di
Rita Farneti
Confortami nelle difficoltà, dammi la serenità
contro l'inevitabile, allunga la brevità del mio tempo,
insegnandomi che il bene della vita non consiste nella sua
durata ma nell'uso che se ne fa e può avvenire, anzi
molto spesso avviene, che proprio chi è vissuto a lungo
sia vissuto poco (Seneca).
Se a volte ci si rammenta della frase che vuole caro al cielo
colui che muore in giovine età,altrettanto frequente
è la consuetudine che spinge ad associare alla giovinezza
la salute ed alla vecchiaia i malanni.
Tanto più che la società occidentale , centrata
sul giovane e dominata da un costume culturale che assume
come valori assoluti giovinezza e produttività, auspica
di non invecchiare,anzi, di sembrare (possibilmente sempre)
più giovani di quello che si è (Zoja 1983) .
L'idea di invecchiare diventa ,dunque ,quasi un anatema .
Lo confermano le parole della famosa invocazione di Dorian
Gray "Youth!Youth!There is absolutely nothing in the
world but youth" (Wilde 1891) nella quale si appalesa
il fine di scindere dal proprio sé che sta invecchiando
quella rappresentazione che paura ed odio procurano (Garner
1998).
Il futuro di colui che comincia a pensarsi vecchio si profila
con una prospettiva cupa,quasi necessita della sapiente regia
di un mentore saggio che agevoli la possibilità di
attribuire ancora significato alla propria esistenza quando
la vita sta volgendo al termine.
Se nella percezione del proprio invecchiamento l'essere umano
conquista progressivamente la consapevolezza della temporalità
della propria vita,il percepirsi vivi è diverso dal
sentire di esistere nella scansione dei propri giorni.
Il termine vita rimanda,almeno in prima istanza, a ciò
che "è caratterizzato da processi biochimici di
natura metabolica che, utilizzando ed immagazzinando energia
esterna,permettono la costruzione,il mantenimento e talvolta
la demolizione della sua struttura fisica,oltre che il suo
comportamento"(Boniolo 2006).
L'esistenza,invece, possiede valore "perché comporta
che vi sia un soggetto" che, ricorrendo a proprie "credenze
filosofiche,religiose e ideologiche",anche "storicamente
contestualizzate", possa donare senso,conferire cioè
" un valore speciale a quel particolare tipo di vita
, a quel particolare periodo ed a quella particolare popolazione
di viventi" (Boniolo 2006).
Se l'allungamento della durata media dell'arco di vita è
un dato ormai assolutamente incontrovertibile, la popolazione
degli anziani (sempre più numerosa) impegna a tutto
campo sul versante sociosanitario.
Garner(1998) mette in evidenza come ,per una sorta di senso
di colpa ,usualmente venga data alta priorità ai bisogni
fisici del vecchio e minima considerazione a quelli psicologici
.
Negando (o rimuovendo la possibilità di provare) emozioni
si allontana la rappresentazione del dolore che l'essere umano
può provare davanti al proprio invecchiamento ed alla
propria morte, si accentra l'attenzione nella cura della malattia
, si evita di entrare troppo in contatto col vissuto della
persona anziana.
Eppure l'essere umano ha bisogno di provare senso di vicinanza,di
protezione e di sicurezza: ognuno di noi è guidato
dal desiderio di entrare in relazione con gli altri.
Il senso dell'esistere come persona è strettamente
legato alla possibilità di comunicare con gli altri(Storr
1960),e tutto ciò vale ancora di più quando
siamo vecchi.
Soprattutto perché negli anni della tarda maturità
e della vecchiaia l'individuo tende progressivamente a sminuire
quei tratti della personalità sui quali hanno pesato
precedenti ruoli,aspettative note , usuali e consolidate interazioni
sociali.
L'anziano sposta inesorabilmente la propria attenzione dal
mondo esterno a quello interno,manifestando la convinzione
che la propria per così dire condizione ideale coincida
desolatamente con la rinuncia ad una serie di aspirazioni
e traguardi,tipici e salienti di altre fasi della vita trascorsa(Cumming,Henry
1961).
A differenza del bambino e del giovane non ha tutta la vita
davanti,quella specie di schermo sul quale potersi permettere
di proiettare sue identificazioni:se l'identificazione richiede
una rinuncia attuale per una soddisfazione che si pregusta
futura o potenzialmente futuribile,nel vecchio questa possibilità
risulta progressivamente risicata.
Non resta che aggrapparsi al presente o volgere lo sguardo
al passato.
E' questo il motivo per cui sempre più frequentemente
una diagnosi secca sembra davvero risultare un nonsenso perché
potrebbe disarticolare la visione unitaria della persona,"con
la sua storia,il suo bagaglio culturale,il suo assetto relazionale,le
sue convinzioni morali ed ideologiche",rendendo spesso
arduo il discrimine "fra patologia dell'invecchiamento,
patologia nell'invecchiamento ed invecchiamento stesso"(Cesa-Bianchi
1996).
Aleggia,al di là della condizione di malattia,una diffusa,spesso
profonda,sensazione di malessere,la percezione di sogni irrealizzati,un
vissuto di sconforto e delusione.
Con difficoltà si mantengono e coltivano legami e relazioni,
amplificando l'angustia per una marginalità generata
dall'imbarazzo di sentirsi troppo vecchi.
Inquieti,con ridotto grado di autonomia,proprietari di una
fragilità poco condivisibile,quasi ci si sentisse ad
un tratto assediati da bisogni di complessa ed al tempo stesso
troppo banale decodifica,si oscilla tra un vissuto di rassegnazione,se
pur sofferta, ed una disanima troppo disincantata della quotidianità
,pungolo (ma scomoda testimonianza) dell'inevitabile involuzione
fisiologica.
Ci si ancora e conforta nella speranza di poter possedere
ancora un'esistenza desiderabile,per contrastare la paura
che si annida nel proprio mattino .
Al tempo stesso si teme la paura di doversi riconoscere in
un corpo biologico depauperato del senso dell'esistere.
E' il territorio della paura,della paura dell'età
che avanza,territorio spesso estraneo alla malattia(Cesa-Bianchi
1996).
Eppure esistono eccellenti immagini e testimonianze di eccellenti
vecchi,tanto da poter affermare che invecchiamento e creatività
non siano affatto estranei l'uno all'altra(Garner 2002).
Pablo Picasso(1881-1973) possedette vigore ed inesauribile
talento fino agli ultimi giorni della sua esistenza.
Henri Matisse(1869-1954) superò negli ultimi anni le
limitazioni dovute all'età ed alla malattia con la
creazione dei gouaches decoupees.
Giuseppe Verdi(1813-1901) scrisse il Falstaff,potente evocazione
della vecchiaia ,alla non verdissima età di 79 anni.
Compito di colui che invecchia è dunque mantenere un
senso di integrità e di coesione del sé ,nonostante
le ricorrenti rappresentazioni negative della vecchiaia.
Così il "diventare vecchi"ci permette di
includere anche aspetti positivi di questa fase dell'esistenza,per
quanto la crescita personale,alla quale chi invecchia non
può dirsi estraneo, non rappresenta di per sé
e necessariamente un percorso lineare.
Separazioni e perdite costituiscono aspetti inevitabili nella
nostra esperienza del vivere ,financo necessari per conquistare
più compiuta consapevolezza del nostro essere adulti.
La maturità è insieme "una conquista e
una rinuncia,la perdita di un'incertezza,di un'illusione,di
uno slancio,di un vagabondaggio,di un dubbio:mentre lo sguardo
apprende a vedere,l'intelligenza a cogliere il nucleo delle
cose,il cuore a sopportare le cose tollerabili e intollerabili"(Citati1998).
E l'elaborazione del dolore può davvero avvicinarci
ad aspetti più profondi nella relazione con noi stessi
e col mondo,per aver cuore ,partecipi e compenetrati della
pienezza del significato del nostro tempo di vita(Salzberger-Whittenberg
1970).
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