di
Domenico Cucinotta
Professore Ordinario di Medicina Interna - Dipartimento
di Medicina Interna e Terapia Medica, Università di
Messina
La decisione terapeutica, specie quella di natura farmacologia,
è un atto medico di straordinaria importanza ma anche
assai delicato, in ogni ambito della medicina. Esso deve avere
come presupposto quello di una chiara identificazione degli
obiettivi terapeutici che si vogliono raggiungere. Il passo
successivo sarà quello di valutare, nell'ambito della
disponibilità, i farmaci in grado di raggiungere tali
obiettivi, assieme ad una attenta considerazione dei rischi
connessi al loro uso. Ciò è particolarmente
importante nel soggetto anziano, in cui spesso gli svantaggi
di un trattamento aggressivo superano i vantaggi che lo stesso
può offrire.
Nell'età senile una delle patologie croniche di più
comune riscontro è il diabete mellito, quasi sempre
di tipo 2, la cui prevalenza a questa età è
in continua crescita ed oggi si attesta tra il 10 e il 15%.
Il peso socio-sanitario di questa condizione morbosa è
strettamente legato alla presenza delle sue complicanze croniche,
che rappresentano un onere assai gravoso sia in termini di
salute individuale che di costi per la collettività.
Oggi però è possibile una efficace politica
sanitaria di contenimento di tale onere, incentrata su una
gestione intensiva dei fattori di rischio delle complicanze:
iperglicemia ma anche ipertensione, dislipidemia, ecc.
L'obiettivo fondamentale e prioritario della gestione terapeutica
di ogni soggetto con diabete mellito è infatti rappresentato
dal raggiungimento e dal mantenimento di un controllo glicemico
ottimale, cioè quanto più vicino possibile a
quello del soggetto normale, nel contesto di una riduzione
globale di tutti gli altri fattori di rischio cardiovascolare
eventualmente presenti. L'obiettivo, come dimostrato con grande
evidenza anche dagli studi DCCT nel diabete di tipo 1 e UKPDS
nel diabete di tipo 2, è estremamente efficace nella
prevenzione primaria e secondaria delle complicanze microangiopatiche
(retiniche e renali) e neuropatiche (neuropatia periferica
somato-sensoriale), specifiche della malattia; meno evidente,
ma comunque presente, è l'azione preventiva del buon
compenso metabolico nei confronti degli eventi cardiovascolari,
laddove l'obiettivo principale è rappresentato però
dalla correzione del rischio globale (1,2).
Il parametro fondamentale per la valutazione del compenso
metabolico e per la conseguente gestione terapeutica del diabete
mellito rimane sempre la glicemia, sia come tale che nella
espressione che ne riporta l'andamento medio nell'arco di
circa 3 mesi, cioè l'emoglobina glicata HbA1c. In realtà
ancora oggi non è perfettamente chiaro quale sia l'obiettivo
glicemico ottimale e in quale momento della giornata esso
vada valutato. Se infatti non v'è dubbio che i valori
cui tendere sono quelli della normalità, che per definizione
corrisponde a glicemie a digiuno < 110 mg/dl e dopo i pasti
< 140 mg/dl, è anche vero che questi obiettivi sono
difficili da raggiungere e impongono un costo elevato in termini
di rischio ipoglicemico. Non è neanche chiaro quale
sia il ruolo della glicemia postprandiale che, oltre a costituire
parte integrante della valutazione giornaliera del compenso
glicemico, viene da alcuni considerata un fattore di rischio
cardiovascolare indipendente, non solo nel paziente diabetico
ma anche nella popolazione generale. In realtà quest'ultimo
punto è stato documentato solo per quel che riguarda
la glicemia dopo carico orale di glucosio (OGTT) (3); inoltre
la glicemia postprandiale contribuisce in maniera minoritaria,
rispetto alla glicemia a digiuno, a determinare i valori dell'HbA1c
(4) e, sopratutto, a tutt'oggi mancano studi di intervento,
che dimostrino cioè che il controllo della glicemia
postprandiale riduce il rischio cardiovascolare (5). Nonostante
ciò tutte le più recenti linee-guida indicano
come obiettivi terapeutici della gestione del paziente diabetico,
oltre alla glicemia a digiuno (90-120 mg/dl) e alla emoglobina
glicosilata (<7%), anche la glicemia post-prandiale pur
se con valori anche molto diversi tra una indicazione e l'altra
(120-160 mg/dl secondo le linee-guida italiane, <180 secondo
quelle americane) (5,6) .
Per quanto riguarda i soggetti diabetici anziani, l'American
Diabetes Association opera una distinzione fondamentale e
certamente condivisibile: coloro che, essendo in buone condizioni
generali, hanno una aspettativa di vita tale da poter godere
dei benefici di un trattamento intensivo (stimata in almeno
10 anni) e sono in grado di gestire la propria condizione
clinica, dovrebbero essere trattati con gli stessi obiettivi
suggeriti per la popolazione generale; viceversa gli anziani
con complicanze della malattia in fase avanzata, con altre
comorbidità o con alterazioni cognitive o funzionali
importanti dovrebbero avere obbiettivi glicemici meno stringenti,
soprattutto per le conseguenze particolarmente negative che
in questi soggetti avrebbero gli eventi ipoglicemici (6) Se
questi sono gli obiettivi, gli strumenti a nostra disposizione
per raggiungerli sono oggi numerosi. In realtà sino
a pochi anni orsono l'armamentario terapeutico per la gestione
del diabete di tipo 2, da utilizzare quando i provvedimenti
sullo stile di vita (alimentazione ed attività fisica)
non sono sufficienti, era rappresentato solo da 2 famiglie
di farmaci, le solfaniluree e le biguanidi, oltre all'insulina
quando queste non erano più efficaci. Oggi invece abbiamo
a disposizione sia nuove categorie farmaceutiche sia nuove
molecole, nell'ambito delle solfaniluree; inoltre abbiamo
anche nuove, importanti evidenze scientifiche che ampliano
e chiariscono meglio il ruolo fondamentale di molecole non
nuove, come la metformina. Questa ampia disponibilità,
se da un lato aumenta le nostre possibilità di raggiungere
l'obiettivo terapeutico, dall'altro potrebbe essere fonte
di perplessità o incertezze. E' dunque opportuno esaminare
non solo l'efficacia di questi farmaci in termini di controllo
della glicemia ma anche la loro tollerabilità e gli
effetti collaterali, in modo da disegnarne nelle linee generali
indicazioni, controindicazioni e criteri di uso, con particolare
riguardo alle problematiche del soggetto anziano
E' anche opportuno fare una distinzione, utile soprattutto
ai fini pratici, tra farmaci prevalentemente efficaci sulla
glicemia a digiuno o su quella postprandiale e tra monoterapia
e terapia combinata
Farmaci che agiscono prevalentemente sulla glicemia a
digiuno.
Le solfaniluree.
Le solfaniluree sono la più vecchia classe di farmaci
utilizzati per la cura del diabete, dopo l'insulina. Esse
riducono la glicemia stimolando la secrezione di insulina
(azione secretagoga), mediante il legame con un recettore
specifico posto sulla superficie delle betacellule pancreatiche.
La loro azione è mediamente prolungata (10-12 ore)
e prescinde dai livelli glicemici. Ciò significa che
i soggetti in trattamento con questi farmaci sono esposti
al rischio di ipoglicemia, specie se l'alimentazione o l'attività
fisica sono irregolari. Altro effetto collaterale importante
è l'aumento di peso, anch'esso legato alla stimolazione
cronica della secrezione insulinica. Inoltre i pazienti in
trattamento con solfaniluree possono andare incontro a un
fallimento secondario di questi farmaci, che consiste nella
perdita della loro efficacia ipoglicemizzante dopo un uso
più o meno prolungato. Infine v'è anche la preoccupazione
di una loro possibile influenza negativa sul rischio cardiovascolare,
sia per l'iperinsulinismo che essi potrebbero indurre a seguito
della stimolazione pancreatica (esistono dati osservazionali
di un rapporto tra elevati livelli di insulina e aterosclerosi)
(8), sia soprattutto perchè alcune solfaniluree si
legano a recettori extrapancreatici presenti a livello di
vasi come le coronarie inducendo (in condizioni sperimentali)
vasocostrizione. In realtà non vi sono evidenze cliniche
di tali effetti negativi, anzi i dati dell'UKPDS dimostrano
che nei soggetti trattati con solfaniluree non vi è
un aumento degli eventi cardiovascolari.
Tra le solfaniluree l'unica nuova molecola è la glimepiride.
Essa differisce dalle precedenti sostanze ancora oggi in uso
(glibenclamide e gliclazide, soprattutto) per la durata maggiore,
che ne consente la monosomministrazione giornaliera, per un
legame con i recettori cardiovascolari pressoché assente
e soprattutto, a parità di efficacia, per una minore
stimolazione della secrezione insulinica, grazie alla presenza
di meccanismi di azione anche extrapancreatici.
L'efficacia terapeutica delle diverse solfaniluree è
quantizzabile in una riduzione dell'HbA1c compresa tra 1 e
2 punti percentuali (p.p.). In una ampia rassegna dei più
importanti studi clinici controllati condotti con i farmaci
ipoglicemizzanti orali, apparsa di recente su JAMA (9), viene
riferito che la glimepiride in monoterapia, rispetto al placebo,
riduce la HbA1c di 2,5 p.p. e la glipizide di 1,8 p.p. Negli
studi di confronto l'efficacia delle diverse molecole è
sostanzialmente simile, ma con la glimepiride si osserva una
minore incidenza di ipoglicemie.
Sulla scorta di quanto detto le solfaniluree possono essere
considerati farmaci di prima scelta in quella minoranza di
soggetti diabetici di tipo 2 che non sono obesi e che hanno
una iperglicemia a digiuno non eccessiva (è verosimile
che per valori superiori a 250 - 300 mg esse da sole non siano
efficaci); come farmaco d'associazione esse invece possono
essere utilizzate praticamente in tutti i pazienti con diabete
di tipo 2, combinate sia con i farmaci attivi sull'insulino-resistenza
che con gli inibitori delle alfa-glicosidasi, oltre ovviamente
all'insulina. Controindicazioni al loro impiego sono le forme
gravi di insufficienza epatica, mentre nelle forme lievi-moderate
di insufficienza renale è possibile utilizzare la glimepiride,
che è eliminata anche per via biliare.
Nell'anziano, in considerazione del concreto rischio ipoglicemico
e del possibile rischio cardiovascolare, le solfaniluree non
costituiscono un farmaco di prima scelta e il loro uso dovrebbe
essere limitato alla molecola che riduce (ma non elimina)
tali rischi e cioè alla glimepiride
Le biguanidi
In questa categoria non vi sono novità terapeutiche
ma la metformina (unico farmaco oggi utilizzabile), pur essendo
da molti anni commercializzata in Europa e da alcuni anni
anche negli USA, è stata di recente protagonista di
alcuni trial clinici che ne hanno confermato le grandi potenzialità
terapeutiche e ne hanno anche dimostrato le capacità
preventive nei confronti del diabete di tipo 2. Per tale motivo
appare corretto ricordare le caratteristiche principali di
questo farmaco, attualmente leader mondiale nella categoria
degli ipoglicemizzanti orali.
In realtà il termine "ipoglicemizzante"
non si addice alla metformina, dal momento che essa non da
sola non induce mai ipoglicemia. La metformina infatti agisce
riducendo, con meccanismi ancora non del tutto chiari, l'eccessiva
produzione di glucosio da parte del fegato che è caratteristica
della malattia diabetica ed è responsabile dell'aumento
dei livelli glicemici soprattutto a digiuno. Poiché
questo fenomeno nel diabete di tipo 2 è dovuto principalmente
alla presenza di uno stato di insulino-resistenza (caratteristico
della malattia anche nella fase preclinica), è corretto
definire la metformina un farmaco "insulino-sensibilizzante",
come dimostrato anche dal fatto che il suo impiego consente
spesso di ridurre la dose di insulina nei diabetici di tipo
2 insulino-trattati e può essere esteso a condizioni
di insulino-resistenza non diabetiche (ad esempio, la sindrome
dell'ovaio policistico)
L'attuale successo di un farmaco certamente non nuovo è
legato soprattutto ai risultati del già citato UKPDS,
in cui i pazienti trattati con metformina avevano una incidenza
minore di episodi cardiovascolari, oltre ad un minor aumento
di peso, rispetto a quelli trattati con solfaniluree o con
insulina. Di recente poi è stato pubblicato un importante
studio clinico controllato sulla prevenzione del diabete di
tipo 2 in soggetti a rischio, nei quali l'intervento consisteva
in modifiche dello stile di vita (dieta ed attività
fisica) o nell'uso della metformina. Il primo tipo di intervento
era estremamente efficace, riducendo l'incidenza del diabete
di circa il 60% annuo, ma anche la metformina ha dato risultati
positivi, con una riduzione del 30% (10)
In termini di diminuizione della HbA1c l'efficacia della metformina
è simile a quella delle solfaniluree, cioè dell'ordine
di 1-2 p.p (9). Il farmaco può comportare effetti collaterali
fastidiosi, di ordine gastrointestinale, la cui incidenza
può essere ridotta incrementandone la dose progressivamente
e frazionandone la somministrazione in 2-3 assunzioni giornaliere.
Anche se molto rara ben più temibile, perché
assai spesso letale, è invece l'acidosi lattica, la
cui incidenza peraltro è virtualmente assente se vengono
rispettate le controindicazioni del farmaco e cioè
insufficienza epatica, renale e cardiorespiratoria.
La metformina in monoterapia è il farmaco di prima
scelta nei soggetti con diabete di tipo 2 in sovrappeso o
obesi e in cui sia presente una iperglicemia a digiuno di
entità non eccessiva, condizioni queste che in pratica
rappresentano la grande maggioranza di tale popolazione all'esordio
della malattia; essa può essere poi associata a tutte
le altre categorie di farmaci ipoglicemizzanti.
Queste considerazioni valgono anche per il diabetico anziano
che non presenti controindicazioni specifiche; può
essere però opportuno in questi soggetti eseguire un
monitoraggio periodico della lattacidemia
Farmaci che agiscono prevalentemente sulla glicemia post-prandiale
Gli inibitori delle alfa-glicosidasi
Questi farmaci agiscono deprimendo per inibizione competitiva
l'attività di alcuni importanti enzimi digestivi, le
alfa-glicosidasi, situati sull'orletto a spazzola delle cellule
dell'intestino tenue e deputati alla scissione dei carboidrati
complessi (disaccaridi e polisaccaridi) in carboidrati semplici
(monosaccaridi), che poi vengono assorbiti. La riduzione di
tale assorbimento comporta una riduzione della glicemia post-prandiale,
che è proporzionale alla quota di carboidrati presenti
nella dieta.
L'unico farmaco di questa categoria disponibile in Italia
è l'acarbose che, oltre a ridurre la glicemia postprandiale,
abbassa anche l'HbA1c di 0.5 - 1 p.p. (9). Peraltro il meccanismo
d'azione e l'assenza di effetti sistemici consentono l'uso
del farmaco anche nel diabete di tipo 1 e in combinazione
con tutti gli altri ipoglicemizzanti orali nel diabete di
tipo 2, quando è necessario correggere una persistente
iperglicemia post-prandiale. Non vi sono controindicazioni
importanti ma vanno tenuti presenti i fastidiosi effetti collaterali
a livello gastrointestinale (meteorismo e flatulenza), legati
alla fermentazione intestinale degli zuccheri e che possono
essere minimizzati incrementando in maniera progressiva la
posologia.
Non esistono controindicazioni specifiche all'uso dell'acarbose
nell'anziano con diabete.
I secretagoghi non solfanilureici o glinidi
A differenza delle solfaniluree questi farmaci, che rappresentano
una nuova categoria terapeutica, stimolano la secrezione insulinica
in maniera rapida e di breve durata, il che li rende particolarmente
indicati per il controllo della glicemia post-prandiale. Va
ricordato che la secrezione insulinica fisiologica, dopo uno
stimolo glucidico, consta di una fase rapida e intensa, della
durata di pochi minuti e di una fase tardiva, meno intensa
ma più prolungata. La perdita della fase precoce caratterizza
il diabete di tipo 2 nei primi anni di malattia ed è
considerata responsabile, assieme al già citato meccanismo
dell'insulino-resistenza, dell'iperglicemia postprandiale
di questi soggetti. Col tempo poi compare e si accentua anche
il difetto della fase tardiva che conduce progressivamente,
più o meno lentamente, all'insulino-dipendenza
Il primo di questi farmaci, l'unico attualmente in commercio
in Italia, è la repaglinide, che agisce legandosi ad
un recettore della membrana betacellulare che è diverso
da quello delle solfaniluree, ma ha una attività simile
e cioè stimola la secrezione di insulina. Il legame
è rapido e di breve durata e questo spiega l'efficacia
selettiva sulla glicemia post-prandiale .
Il farmaco è in grado di ridurre nettamente, di 1.7
- 1.9 p.p., i livelli di HbA1c; infatti negli studi di confronto
la sua efficacia globale è sovrapponibile a quella
delle solfaniluree tradizionali, pur con le prevedibili differenze
in termini di effetti sulla glicemia a digiuno (migliori con
le solfaniluree) e post-prandiali (migliori con la repaglinide)
(9).
Un'altra molecola di questa categoria che dovrebbe essere
presto disponibile anche in Italia è la nateglinide,
un derivato della fenilalanina che ha dimostrato caratteristiche
farmacocinetiche e farmacodinamiche parzialmente diverse dalla
repaglinide (maggiore intensità e minore durata dell'azione
secretagoga) e una efficacia ipoglicemizzante all'incirca
pari a - 0.6 /1.0 p.p. di HbA1c, rispetto al placebo (8).
Gli effetti collaterali di questi farmaci, in considerazione
del loro meccanismo di azione, sono simili a quelli delle
solfaniluree (ipoglicemia ed aumento di peso), ma di minore
entità; essi sono controindicati nella insufficienza
epatica mentre nelle insufficienza renale lieve-moderata la
repaglinide, escreta anche per via biliare, può essere
utilizzata.
Le glinidi possono essere considerati farmaci di prima scelta,
in monoterapia, nei diabetici di tipo 2 di nuova diagnosi,
normopeso o lievemente in sovrappeso e in cui persiste un'iperglicemia
post-prandiale, nonostante il trattamento non farmacologico.
Esse si sono dimostrate anche molto efficaci (forse più
che in monoterapia) in combinazione i farmaci attivi sulla
insulino-resistenza, sia metformina e glitazoni.
Queste considerazioni (in particolare l'emivita breve e quindi
il ridotto rischio di ipoglicemia e le escrezione alterantiva
a quella renale) rendono poi la repaglinide particolarmente
indicata come secretagogo di prima scelta nell'anziano diabetico
I tiazoledinedioni o glitazoni
I glitazoni sono farmaci di recente introduzione in commercio
che, come le biguanidi, agiscono migliorando la resistenza
periferica all'insulina, caratteristica fisiopatologica del
diabete mellito di tipo 2 ma anche di altre condizioni cliniche
(obesità, ipertrigliceridemia, ipertensione, ecc.).
A differenza della metformina essi agiscono legandosi con
recettori nucleari noti come PPAR (Peroxisome-Proliferator
Activated Receptor gamma), la cui stimolazione comporta una
differenziazione dei preadipociti in adipociti e una diminuizione
della lipolisi, con riduzione dei livelli circolanti di acidi
grassi liberi e del loro effetto negativo sulla sensibilità
periferica all'insulina (lipotossicità). Inoltre questi
farmaci migliorano il trasporto del glucosio a livello muscolare
e queste azioni nell'insieme spiegano perché essi,
rispetto alla metformina, siano più efficaci sulla
utilizzazione post-prandiale del glucosio alimentare ad opera
del tessuto muscolare (e in parte adiposo) e meno sulla produzione
epatica, prevalentemente notturna, di glucosio.
I 2 farmaci di questa famiglia attualmente in commercio sono
il pioglitazone e il rosiglitazone. L'efficacia terapeutica
delle due molecole è sovrapponibile e pari a una riduzione
di 1.5 - 1.6 p.p. dell'HbA1c (9). Vi sono anche effetti sul
metabolismo lipidico, però meno univoci tra le 2 molecole,
con una tendenza alla riduzione dei livelli plasmatici di
colesterolo totale, HDL e dei trigliceridi. Altre proprietà
di questi farmaci, suggerite da studi preliminari e di tipo
sperimentale, sono quelle anti-infiammatorie e anti-aterogene,
che creano grande interesse in prospettiva ma che naturalmente
necessitano della verifica clinica.
Vi sono peraltro effetti collaterali come un modesto aumento
di peso (2-3 kg), probabilmente legato alla differenziazione
adipocitaria e che però sembra coinvolgere solo il
tessuto adiposo sottocutaneo, a minor rischio cardiovascolare,
e talora edemi periferici. Non sono stati invece segnalati
eventi epatici gravi come quelli verificatisi con il capostipite
di questa famiglia, il troglitazone. E' opportuno comunque,
per motivi precauzionali, valutare periodicamente in corso
di terapia la funzionalità epatica; l'uso di queste
sostanze inoltre è controindicato, per il problema
della ritenzione idrica, nello scompenso cardiaco.
Va infine ricordato che, sebbene questi farmaci si siano
dimostrati efficaci da soli, in monoterapia o, in combinazione,
anche con l'insulina, la normativa europea ne consente l'uso
solo in associazione con la metformina, quando questa da sola
non è efficace o con le solfaniluree, se la metformina
non è tollerata. Inoltre in Italia essi attualmente
vengono dispensati solo dalle farmacie ospedaliere, su prescrizione
dello specialista.
I glitazoni possono essere utilizzati anche nell'anziano;
però va tenuto presente che a tale età è
più facile che si verifichino le condizioni cliniche
(soprattutto scompenso cardiaco anche in fase iniziale, per
la ritenzione idroelettrolitica) che ne controindicano l'uso
Monoterapia o terapia combinata?
Come già accennato, il diabete mellito di tipo 2 è
una condizione morbosa caratterizzata dalla presenza di un
duplice difetto patogenetico, l'insulino-resistenza e la carente
secrezione insulinica, tra di loro variamente combinati anche
in funzione della durata della malattia. Se infatti negli
stadi iniziali prevale l'insulino-resistenza e il difetto
di secrezione è limitato alla perdita della prima fase,
col tempo diventa prevalente il deficit secretorio e questo
rende pressochè inevitabile il ricorso a più
farmaci, per riportare alla norma i valori glicemici.
L'approccio terapeutico tradizionale prevede che, al farmaco
utilizzato in prima istanza e fino alle dosi massime consentite,
venga poi aggiunta una seconda e, se necessario, una terza
molecola, secondo le indicazioni e i criteri precedentemente
esposti. Questo approccio "a scalini", molto simile
a quello in uso per l'ipertensione arteriosa, oggi però
è messo in discussione da voci autorevoli e viene proposto
anche in prima battuta l'uso di una terapia combinata con
2 farmaci, concettualmente un secretagogo e un insulino-sensibilizzante,
che consentirebbe di raggiungere più facilmente l'obiettivo
terapeutico, con dosaggi minori delle singole molecole e quindi
con minori effetti collaterali (11). Questa possibilità,
senz'altro interessante, necessita però del supporto
di studi clinici controllati che ne dimostrino la superiorità
nei confronto dell'approccio tradizionale.
Va comunque preso atto che la pratica di utilizzare da subito
più farmaci ha da tempo un' ampia (e spesso criticata)
diffusione nel nostro paese, grazie anche alla disponibilità
di combinazioni precostituite di glibenclamide (2,5 o 5 mg)
e metformina (400 o 500 mg) . Essa ha certamente il vantaggio
di ridurre il numero di compresse giornaliere che il paziente
deve assumere, ma ha il limite di obbligare alla scelta di
2 sole molecole e all'impiego di farmaci e di dosaggi non
sempre ottimali, specialmente quando è necessario ricorrere
a dosi piene (2000-2500 mg/die) di metformina. La personalizzazione
della terapia, anche adottando una scelta combinata di farmaci,
rappresenta molto spesso la chiave del successo, sia in termini
di maggior efficacia che di minor prezzo pagato agli effetti
collaterali e questo acquista un particolare valore nell'età
senile.
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