzioni di
memoria, appetito, comportamento alimentare e controllo delle
emozioni; ognuno di questi aspetti ha un impatto sul peso
corporeo [26].
Nei soggetti con AD il volume delle diverse aree cerebrali
corticali, ad eccezione della sostanza bianca, è significativamente
minore alla norma. Dato che l'atrofia della corteccia temporale
mesiale (MTC) è correlata con il peso corporeo, le
funzioni cognitive, l' indice di massa corporea (BMI) e il
Mini Mental State- ma questi ultimi non correlano tra loro-
la relazione tra CPNI e atrofia della MTC non sarebbe legata
solo al deficit cognitivo [26]. L'atrofia della MTC potrebbe
anche essere evento secondario alla malnutrizione (tramite
l'ipoglicemia o l'aumento della cortisolemia) o ad altri fattori
quali l'aumento del Tumor Necrosis Factor o la diminuzione
degli estrogeni [26]. La corteccia cingolare anteriore (ACC)
è parte primaria del sistema limbico e lesioni di questa
regione dell'encefalo causano mancanza di interesse, diminuzione
dell'appetito, apatia e depressione [27, 28]. Inoltre studi
recenti di neuro-imaging hanno dimostrato che l'attivazione
dell'ACC è coinvolta nelle condizioni di fame [13],
percezione olfattoria [29], deglutizione volontaria [30],
percezione gustativa [31, 32]. Nei soggetti con AD si è
evidenziato un ipometabolismo significativo del glucosio nell'ACC
ma in nessun altra regione cerebrale [27]. Il rapporto metabolico
del glucosio è significativamente associato al BMI
indipendentemente da età, sesso e durata della malattia.
I risultati quindi, suggeriscono che l'attività neuronale
dell'ACC potrebbe agire come modulatore dello stato nutrizionale
[27].
Alla luce di questi dati si può ipotizzare che nel
paziente con AD il danneggiamento della funzione dell'ACC
da sola o in associazione con altre regioni ad essa associate,
possa risultare in una riduzione dell'apporto nutrizionale
in associazione con disturbi cognitivi, affettivi e comportamentali
[27].
E' stato condotto uno studio i cui risultati hanno mostrato
che i soggetti con AD avevano un peso e un BMI più
basso rispetto ai controlli [33]. Inoltre il grado di demenza
più severo era associato con valori minori dei parametri
antropometrici [33]. Gli Autori concludono con l'ipotesi che
in tali pazienti ci sia un minor assorbimento corporeo dei
nutrienti o un cambiamento metabolico globale che esiterebbe
in un CPNI. I neuroni dell'epitelio olfattorio sono uno dei
bersagli del processo degenerativo della malattia per cui
la diminuzione della sensibilità olfattiva riscontrata
nei pazienti può determinare un minore interesse per
il cibo e contribuire al CPNI [34]. I cambiamenti ormonali
possono influenzare lo stato metabolico e contribuire al CPNI
evidenziando aumentati livelli di ormoni adrenocorticali e
gonadici tra i pazienti con AD [35]. Infine l'alterato metabolismo
energetico nell'encefalo dei pazienti potrebbe verificarsi
anche nell'organismo in toto e risultare in un CPNI [36].
2° Ipotesi: il CPNI avviene prima dell'insorgenza
della AD
Il CPNI inizierebbe nel periodo pre-clinico della malattia
prima ancora della diagnosi e avrebbe un valore prognostico
importante nel decorso della malattia [37, 38].
Ad uno studio della durata di 20 anni hanno partecipato 134
maschi e 165 femmine [37]. Nel tempo, 60 hanno sviluppato
AD mostrando un calo di peso > di 5 kg. Dato che tutti
i soggetti erano non istituzionalizzati e quelli con diagnosi
di AD erano allo stadio iniziale o intermedio di malattia,
questo studio proverebbe che il CPNI è associato alla
AD e non è causato da una difficoltà nel nutrirsi
o ricordarsi di nutrirsi, fattori che intervengono invece
agli stadi finali di malattia [37].
Questo studio fornisce l'evidenza più forte che il
CPNI precede la demenza e non è una sua conseguenza.
Era stato notato che nell'ambito dei pazienti istituzionalizzati,
quelli con AD erano soggetti ad un CPNI maggiore rispetto
ai soggetti con funzione cognitiva conservata [38]. E' stato
analizzato per 4 anni una coorte di 105 soggetti, di cui 31
con diagnosi di AD che richiedevano cure complete durante
l'istituzionalizzazione, 48 che all'inizio non richiedevano
cure e 26 soggetti non dementi. Una perdita di peso maggiore
di 4.59 Kg era più comune nei pazienti con AD, particolarmente
tra quelli con stadio avanzato, rispetto ai non dementi. Un
dato importante è che dei 105 soggetti, 3 donne hanno
sviluppato i loro primi segni di AD dopo essere state istituzionalizzate.
Il peso medio di questi tre soggetti era 53.07 ± 8.16
Kg contro i 58.06 ± 9.53 Kg delle 18 donne che non
hanno evidenziato segni di AD. Ciò suggerisce che il
minor peso può precedere l'evidenza clinica della AD
[37, 38].
Sempre della stessa ipotesi si avvale uno studio prospettico
della durata di 34 anni (1965 - 1999) [39]. 1890 soggetti
sono stati esaminati in 6 occasioni diverse. Dai 1890 soggetti
sottoposti alla sesta e ultima valutazione, 1778 sono risultati
sani mentre a 112 è stata diagnosticata demenza di
cui 74 di tipo AD e a 15 demenza di tipo vascolare [40-42].
Nel periodo 1991-1999 il CPNI era maggiore nei soggetti con
demenza rispetto ai soggetti con funzione cognitiva preservata.
In uno studio della durata di 9 anni su 832 soggetti anziani,
è stata esaminata la relazione tra BMI e rischio di
AD [43]. Dopo 5.6 anni, 151 soggetti hanno sviluppato AD.
Dall' analisi statistica dei dati sia il BMI iniziale che
il suo tasso annuale di variazione si associavano al rischio
di AD: ogni unità di diminuzione del BMI era associato
ad un rischio superiore al 5%. Il suddetto studio ha esaminato
il cambiamento del BMI in un gruppo di soggetti molti anni
prima della diagnosi di AD. Anche se la perdita della massa
corporea può rappresentare un fattore di rischio per
la malattia, altri fattori associati potrebbero condurre al
CPNI che verrebbe interpretato come un marker fenotipico della
malattia [43].
STRATEGIE PREVENTIVE
La prevenzione o il rallentamento della AD sono tra le prerogative
morali, sociali, economiche e scientifiche più urgenti
dei nostri tempi.
I tre fattori più importanti per il mantenimento di
un buon stato nutrizionale nell'anziano con AD sono: tecniche
di nutrizione appropriate, consistenza e orari dei pasti serviti
e sfruttamento del tempo di picco cognitivo giornaliero. Quest'ultimo
oscilla di solito dalla mattina fino a metà della giornata,
fatto che rende la colazione e il pranzo i momenti più
opportuni per ottimizzare l'apporto nutrizionale [7]. Lo stress
psicologico dei caregivers potrebbe avere un'importante e
drammatica influenza sul decorso della malattia, soprattutto
sulla frequenza e sulla gravità dei problemi comportamentali
alimentari, arrivando al punto di accentuare il CPNI dei pazienti
[7]. Per questo motivo, la valutazione, il management e il
trattamento dello stress dei caregivers (trattamento individuale,
gruppi di supporto, educazione e terapia familiare) deve essere
considerato aspetto importante e integrale nella cura generale
fornita ai pazienti con AD, nell'intento di migliorarne la
qualità della vita [7].
I supplementi nutrizionali sono spesso prescritti come intervento
per contrastare il CPNI [7]. La loro efficacia è stata
valutata in vari studi [44, 45] con risultati incoraggianti
nonostante siano ancora necessarie ulteriori ricerche per
stabilirne l'efficacia nei pazienti con AD. E' stato dimostrato
che a otto anni dalla diagnosi di AD, approssimativamente
il 50% dei pazienti necessita di nutrizione artificiale o
assistenza nel nutrirsi [46].
Uno studio sull'efficacia della nutrizione supplementare orale
ha messo in evidenza aumenti significativi di BMI e massa
magra nei pazienti con AD a rischio di malnutrizione rispetto
ai controlli [47].
CONCLUSIONI
Alla luce dei dati di letteratura si può dedurre che
la causa di questo "puzzling" (CPNI in AD) rimane
incerto, e non è ancora chiaro se il CPNI associato
alla AD precede o segue la malattia. Di certo è che
al momento attuale, il CPNI sembra essere inevitabile in quanto
strettamente associato alla fisiopatologia della AD.
La prevenzione comunque è senza dubbio essenziale.
E' importante identificare i pazienti a rischio per valutare
il loro stato nutrizionale e correggerlo adeguatamente al
fine di prevenire la malnutrizione e le sue complicanze, cercando
di interrompere il circolo vizioso tra deficit nutrizionale
e deficit cognitivo. Tuttavia tale intervento può essere
efficace soltanto se inizia negli stadi precoci del deterioramento
neurologico. Occorrono infine ulteriori studi longitudinali
allo scopo di trovare soluzioni a questo interessante ma ancora,
purtroppo, irrisoluto problema.
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Prof.ssa Eminè Meral Inelmen
Clinica Geriatrica
Ospedale Giustinianeo, Via Giustiniani, 2
35128 Padova
telef. 049-8218493
fax 049-8211218
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