di
Erika Talassi
Centro Regionale per lo Studio e l'Invecchiamento
Cerebrale (C.R.I.C.)
Consorzio di Ricerca Luigi Amaducci, Arcugnao, Vicenza
Azienda Ospedale-Università di Padova
Il Mild Cognitive Impairment (MCI) è definito come
una situazione di confine tra il normale invecchiamento e
la demenza, e individua pazienti con un isolato deficit cognitivo
(tipicamente di memoria) e uno stato cognitivo globale normale
per l'età.
Secondo i criteri diagnostici proposti da Petersen e collaboratori
nel 2001, il deficit di memoria dovrebbe essere preferibilmente
confermato da una persona vicina al paziente (es. un familiare
o un amico) ed essere un deficit oggettivo, cioè rilevato
ai test neuropsicologici standardizzati per età e scolarità,
mentre le altre funzioni cognitive risultano integre e il
paziente si mantiene autonomo nelle attività della
vita quotidiana. Alla luce di quanto detto non sussistono
quindi i criteri per la diagnosi di demenza.
In ambito clinico viene utilizzata una sub-classificazione
dell'MCI, a seconda della funzione cognitiva colpita e del
profilo cognitivo globale: 1. MCI amnesico, in cui è
presente solo un deficit di memoria, 2. MCI non-amnesici,
con un singolo deficit cognitivo diverso dalla memoria, 3.MCI
amnesico che presenta anche lievi deficit cognitivi in altre
aree diverse dalla memoria.
L'MCI amnesico è la forma prevalentemente diagnosticata
e presenta alta frequenza di progressione in Malattia di Alzheimer
(AD). Circa il 10-15% di MCI convertono in AD ogni anno, contro
l'1-2% all'anno dei soggetti sani (Petersen et al, 2001).
Un recente studio condotto su un ampio campione di soggetti
MCI in Italia (Maioli F et al, 2007), ha descritto una percentuale
di conversione in demenza, ad un anno, del 23.8%, mentre il
53.8% dei pazienti rimaneva stabile e il 17.3% risultavano
rientranti nella norma. In particolare, le percentuali di
conversione in demenza erano del 38% per gli MCI amnesici,
del 20% per gli MCI non-amnesici e del 16% per gli MCI polisettoriali.
I pazienti che sviluppavano demenza tendevano ad essere generalmente
più anziani, ad avere un punteggio più basso
alla scala dello stato cognitivo globale (MMSE) e ad avere
maggior atrofia cerebrale.
I soggetti affetti da MCI mostrano una buona consapevolezza
di malattia. E' frequente infatti la presenza di depressione
del tono dell'umore in concomitanza alla diminuzione delle
proprie capacità di memoria e alla graduale diminuzione
di autonomia nelle attività più complesse della
vita quotidiana. E' ampiamente discussa e ancora aperta, la
questione se la depressione sia reattiva o possa essere al
contrario considerata una patologia primaria e a sé
stante, concomitante al deficit cognitivo (Dierckx E et al,
2007).
La memoria è un'abilità intellettiva che consiste
nell'organizzazione di un'informazione da trattenere per richiamarla
successivamente ogni qualvolta si desideri. Il processo di
memoria si suddivide nelle fasi di codifica, immagazzinamento
e recupero dell'informazione. La codifica è una fase
di elaborazione dell'informazione che tanto più è
profonda tanto più assicura un maggior ricordo. Le
informazioni codificate devono essere immagazzinate e la categorizzazione
è un sistema fondamentale attraverso il quale parti
di informazioni vengono raggruppate per riconoscerle e richiamarle
in modo adeguato. Il recupero consiste nel richiamare l'informazione
dalla memoria ogniqualvolta è necessario.
Il deficit di memoria descritto negli MCI è a carico
della cosiddetta memoria a lungo termine dichiarativa, cioè
di quella memoria che prevede il recupero o il riconoscimento
esplicito (conscio) di fatti o eventi dei quali si è
avuta recente esperienza. Il deficit di memoria a lungo termine
può essere in genere dovuto a difficoltà nella
fase di codifica delle nuove informazioni, ad un rapido oblio
a carico delle nuove informazioni, ad una maggior sensibilità
alle interferenze esterne e del materiale non significativo.
La memoria a breve termine (in cui le informazioni restano
per breve tempo prima di passare nella memoria a lungo termine)
e la memoria implicita, (quella memoria nella quale codifica
e recupero delle informazioni avvengono senza che il soggetto
ne sia consapevole), sono invece ben conservate sia negli
MCI che nella fasi iniziali di AD.
I pazienti MCI con maggior probabilità di convertire
in AD, tendono ad avere prestazioni peggiori non solo ai test
neuropsicologici di memoria in cui è richiesta la rievocazione
libera del materiale, ma traggono anche minor beneficio dalla
disponibilità di indizi (Ivaniou A et al, 2005).
Queste difficoltà di memoria, nella vita di tutti
i giorni, possono comportare iniziali difficoltà nello
svolgimento di attività che richiedono un sistema cognitivo
integro, le cosiddette attività di alto livello (per
es. ricordare una lista per la spesa senza un elenco, ricordare
il nome di persone appena conosciute, ricordare particolari
di cose appena successe, ricordare la trama di un libro appena
letto, pianificare una cena per numerose persone, gestire
senza errori la contabilità di casa, ricordarsi di
ritornare e finire un compito appena interrotto
).
In questi ultimi anni sono stati descritti interventi di
riabilitazione cognitiva che hanno l'obiettivo di far sì
che i pazienti mantengano l'autonomia il più a lungo
possibile. La consapevolezza di malattia e la motivazione
a seguire un percorso di riabilitazione, associati ad un buon
supporto famigliare e sociale, sono fattori che sembrano favorire
un buon esito del percorso riabilitativo. Gli interventi che
prevedono principalmente training di riabilitazione al computer,
stimolano soprattutto le funzioni cognitive integre con esercizi
mirati; sono stati descritti miglioramenti nelle performance
ed una concomitante diminuzione dei sintomi depressivi, in
pazienti MCI che avevano seguito in modo puntuale cicli riabilitativi
di questo tipo (Talassi E et al, 2007). Questi interventi
sono però molto discussi e criticati, in particolare
relativamente al fatto che non ci sono dati sulla generalizzabilità
di questi benefici nella vita quotidiana e sulla durata della
loro efficacia nel lungo termine.
Al contrario, l'intervento riabilitativo dovrebbe mirare
a favorire il ri-apprendimento delle abilità che iniziano
ad essere compromesse e l'apprendimento di nuove strategie
che possono aggirare e compensare le difficoltà di
memoria. I pazienti MCI possono trarre i maggior benefici
dagli interventi di riabilitazione compensatoria perché
sono metacognitivamente integri, cioè sono consapevoli
delle loro abilità e dei loro deficit, e possono apprendere
nuove conoscenze sui loro processi cognitivi (Akthar et al,
2006).
Per essere efficaci i training di riabilitazione dovrebbero
prima di tutto insegnare metodi per contenere l'ansia e ridurre
la depressione, aumentando così nei soggetti la sensazione
di poter controllare efficacemente le proprie capacità
di memoria. In seguito dovrebbero proporre attività
volte a stimolare le funzioni cognitive e ad insegnare specifiche
strategie per selezionare, elaborare e recuperare le informazioni
da memorizzare; dovrebbero cioè insegnare tecniche
per migliorare i processi di memorizzazione (ad es. le tecniche
di memoria visiva, di categorizzazione, di elaborazione semantica,
il metodo dei loci, le tecniche di recupero ad intervalli
crescenti e decrescenti, sono solo alcune delle tecniche possibili)
e prevedere un training su come utilizzare queste tecniche
nella vita di tutti i giorni. Training riabilitativi di questo
tipo hanno ottenuto buoni risultati in termini di una riduzione
dell'ansia e dei sintomi depressivi e di un aumento del benessere
generale dei pazienti, di una riduzione soggettiva delle difficoltà
di memoria, confermata anche ai test neuropsicologici, e di
un miglioramento delle performance nella vita di tutti i giorni.
Addirittura, al termine del training, alcuni punteggi ai test
di memoria episodica risultavano sovrapponibili a quelli di
pazienti anziani senza difficoltà di memoria (Belleville
S et al, 2006). Questi sono i cosiddetti interventi multidimensionali
che ottengono buoni risultati anche perché favoriscono
la collaborazione attiva del paziente in ogni fase della riabilitazione.
Questi training dovrebbero sempre essere pianificati tenendo
come obiettivi quelli di stimolare la memoria in tutti i suoi
settori (per esempio l'orientamento, la memoria di eventi
e di nomi, la collocazione di oggetti, ecc..) e di rendere
utilizzabile nelle attività quotidiane quanto appreso
durante il percorso riabilitativo (per es. quando si fa la
lista della spesa, si usa il denaro, quando bisogna ricordare
un appuntamento...) (Wenish E et al, 2007).
L'aumento dell'efficienza della memoria nella vita quotidiana
sembra mantenersi anche a tre mesi di distanza. Gli effetti
positivi della riabilitazione multidimensionale aiutano a
mantenere l'autonomia e a ritardare una eventuale progressione
dello stato di MCI in demenza (Troyer AK et al, 2007).
Gli MCI possono quindi acquisire e mantenere nuove conoscenze
che possono aiutarli ad affrontare e compensare le iniziali
difficoltà di memoria. Con il supporto di personale
specializzato, possono imparare strategie per migliorare la
memoria e possono modificare efficacemente il loro modo di
gestire le informazioni e le attività nell'arco della
giornata mettendo in pratica le tecniche apprese. I training
di riabilitazione sono interventi di tipo non-farmacologico
che si dimostrano un utile supporto ad eventuali terapie farmacologiche
proposte dal medico specialista.
Le tecniche di supporto alla memoria possono essere in parte
insegnate anche ai familiari dei pazienti, che così
possono aiutare il proprio caro ad applicarle nei momenti
di difficoltà della vita quotidiana.
Gli studi fino ad ora pubblicati descrivono esperienze di
riabilitazione condotte su piccoli gruppi di soggetti, principalmente
con diagnosi di MCI amnesico. Questo è considerato
un elemento riduttivo per l'estensione della validità
dei risultati alla popolazione. Tuttavia, i dati fino ad ora
ottenuti sono promettenti. Gli interventi di riabilitazione
cognitiva multidimensionali sono ripetibili, adattabili alle
necessità di ognuno ed efficaci anche quando sono svolti
in gruppo, ma soprattutto sono un valido supporto nel ritardare
un' eventuale conversione della diagnosi di MCI in demenza.
BIBLIOGRAFIA
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