di
Pierluigi Dal Santo
Definizione di dolore - Anatomia e fisiologia del sistema
algico (pain system).
In termini fisiopatologici moderni il dolore corrisponde
ad una "sensazione spiacevole e ad una esperienza emozionale
ed affettiva associata a danno dei tessuti o descritto nei
termini di tale danno" (1). Non si tratta quindi solo
della semplice attivazione di un sistema nervoso complesso,
ma corrisponde sempre ad uno stato psicologico sul quale giocano
le loro influenze lo stato emozionale e precedenti esperienze
spiacevoli. Più precisamente, dal concetto di dolore
(o meglio di nocicezione) andrebbe distinto quello di sofferenza
che comprende soprattutto la risposta emotiva ed affettiva
ad una stimolazione dolorosa o anche ad altri eventi quali
paura, minaccia e presentimenti.
Da un punto di vista anatomo-fisiologico il sistema algico
può essere definito come un sistema neuro-ormonale
complesso, a proiezione diffusa, in cui si possono riconoscere
tre sottosistemi (2-5):
1. un sistema afferenziale che conduce gli impulsi nocicettivi
dalla periferia ai centri superiori;
2. un sistema di riconoscimento che "decodifica"
e interpreta l'informazione valutandone la pericolosità
e predisponendo la strategia della risposta motoria, neurovegetativa,
endocrina e psicoemotiva;
3. un sistema di "modulazione" e controllo che provvede
ad inviare impulsi inibitori al midollo spinale allo scopo
di ridurre la potenza degli impulsi nocicettivi afferenti.
I sottosistemi 1 e 2 costituiscono il sistema "nocicettivo",
il 3 il sistema antinocicettivo. Questa suddivisione funzionale
trova una diretta corrispondenza nella terapia antalgica che
può appunto realizzarsi in due modi fondamentali: interrompendo
le vie del sistema nocicettivo ovvero rinforzando il sistema
antinocicettivo
Le strutture nervose che costituiscono il sistema nocicettivo
"afferente" comprendono:
· I recettori: terminazioni nervose libere in grado
di rispondere a vari tipi di stimolazione: termica, pressoria,
variazione di pH, riduzione della tensione di O2, contatto
con sostanze algogene liberate da tessuti lesi (potassio,
istamina, serotonina, prostaglandine), provenienti dal circolo
sanguigno, (bradichinine) o dalle stesse terminazioni nervose,
come la sostanza P che, possedendo varie attività biologiche
(vasodilatazione, chemiotassi per i leucociti, degranulazione
dei mastociti), trasforma i recettori in veri e propri "neuroeffettori".
· Il neurone primario afferente sensoriale: ha la
cellula di origine posta nel ganglio spinale e due assoni
di cui uno si dirige in senso centrifugo terminando con un
recettore nelle strutture tessutali periferiche (cute, strutture
somatiche e viscerali) e uno si dirige in senso centripeto
raggiungendo il corno posteriore del midollo spinale. Le fibre
afferenti primarie in grado di condurre lo stimolo dolorifico
sono di due tipi: fibre mieliniche di piccolo diametro (A-d)
che conducono ad una velocità di 10-30 m/sec. sensazioni
dolorose di tipo puntorio, ben localizzate e con la stessa
durata dello stimolo applicato (dolore "epicritico"),
e fibre amieliniche di piccolo diametro ( C ), con velocità
di conduzione di 1-10 m/sec. responsabili della trasmissione
di dolore poco localizzato, di tipo "urente", e
che ha una durata maggiore dell'applicazione dello stimolo
stesso (dolore "protopatico"). Il dolore viscerale
profondo e riferito ha caratteristiche simili a quelle del
dolore "protopatico" piuttosto che di quello "epicritico".
· Le corna dorsali: i neuroni delle corna posteriori
che contraggono sinapsi con gli assoni provenienti dai neuroni
dei gangli spinali, si organizzano in una serie di "lamine"
sulla base della morfologia e della disposizione delle cellule
stesse: in tal modo l'informazione nocicettiva viene sottoposta
ad una prima elaborazione grazie alla modulazione (equilibrio
fra azione eccitatoria ed inibitoria) fornita dai vari neurotrasmettitori
(sostanza P, colecistochinina, somatostatina). E' importante
ricordare che sui neuroni spinali convergono input provenienti
sia dalla cute che dai visceri profondi, per cui, grazie tale
convergenza, si realizza il cosiddetto "dolore riferito":
in tal modo l'attività indotta nei neuroni spinali
da stimoli provenienti da strutture profonde viene erroneamente
riferita in un'area che è grossomodo sovrapponibile
alla regione cutanea innervata dal medesimo segmento spinale.
· Il sistema spino-talamico e talamo-corticale: il
sistema spino-talamico può essere concettualmente diviso
in una parte diretta, che trasmette l'informazione sensitiva
discriminativa del dolore a livelli talamici, e una parte
spino-reticolo-talamica, filogeneticamente più antica,
che termina più diffusamente nei nuclei reticolari
del tronco encefalico. Il sistema spino-talamico diretto è
importante per la percezione cosciente delle sensazioni nocicettive
e termina ordinatamente entro il nucleo ventro-postero-laterale
del talamo (VPL) ove afferiscono anche le vie nervose provenienti
dalle colonne dorsali che trasmettono la sensibilità
tattile superficiale e la sensazione articolare: ciò
consente di discriminare aspetti sensitivi del dolore in merito
alla sua localizzazione, natura ed intensità. A loro
volta le cellule del VPL proiettano alla corteccia somato-sensoriale
primaria (1^ e 2^ area somato-sensitiva della corteccia parietale).
Il sistema spino-reticolo-talamico lungo il suo decorso ascendente
invia collaterali ai nuclei della sostanza reticolare bulbo-mesencefalica
formando parte di un sistema polisinaptico che termina nei
nuclei talamici mediali: questo sistema polisinaptico può
mediare alcuni aspetti delle reazioni autonomiche e affettive
del dolore (p. es. reazione di allerta e di orientamento agli
stimoli dolorosi), mentre non sembra importante per la discriminazione
e la localizzazione sensoriale. Ricordiamo infine che dal
sistema limbico afferiscono al talamo neuroni provenienti
dall'amigdala e dall'ippocampo: queste connessioni e le loro
implicazioni funzionali sono importanti per il tono cognitivo
e psicoemotivo che viene impresso all'evento dolore.
Il sistema di modulazione "antinocicettivo" comprende
impulsi discendenti provenienti dalla corteccia frontale e
dall'ipotalamo che vanno ad attivare neuroni mesencefalici
e del bulbo. Numerose prove testimoniano che questo sistema
di modulazione contribuisce all'effetto analgesico dei farmaci
oppioidi, in quanto sono presenti recettori per gli oppioidi
stessi; inoltre, i nuclei che compongono il sistema di modulazione
del dolore contengono peptidi endogeni, come le endorfine.
Le condizioni in grado di attivare questo sistema di modulazione
in modo più costante sono il dolore e/o la paura che
persistono per un periodo prolungato ed infatti è stato
dimostrato che sostanze endogene analgesiche vengono rilasciate
a seguito di interventi chirurgici.
La modulazione del dolore è a doppio senso e quindi
si può avere sia produzione di analgesia, sia intensificazione
della sensazione dolorosa; infatti è esperienza comune
come stati psicologici particolari (stress e depressione)
siano in grado di automantenere le sensazioni dolorose croniche.
Lo stress è un fattore di importante variazione della
percezione del dolore secondo un processo "bifasico"
che registra un innalzamento della soglia (Analgesia da Stress
- Stress Induced Analgesia, SIA), seguito, con perdurare nel
tempo della stimolazione, da un abbassamento a livello patologico,
ovvero di gran lunga minore del livello primitivo o di controllo.
In questa seconda fase possono essere coinvolti diversi peptidi
come l'1-24 ACTH e la colecistochinina (CCK) che assume il
ruolo di "naloxone endogeno" (6, 7).
Per quanto riguarda la depressione, è tuttora controverso
il significato della sua concomitanza con il dolore, per cui
se in alcuni pazienti i disturbi depressivi sembrano essere
solo secondari all'insorgenza del dolore, in altri il dolore
rappresenta una dei sintomi di depressione endogena. Molti
aspetti neurochimici sembrano comunque accomunare dolore e
depressione: il sistema monoaminergico, nella sua componente
serotoninergica, gioca un ruolo rilevante nella modulazione
endogena del dolore in quanto una sua diminuzione (a vantaggio
della componente noradrenergica), è in grado di aumentare
la sensibilità e la reattività allo stimolo
nocicettivo, di diminuire la risposta analgesica agli oppiacei
esogeni e di evocare sintomi di tipo depressivo (4, 5, 8-11).
Gli antidepressivi triciclici, cui va riconosciuta una particolare
efficacia teapeutica nei due quadri, agirebbero diminuendo
l'attività noradrenergica ed aumentando quella serotoninergica.
Nel paziente anziano tutta questa problematica appare ancor
più importante, se si considera che fattori psico-sociali,
con il conseguente stato di stress cronico, possono interagire
con il processo di invecchiamento cerebrale che sembra alterare
la trasmissione serotoninergica.
Classificazione del dolore
Una prima suddivisione del dolore (12, 13), tiene conto del
tempo di insorgenza, per cui si riconosce un dolore acuto,
che di solito ha una causa facilmente identificabile e che
si associa ad uno stato emotivo di tipo ansioso con attivazione
del sistema simpatico, e un dolore cronico, che ha durata
maggiore di sei mesi. Diversamente da quello acuto, il dolore
cronico perde la sua funzione biologica di adattamento e,
specialmente in età geriatrica, si accompagna facilmente
a depressione.
Il dolore cronico può essere suddiviso in nocicettivo
(proporzionato alla continua attivazione delle fibre nervose
della sensibilità dolorifica), neurogeno, (causato
da un processo patologico organico interessante le vie nervose
afferenti) e psicogeno.
Il dolore di tipo nocicettivo può essere sia somatico
che viscerale e nel paziente anziano la maggior parte dei
dolori cronici è di tipo nocicettivo somatico (p. es.
artrite, cancro, dolore muscolo-fasciale): in questo caso
per alleviare il dolore bisogno rimuovere la causa periferica
(p. es. riduzione della flogosi), mentre solo in un secondo
momento si potrà ricorrere all'interruzione delle vie
nervose afferenti.
Il dolore da neuropatia deriva da un danno diretto alle vie
nervose centrali e/o periferiche causato da patologie molto
frequenti in età geriatrica come per esempio il diabete
e l'herpes zoster. Esso ha un carattere urente, tipo "scossa
elettrica" o "formicolio" e può essere
scatenato anche soltanto da una lieve stimolazione tattile.
I meccanismi del dolore da neuropatia sono di vario tipo:
le fibre afferenti primarie interessate da una lesione, inclusi
i nocicettori, divengono estremamente sensibili alla stimolazione
meccanica e iniziano a generare impulsi anche in assenza di
stimolazione, attivandosi spontaneamente. La successiva elaborazione
delle informazioni a livello del SNC può persistere
anche in assenza di un'attivazione continua delle fibre nervose
sensitive e ciò sta alla base della cosiddetta sindrome
da deafferentazione, tipica del dolore da arto fantasma. Le
fibre nervose sensitive lese possono anche sviluppare una
ipersensibilità alla noradrenalina rilasciata da neuroni
simpatici post-gangliari e ciò determina un dolore
urente o di tipo "bruciore" o "pugnalata"
poco sensibile ai farmaci analgesici, ma che risponde elettivamente
al blocco del sistema simpatico; questo dolore si manifesta
con una latenza di ore, giorni o anche settimane rispetto
all'applicazione del danno nervoso (causato da fratture ossee,
traumi dei tessuti molli, infarto miocardico), e si accompagna
a tumefazione delle estremità, osteoporosi nelle aree
periarticolari e modificazioni artrosiche delle articolazioni
distali (distrofia simpatica riflessa).
Il dolore psicogeno si presenta con intensità ed invalidità
sproporzionate rispetto alla causa somatica identificabile
ed è correlato ad una tendenza più profonda
al comportamento anomalo da malattia (sindrome dolorosa cronica
di origine non neoplastica). Alcuni di questi pazienti non
presentano alcuna malattia organica ed i loro disturbi possono
pertanto essere classificati fra le cosiddette forme di somatizzazione.
Le definizioni sopra riportate sono riassunte nella seguente
tabella.
TABELLA - Classificazione del dolore.
Acuto: causa facilmente identificabile, stato ansioso associato,
attivazione del sistema simpatico.
Cronico: durata maggiore di sei mesi, perdita della funzione
biologica di adattamento, associato facilmente a depressione.
Nocicettivo: proporzionato alla continua attivazione delle
fibre nervose della sensibilità
dolorifica, può essere somatico o viscerale.
Neurogeno: dovuto a processo patologico organico interessante
le vie nervose afferenti.
Psicogeno: intensità e invalidità sproporzionate
alla causa somatica supposta responsabile.
Le alterazioni della sensibilità dolorifica in età
geriatrica: esiste una "presbialgia"?
Per capire se con l'invecchiamento si determinano delle alterazioni
della percezione e dell'elaborazione del dolore, al pari di
altre perdite di funzione, dobbiamo valutare i seguenti "punti
focali":
1. effetti dell'invecchiamento sul dolore "acuto":
analisi dei risultati sperimentali, aspetti fisiopatologici
della percezione "atipica" di eventi dolorosi acuti
di particolare rilevanza clinica;
2. effetti dell'invecchiamento sul dolore "cronico";
3. influenza del deficit cognitivo sulla percezione del dolore.
1. Invecchiamento e dolore acuto
Il dolore acuto può essere sperimentalmente riprodotto
e ciò comporta teoricamente un'oggettiva analisi dei
rapporti tra la percezione del dolore e l'invecchiamento.
Gli studi sperimentali che si sono succeduti fin dagli anni
'40 si sono avvalsi per la maggior parte di stimolazioni termiche
ed elettriche; in qualche caso si sono analizzate le sensazioni
dolorose da pinzamento del tendine achilleo o da stimolazione
elettrica dentaria.
I parametri presi in considerazione sono stati:
· la soglia del dolore, cioè la minima quantità
di stimolazione per cui il soggetto dichiara verbalmente di
provare dolore;
· la soglia comportamentale al dolore, definita come
la minima stimolazione sufficiente a provocare la contrazione
del muscolo orbicolare dell'occhio;
· la soglia della tolleranza al dolore, cioè
la minima quantità di stimolazione che provoca nel
soggetto un dolore di intensità tale da non poter essere
più ulteriormente sopportato.
I risultati degli studi sperimentali che hanno valutato le
variazioni età dipendenti della soglia del dolore sono
contrastanti, in quanto sono stati riscontrati sia aumento
(14-17) che assenza di modificazioni (18-19) dei parametri
considerati. Analoghi, contrastanti risultati si sono ottenuti
analizzando la soglia comportamentale del dolore (15-18),
mentre per quanto riguarda la soglia di tolleranza al dolore
sembra esservi una diminuzione con l'avanzare dell'età
accompagnata da un minimo aumento del tempo in cui si manifesta
lo stesso fenomeno, rilevabile però solo nei soggetti
di sesso femminile (20-21).
Questi dati sperimentali così contradditori possono
essere stati determinati da varie condizioni. In primo luogo,
la quasi totalità degli studi sperimentali analizzava
il dolore superficiale evocato da brevi stimolazioni cutanee:
non è chiaro come cambiamenti, correlati all'età,
di questo tipo di dolore dovuto alla stimolazione di fibre
afferenti di tipo A-d, correli con il dolore clinicamente
più rilevante (viscerale e profondo), mediato da fibre
amieliniche di tipo C. In secondo luogo, mancano in letteratura
studi longitudinali sull'effetto dell'età sulla percezione
del dolore, per cui i dati disponibili derivano da studi trasversali
che, come tali, introducono potenziali bias (drop out di selezione,
effetto coorte, precedente storia di dolore). Dobbiamo infine
tenere presente che i parametri "soglia del dolore"
e "tolleranza" sono assai poco collegabili al dolore
acuto della pratica clinica o al dolore cronico, tanto è
vero che entrambi i parametri non sembrano essere influenzati
dai trattamenti analgesici.
Rifacendoci alla definizione fisio-patologica di "dolore",
è logico attendersi che sulla sua percezione vadano
ad interagire fattori emozionali e cognitivi particolari:
è esperienza comune il fatto che un intervento chirurgico
d'urgenza (specie se seguito da prolungata immobilizzazione)
determina un'apparente diminuzione della soglia del dolore
negli anziani e contemporaneamente può causare episodi
di "delirium". E' stato dimostrato che nei soggetti
anziani sottoposti ad intervento per frattura dell'anca il
contesto e la natura dell'esperienza influenzano grandemente
le percezioni dolorose, ed il dolore acuto ed il comportamento
delirante sono molto meno frequenti nei soggetti che hanno
potuto ricevere un'adeguata informazione sulle procedure,
ovviamente a parità di condizioni cliniche pre- e post-operatorie
(22).
Ciò che ha una particolare rilevanza nell'analisi della
fisiopatologia del dolore acuto è invece la presentazione
spesso atipica dello stesso in alcune gravi condizioni patologiche:
è assodato che l'infarto miocardico silente è
più frequente nei vecchi che nei giovani (23-25), e
la malattia ulcerosa anche complicata è frequentemente
priva di sintomatologia dolorosa nei pazienti di età
geriatrica (26-27). La sensazione dolorosa in queste patologie
viscerali acute origina quando vengono raggiunti livelli sufficienti
di impulsi afferenti e quando si ha un'appropriata attivazione
delle vie centrali ascendenti (28). Negli anziani asintomatici
questi livelli di stimolazione potrebbero non essere raggiunti,
a causa di una insufficiente stimolazione tessutale o di una
diminuita capacità di trasmissione cefalica, e ciò
può essere all'origine di una supposta "ipoalgesia"
del paziente anziano (29). Tuttavia questi dati non tengono
conto del fatto che con l'invecchiamento si ha un aumento
dell'incidenza e della prevalenza di angina da sforzo (30-31)
e che in giovani adulti si verificano frequenti episodi di
ischemia silente (con depressione del tratto ST) indotta da
stress (32).
Una possibile conclusione è che l'invecchiamento "di
per sé" non diminuisca o alteri il sistema complesso
coinvolto nella trasmissione e nell'elaborazione del dolore
acuto rilevabile clinicamente anche se, in mancanza di dati
sperimentali che correlino il dolore atipico con quello superficiale
indotto sperimentalmente, è del tutto giustificato
e prudente considerare la presentazione dolorosa atipica come
manifestazione di malattia acuta dell'anziano.
2. Invecchiamento e dolore cronico.
Numerosi studi epidemiologici sembrano indicare che il dolore
acuto, di recente insorgenza, diminuisca con l'avanzare dell'età
mentre aumenti quello di non recente osservazione (11, 31).
Più precisamente, le visite per dolore di recente insorgenza
raggiungono un picco tra la prima e la seconda metà
della 5^ decade di vita, mentre le visite ambulatoriali per
dolore cronico aumentano linearmente fino ai 65 anni per poi
decrescere leggermente dai 65 anni in avanti (32). E' interessante
notare come le condizioni cliniche che più frequentemente
determinano dolore cronico nell'età giovane-adulta
(emicrania, cefalea, cefalea muscolo-tensiva, malattia ulcerosa,
dolore addominale, dolore dorsale) diminuiscano nell'età
avanzata, mentre aumentino quelle associate a processi degenerativi
muscolo-scheletrici, alle fratture ossee, al sistema cardiovascolare
ed all'herpes zoster (11, 33).
Il dolore cronico e la disabilità conseguente sono
fra le cause più importanti di scadente qualità
di vita, ridotto benessere e depressione nei pazienti anziani
(34, 35). Inoltre, in uno studio condotto su 1306 anziani
istituzionalizzati, è stato condotto come il dolore
cronico muscolo-scheletrico costituisca un importante fattore
di disabilità (36).
Per quanto riguarda il dolore neoplastico, non sembrano emergere
significative differenze per intensità e possibile
presenza di dolore di tipo neuropatico o acuto incidentale
nelle diverse classi d'età; gli anziani tuttavia, come
recentemente messo in luce, sembrano richiedere minori quantitativi
di oppioidi, definiti come MEDD, cioè [(parenteral)
morphine equivalent daily dose (MEDD)], rispetto ai pazienti
giovani-adulti per ottenere l'analgesia (37).
3. Influenza del deficit cognitivo sulla percezione del
dolore.
I deficit cognitivi dipendenti da varie affezioni del SNC
(demenza di Alzheimer, demenza multi-infartuale, morbo di
Parkinson, ecc..), aumentano considerevolmente con l'avanzare
dell'età (38), tanto che il rischio di sviluppare una
demenza sembra raddoppiare ogni 5 anni dopo i 65 anni (39).
Nonostante che demenza e dolore cronico siano molto frequenti
in età geriatrica, allo stato attuale non si hanno
dati sufficienti in letteratura sulla prevalenza, la definizione
delle caratteristiche peculiari ed il management del dolore
negli anziani dementi. Probabilmente, la causa di questa situazione
è da ricercarsi nella difficoltà di valutare
oggettivamente, con appropriati test, il dolore riportato
dai pazienti con deficit cognitivo, per cui solo pochi studi
in letteratura esaminano la prevalenza del dolore come funzione
dello stato cognitivo.
Ferrel esaminò la prevalenza di sintomatologia dolorosa
cronica in 217 pazienti istituzionalizzati con un punteggio
medio al Mini Mental State Examination Test (MMSE), di 12.1
(indicativo di grave deterioramento cognitivo), registrando
che circa il 60% dei pazienti accusavano dolore cronico di
tipo osteo-articolare, in rapporto ad una diagnosi certa di
osteoartrite nel 70% degli stessi (40). Marzinski riscontrò
che il 43.3% dei ricoverati di uno speciale reparto per malati
di Alzheimer riferivano ed avevano condizioni potenzialmente
algogene (41). Quindi, non v'è ragione per credere
che con la demenza non si manifestino le condizioni dolorose
e non si attivino conseguentemente le vie afferenti sensoriali.
Tuttavia, è stato chiaramente dimostrato che la percentuale
di pazienti dementi che esprimono almeno un dolore cronico
diminuisce con l'aumentare del deficit cognitivo, anche dopo
avere controllato la disabilità fisica (42), per cui
è più probabile che il dolore riferito da pazienti
dementi sia in verità sottostimato.
E' ovvio che la principale difficoltà che si incontra
nella valutazione della presenza di sintomatologia dolorosa
nei pazienti con deficit cognitivo è rappresentata
dal deficit di espressione verbale. Quindi è necessario
sostituire tale modalità espressiva con altre, altrettanto
significative: per esempio, la presenza di un familiare attento
può essere indispensabile per la registrazione di tutte
le manifestazioni che siano potenziali indicatori di dolore
fisico. Infatti la valutazione del dolore mediante indicatori
non verbali (espressione del viso, atteggiamenti motori generali)
è ben documentata per pazienti con stato cognitivo
integro e sembra conservare la propria validità anche
nei pazienti con grado molto avanzato di decadimento cognitivo
e di immobilizzazione (43). In tal senso altri Autori hanno
concentrato i loro sforzi per la strutturazione di una scala
di valutazione del disagio facilmente applicabile anche a
pazienti affetti da demenza; tale scala potrebbe essere facilmente
applicata dagli abituali "caregivers" e analizza
varie aree: respirazione difficoltosa, assenza di reazione
verbale, impossibilità di essere tranquillizzato, atteggiamento
di paura o di tristezza, espressione corrucciata, ipertono
muscolare in diverse posture, irrequietezza, tensione (44,
45).
Conclusioni
Da quanto sopra esposto possiamo trarre le seguenti conclusioni:
Ø i dati della letteratura non sembrano indicare un
sicuro effetto dell'invecchiamento sulla percezione del dolore
acuto, sperimentalmente indotto, almeno per quanto attiene
al soggetto "young old", rispetto a quello di età
giovane-adulta. Non esistono allo stato attuale studi sistematici
che affrontino il problema nel soggetto "old-old"
o affetto da polipatologie ("frail elderly"). La
mancanza di studi longitudinali limita ancor più le
nostre consoscenze sull'argomento;
Ø le sensazioni nocicettive acute provenienti da strutture
profonde sono ridotte nel paziente anziano, ma nel contempo
appare aumentata la frequenza del dolore cronico proveniente
dalle stesse strutture (per esempio alta frequenza di infarto
miocardico acuto silente ed aumento dell'incidenza di angina
da sforzo);
Ø l'intensità e la frequenza del dolore cronico
sembrano aumentare con l'età;
Ø le differenze età dipendenti nella percezione
del dolore non sono probabilmente espressione di un danno
recettoriale (come nella presbiacusia), o di un'alterata accomodazione
dello stimolo (presbiopia), ma sono conseguenza di un processo
più complesso che coinvolge le vie nervose di trasmissione,
le valutazioni e rappresentazioni cognitive, lo stato sociale
e la storia stessa di dolore;
Ø non vi è ragione per ritenere che i soggetti
anziani affetti da decadimento cognitivo siano meno a rischio
di avere condizioni patologiche dolorose rispetto ai soggetti
di pari età non dementi. E' piuttosto da ritenere che
i pazienti con demenza non siano in grado di esprimere le
proprie sensazioni dolorose, per cui è necessario sostituire
la registrazione delle modalità espressive verbali
con altre, altrettanto significative (espressione del viso,
respirazione difficoltosa, ipertono muscolare, irrequietezza,
ecc..).
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