di
Giovanni Cristianini
Lo studioso di gerontologia che voglia proporre l'attività
fisica quale sussidio idoneo ad un buon invecchiamento deve
prima confermare il reale beneficio della stessa sull'organismo
e sulla psiche dell'individuo senescente che l'abbia praticata
per un periodo sufficiente ed in modo continuativo ed appropriato.
E' facilmente intuibile, infatti, come già il semplice
approccio ad un problema alquanto complesso qual'è
appunto quello dell'attività motoria nel soggetto anziano,
possa comportare difficoltà notevoli sia dal punto
di vista medico-geriatrico che da quello più specificatamente
geragogico.
Attività fisica e senescenza sono due realtà
che possono condizionarsi a vicenda con influenze di segno
opposto, negativo o favorevole, a seconda degli effetti reciproci
che queste due contingenze o situazioni sono in grado di trasmettere
l'una all'altra, nel corso della vita dell'uomo. Oggi si comincia
ormai ad accettare la supposizione che la perdita di forza
e di mobilità legate all'invecchiamento, siano in parte
dovute anche a certe mutazioni nell'attività fisica
( o meglio a particolari cambiamenti nello stile di vita )
che si accompagnano, e favoriscono in molti casi, una sorta
di senilismo o senilità anticipata, oltre che ad essere
dovute alle modificazioni strutturali e metaboliche associate
all'età stessa. E' questa un'ipotesi che mi sento di
condividere, già avanzata da V. Marigliano e dagli
altri che si sono occupati dell'argomento in varie occasioni
( 1 ).
E' infatti un dato di fatto che nel passato, anche recente,
non sono stati molti gli studiosi a sostenere che uno stile
di vita attivo e fisicamente impegnato, anche in età
avanzata, fosse in grado di influire in modo positivo sullo
stato di salute e sulle peculiarità di vita del soggetto
anziano.Le varie teorie secondo cui lo scadimento della funzione
fisica e il degrado della qualità vitale dovessero
interpretarsi come conseguenze inevitabili e scontate nell'avanzamento
della senescenza, hanno condotto ad opinioni controverse sull'utilità
dell'attività motoria in età geriatrica.
Probabilmente si supponeva che un mutamento dello stile di
vita nel soggetto in età anziana potesse sovvertire
una condizione di equilibrio psicofisico instabile, costituitasi
nel corso dell'invecchiamento, e che l'anziano fosse maggiormente
soggetto ad eventi sfavorevoli (cadute,ecc
) associati
all'esercizio fisico continuativo.A prescindere comunque da
questa nostra ipotesi, resta il fatto che nei paesi evoluti
il tempo riservato all'attività motoria, sia essa svolta
nel tempo libero o per occupazione lavorativa, si abbassa
gradualmente col trascorrere degli anni. Indagini del NHIS
( 2 ) dimostrano che meno del 30% della popolazione anziana
degli Stati Uniti esercita in modo continuativo l'attività
fisica , dati questi confermati anche da altri studi tra cui
quello pubblicato da Yusuf e coll ( 3 ). Ne consegue che l'inattività
fisica che si registra con l'avanzare dell'età, spesso
correlata a cambiamenti nello stile di vita, è spesso
causa di ulteriore deterioramento delle alterazioni connesse
al normale processo d'invecchiamento, non solo, ma anche di
vere condizioni patologiche che aumentano ulteriormente lo
stato di inerzia, creando così un circolo vizioso che
alla fine conduce al sedentarismo e alla perdita dell'indipendenza.
A questo proposito vorremmo citare uno studio abbastanza recente
di Stessman e coll. ( 4 ) nel quale è stato confermato
che soggetti anziani con stile di vita più attivo hanno
una sopravvivenza maggiore, non soltanto, ma nell'indagine
è stato anche provato che diventare fisicamente attivi
in età avanzata può ancora aumentare l'aspettativa
di vita.
Al geriatra spetta pertanto il compito di accertare, prima
di ogni altra cosa, se un'attuazione continua e controllata
dell'esercizio fisico agisca o meno, nell'età avanzata,
come un fattore di minore morbilità, evenienza questa
che riveste un notevole significato speculativo, pratico e
pedagogico, a seconda dei diversi interessi di chi si trova
ad operare in tale campo.
A questo proposito è certamente utile riferirsi all'esperienza
acquisita dalla medicina sportiva che ha potuto constatare
nei veterani come l'uso costante e sorvegliato di un'attività
sportiva adeguata sia in grado di incrementare le resistenze
globali dell'organismo, riesca a contenere l'involuzione muscolo-scheletrica
e cardio-respiratoria, ottenendo, nel contempo, di stimolare
l'attività psico-intellettuale del soggetto. Infatti
il favorevole effetto di un regolare e continuo esercizio
fisico sembrerebbe sia stato documentato - nella letteratura
specializzata - anche sugli stati ansiosi, sull'insonnia,
oltre che sul tono dell'umore e sulle capacità intellettive
in generale. Se la consuetudine sportiva, quindi, è
sicuramente in grado di conservare nell'anziano uno stato
di salute migliore, non ci sembra peraltro del tutto infondata
la congettura che anche la pratica dell'esercizio fisico in
generale abbia la capacità d'influire positivamente
sull'invecchiamento cosiddetto usuale e, probabilmente, d'interferire
in modo diretto anche nei confronti di quello biologico o
primitivo, vale a dire dell'invecchiamento che viene indicato
anche come "fisiologico".
L'invecchiamento, infatti, può definirsi come un progressivo
disadattamento di fronte alle ordinarie fluttuazioni dell'ambiente
esterno ed interno dell'organismo umano ed è verosimile
che ogni fattore in grado di comprometterne l'adeguamento
ecologico debba anche essere in grado di accelerare tale fenomeno.
In questo senso anche la progressiva limitazione dell'attività
fisica, conseguenza del sedentarismo meccanizzato e della
pianificazione strumentalizzata di ogni lavoro muscolare,
può intervenire nel favorire un precoce invecchiamento
e nel facilitare l'insorgenza di quelle malattie che più
frequentemente troviamo quali fattori determinanti dell'invecchiamento
secondario, da alcuni designato come "usuale", in
contrapposizione a quello che abbiamo definito normale o biologico.
Come abbiamo appena osservato la sedentarietà è
particolarmente diffusa nei soggetti anziani, non solo per
il fatto che essi debbono soggiacere molto spesso alla malattia
ed alla disabilità, ma anche perché nella moderna
società si è progressivamente ridotta la necessità
di muoversi, dato lo sviluppo della tecnologia nel mondo del
lavoro e con la comparsa e la diffusione di sempre nuovi mezzi
di trasporto, fatti questi che hanno portato ad uno stile
di vita sempre più sedentario, conseguenza difficilmente
evitabile del nuovo modello sociale che si è andato
sviluppando. Ed infatti già l'invecchiamento stesso,
anche se non secondario alla malattia, comporta di per sè
una riduzione progressiva del movimento, che consegue ai fenomeni
involutivi fisiologici che caratterizzano l'insenilimento
dei vari organi ed apparati coinvolti nell'attività
fisica dell'uomo.
Abbiamo già avuto modo di osservare ( 5 ) che la senescenza
deve considerarsi anche un fenomeno ecologico ( non solo bio-antropologico
) e quindi strettamente correlato anche alle situazioni ambientali
ed al sistema o stile di vita di ogni individuo. Non possiamo
quindi disinteressarci dei rapporti e delle interferenze che
sussistono tra invecchiamento ed attività fisica, ma
dobbiamo anzi occuparci degli effetti che il lavoro muscolare
può avere sul processo di senescenza e, parimenti,
della tolleranza all'esercizio fisico riscontrabile nel soggetto
senile. Si può facilmente intuire, a questo proposito,
che la progressiva riduzione di ogni attività che richieda
l'impegno delle masse muscolari debba fatalmente ripercuotersi
sui meccanismi omeostatici dell'organismo e sulle sue capacità
di adattamento all'ambiente.
Ne consegue che un soggetto invecchia tanto più e
tanto prima quanto meno è in grado di adattare le sue
mutate dotazioni fisiche alle normali fluttuazioni del sistema
ambientale che lo circonda, per cui il processo biologico
d'invecchiamento è negativamente influenzato da un
tipo di vita nel quale l'uso delle strutture motorie è
progressivamente ridotto sino al raggiungimento del sedentarismo
e di una eventuale condizione di sovrappeso, accompagnata
dagli altri più comuni fattori di rischio patogeno.Se
teniamo presente, infatti, che il sessanta per cento del ricambio
energetico individuale compete al sistema muscolare striato,
risulta evidente l'importanza che può assumere la riduzione
dell'attività muscolare nel sistema biologico di un
individuo, nei riguardi anche di quelle modificazioni metaboliche
che accompagnano non solo l'invecchiamento "fisiologico"
ma anche e di più quei processi patologici che così
spesso lo complicano e lo anticipano, trasformandolo in secondario.Senza
entrare nel campo degli studi sperimentali e fisioergometrici,
dal nostro punto di vista è sufficiente, a questo proposito
rilevare ( e segnalare ) che è ormai comunemente accettata
l'importanza "patogenetica" dell'ipocinesia nell'anticipazione
dell'invecchiamento e che, d'altra parte, una razionale attività
muscolare è in grado di regolare la vitalità
di un organismo che invecchia sia in condizioni normali che
patologiche.
L'attività muscolare nel soggetto che invecchia si
è dimostrata non solo un mezzo di attivazione generale
ma anche di stimolazione su vari organi e funzioni, acquistando
così non soltanto un carattere terapeutico, non sostituibile
da alcun farmaco, ma anche un valore preventivo in quanto
in grado di ridurre il fisiologico decremento delle capacità
di adattamento dell'organismo. La progressiva limitazione
dell'attività fisica, infatti, l'aumento delle situazioni
stressanti e il disadattamento progressivo nei riguardi dell'ambiente
sono fattori che possono influire negativamente non soltanto
sull'invecchiamento "fisiologico" ma anche facilitare
l'ìinsorgenza di eventi morbosi, come abbiamo già
avuto modo di osservare, che accelerano ed aggravano il processo
stesso. L'invecchiamento dell'uomo, vale la pena di ripeterlo,
non è quindi soltanto un fenomeno biologico ma anche
ecologico ed antropologico in senso lato, per cui l'adulto
in età pre- senile dev'essere educato a mantenere,
entro certi limiti, la sue prestazioni fisiche per conservare
quelle condizioni funzionali di adeguamento ecologico che
possono consentirgli di sopravvivere in maniera idonea nel
suo ambiente di vita. In altri termini il lavoro muscolare
consente un migliore adeguamento dell'organismo alle mutevoili
condizioni ambientali e permette altresì di potenziare
la capacità omeostatica del soggetto senescente che
proprio con l'aumentare degli anni va progressivamente riducendosi.
E' quindi indispensabile che una sufficiente attività
muscolare sia prevista nello stile di vita di ogni persona,
regolata ovviamente dall'idoneità individuale e dal
tipo di occupazione abituale. A questo proposito va tenuto
presente che il processo d'invecchiamento esercita, a sua
volta, una progressiva influenza sulla tolleranza a lavoro
muscolare, per cui, col passare degli anni, esistono peculiarità
di risposta tipicamente individuali che è necessario
conoscere per una adeguata valutazione del lavoro fisico eseguibile
da ogni soggetto anziano.Oggi si comincia ad accettare l'ipotesi,
già riportata, che la ridotta attività motoria
legata all'invecchiamento rappresenti in buona parte un fatto
di costume, dovuto anche ai cambiamenti nello stile di vita
che si accompagnano quasi obbligatoriamente alla senilità,
oltre che ad essere dovuta, ovviamente, alle modificazioni
strutturali e metaboliche associate al trascorrere degli anni.
Abbiamo infatti osservato poc'anzi che l'estendersi della
vita sedentaria e la pianificazione dell'attività muscolare
nell'uomo moderno incidono sul suo adattamento biologico all'ambiente
di vita e possono, per questa via, favorire l'insorgenza di
un invecchiamento precoce che riconosce, il più delle
volte, nel fatto morboso un elemento aggravante ed accelerante.
D'altra parte è stato accertato che un'attività
fisica, intesa in senso estensivo, non solo è in grado
di ostacolare l'evolutività di tali processi morbosi,
ma non è escluso che intervenga talora favorevolmente
anche sul processo d'invecchiamento naturale. Se vogliamo
ora catalogare gli effetti principali che l'esercizio fisico
controllato determina sull'organismo dell'anziano o, comunque,
dell'adulto che si accinge a diventarlo, pensiamo sia il caso
d'iniziare da una valutazione schematica che consideri in
primo luogo l'apparato muscolare. A questo proposito ci sembra
opportuno iniziare ad elencare brevemente quelli che sono
gli effetti dell'esercizio fisico sull'apparato muscolare
scheletrico del soggetto anziano, che si caratterizza, com'è
noto, soprattutto per la sarcopenia , con una riduzione in
prevalenza delle fibre muscolari di tipo II, a contrazione
rapida, conseguente alla riduzione dell'attività fisica
dovuta anche, in parte, a quello che abbiamo definito come
"senilismo".
Tra gli effetti dell'attività fisica continuativa
e controllata è possibile generalmente riscontrare
un processo ipertrofico delle fibre muscolari striate che
si accompagna ad un netto decremento del grasso interstiziale,
ad una maggiore capacità ossidativa dei mitocondri,
ad un aumento del contenuto glicogenico e ad un netto innalzamento
del rapporto tra capillari e fibre.Tali modificazioni provocano,
sul versante funzionale, un potenziamento dell'influenza trofica
e del tono muscolare con aumento della forza e della tolleranza
allo sforzo, attitudini che con il crescere dell'età
sono destinate appunto a presentare una graduale riduzione.Una
fisioattivazione controllata, quindi, è in grado di
contrapporsi in parte alla riduzione del tono e del trofismo,
dipendenti dall'età e dal sedentarismo, aumentando
di conseguenza la forza muscolare e la resistenza all'esercizio,
come abbiamo appena detto, ed intervenendo altresì
favorevolmente a livello della coordinazione neuromotoria.
La maggiore tensione isometrica, che corrisponde alla maggiore
tolleranza allo sforzo, è verosimilmente riferibile
ad alcune variazioni biochimiche della fibra, quali l'incremento
della fosforilazione ossidativa, il già citato aumento
della concentrazione glicogenica, oltre al migliorato rapporto
tra capillari e fibre dianzi riferito.Inoltre va sottolineato
che l'attivazione del sistema muscolare striato rende possibile
un migliore adattamento funzionale non solo a livello della
fibrocellula , ma nell'intero organismo, posto continuamente
di fronte alle abituali variazioni del suo ambiente interno
ed esterno. In tale senso l'attività fisica può
consentire, oltre a maggiori prestazioni motorie, anche una
migliore regolazione neuromuscolare, che è pure alla
base della postura, ed il cui scadimento in particolare caratterizza
l'invecchiamento di tale sistema.
Se prendiamo in esame, in modo analogo, le modificazioni
senili dell'apparato respiratorio, possiamo riscontrare facilmente
che la progressiva riduzione del tessuto elastico e l'aumento
del collagene intervengono a determinare un decremento della
capacità espansiva polmonare e rendono, di conseguenza,
meno agevole il rinnovo dell'aria alveolare, mentre la ridotta
possibilità estensiva del territorio perfusivo capillare
e l'accrescimento delle resistenze capillari stesse aumentano
il costo respiratorio e compromettono l'ematosi. Sul versante
più propriamente funzionale l'invecchiamento del polmone
( sempre nell'anziano in condizioni di ipocinesia ) comporta
una riduzione del 50% della capacità vitale e di circa
il 60% della VEMS, mentre raddoppia il volume residuo, che
è notoriamente il volume d'aria presente nei polmoni
dopo un'espirazione massimale (6). Nel complesso, quindi,
possiamo osservare che la capacità di lavoro respiratorio
massimale è limitata nel vecchio, anche in considerazione
dell'elevato numero di malattie respiratorie rilevabili nella
popolazione anziana, nonostante che spesso il soggetto si
presenti apparentemente normale. Va rilevato, comunque, che
se, da un lato, la serie di limitazioni che abbiamo elencato
impedisce la pratica di un lavoro fisico rilevante, dall'altro,
essa può indirizzare l'esercizio fisico verso particolari
modalità di esecuzione che possono favorire, in definitiva,
un miglioramento della capacità aerobica massima e
di quella ventilatoria.
Quanto sopra esposto, lo ripetiamo, si verifica in grado
maggiore nell'anziano ipocinetico, come risulta dal fatto
dimostrato che la pratica ( continuativa e controllata) di
esercizi di tipo aerobico è in grado, invece, di favorire
un aumento di Capacità Vitale e VEMS di circa il 20%,
una discreta riduzione del Volume Residuo, un apprezzabile
aumento del rapporto Ventilazione/Perfusione e del V02 max,
il Massimo Consumo di Ossigeno.
Anche per quanto concerne l'apparato cardio-circolatorio
è ormai acquisito che l'attivazione controllata dello
stesso, tramite l'esercizio fisico, consente non solo di migliorare
l'irrorazione coronarica, ma di guadagnare elementi biologici
utili quali lo sviluppo di circoli collaterali miocardici,
di favorire l'aumento relativo del rapporto di perfusione
ed anche di una ridotta sensibilità alle catecolamine
( con favorevoli conseguenze antischemiche ed antiaritmiche
), oltre a determinare altresì variazioni dell'equilibrio
coagulativo-fibrinolitico che sembrano intervenire positivamente,
secondo recenti acquisizioni, anche nella riduzione del tasso
di mortalità per infarto miocardico. La possibilità
che l'attività fisica abbia anche un'azione antitrombotica
è stata avanzata da alcuni Autori ( 7 ), ma non è
stata confermata da altri ( 8 ).Comunque va ricordato che
nel 1996 l'American Heart Association ha inserito il sedentarismo
nella lista delle variabili individuali che possono considerarsi
veri e propri fattori di rischio per la malattia coronarica,
non solo, ma l'ipocinesia è stata considerata un fattore
coronarico, in questo senso, sicuramente modificabile, dato
che si può prevenire e che risulta reversibile adottando
adeguate norme igieniche di vita ( 9, 10 ).
E' stato inoltre messo in evidenza un incremento della frazione
di eiezione del ventricolo sinistro, una riduzione della pressione
arteriosa (sistolica e diastolica ) ed un miglioramento del
rapporto capillari/fibre miocardiche ( 11 ).
Ricordiamo inoltre che una valida e semplice misura dell'efficienza
cardiovascolare nell'anziano, che pratica attività
motoria, è rappresentata dal Consumo Massimo di Ossigeno
( prodotto della gittata cardiaca per la differenza arterovenosa
periferica di ossigeno ) del quale è dimostrato un
declino con l'età a partire dai trent'anni, regressione
questa che è influenzata anche dalla ridotta attività
fisica, come risulta dal dato che gli anziani allenati presentano
una diminuzione minore del consumo stesso.
Inoltre ricordiamo, per inciso, che - nell'invecchiamento
fisiologico - il contributo atriale al riempimento diastolico
ventricolare diventa maggiore per compensare la ridotta compliance
del ventricolo ( o minore distensibilità), che non
viene più attribuita soltanto a modificazioni anatomiche
(amiloidosi, lipofuscine, fibrosi interstiziale ), ma soprattutto
al ruolo svolto dai mitocondri ( delezioni del mtDNA) con
conseguente deficit del metabolismo energetico cellulare e
modificazioni del ruolo del calcio che gioca un ruolo importante
a questo riguardo. Di conseguenza durante l'attività
motoria dell'anziano sedentario è l'aumento soprattutto
della gittata sistolica ( e non della frequenza cardiaca come
nel giovane) ad assicurare l'aumento della gittata del cuore,
considerato il declino dei recettori beta- adrenergici ( con
diminuzione dell'attività simpatica ) e l'aumento dell'impedenza
aortica ( o resistenza all'eiezione che nel vecchio diviene
maggiore a causa della rigidità aortica ).Ma teniamo
presente che se è vero che la frequenza cardiaca basale
- nell'anziano- si abbassa a riposo, durante lo sforzo è
dimostrato che essa può raggiunmgere, nel soggetto
allenato, livelli massimi più elevati rispetto a quelli
cui può arrivare in quello sedentario, comportandosi
quindi, entro certi limiti naturalmente, come nei soggetti
meno anziani.
Numerosi studiosi sono dell'avviso che molte altre variazioni
della struttura organismica generale e delle sue funzioni,
correlate al processo d'invecchiamento, possono essere contenute
e ritardate dall'attuazione di un programma continuativo di
attività fisica. Indagini di tipo prospettico, infatti,
hanno confermato che l'esercizio motorio, oltre agli effetti
muscolari, cardio-vascolari e respiratori, è in grado
di opporsi alla perdita progressiva di massa ossea, di migliorare
la funzione articolare e di salvaguardare quella neuromotoria.Infatti
possiamo affermare, anche sulla base della nostra esperienza,
che negli individui anziani che seguono un regolare programma
di attivazione fisica si registra generalmente una migliore
capacità di difendersi dai pericoli dell'ambiente,
comprese le cadute ed i traumi in genere.
Da indagini di tipo prospettico, tratte dalla letteratura
specializzata, risulta, come abbiamo detto, che l'attività
motoria è in grado di opporsi anche alla perdita progressiva
di massa ossea nel vecchio, oltre che di migliorare la sua
funzione articolare a seguito degli interventi protettivi
sulle corrispondenti strutture.E' noto, a questo proposito,
che la massa ossea della donna è nettamente inferiore
rispetto a quella dell'uomo e deve subire, inoltre, un rapido
decremento in periodo post-menopausale a causa del deficit
estrogenico, come è risaputo. L'osso trabecolare nella
donna, per portare qualche dato, subisce infatti una riduzione
del 20-25% entro cinque anni dalla menopausa, per passare
poi ad una perdita complessiva dell'1% all'anno. Per quanto
concerne l'osso corticale, invece, esso si riduce del 10%
nei primi cinque anni. L'uomo invece si mantiene sempre sotto
l'1% di perdita ossea, limite nel quale rientrano entrambi
i valori sia dell'osso trabecolare che di quello corticale
( 0,7-0,2 % ).Abbiamo già detto che l'esercizio fisico
serve a prevenire osteopenia ed osteoporosi e, quindi, a prevenire
le conseguenti eventuali fratture, ma va aggiunto che tale
risultato si ottiene anche perché l'attivazione fisica
nell'anziano fa registrare nel contempo una migliore capacità
di difendersi dai pericoli dell'ambiente, rappresentati soprattutto
dalle cadute e dai traumi in genere. Nell'anziano che segue
un regolare programma di educazione fisica si può registrare
una migliore capacità di difendersi dal pericolo, appunto,
delle fratture, grazie alla migliore stabilità posturale,
ad una una buona coordinazione dei movimenti e ad un sufficiente
senso dell'equilibrio, che si riesce a fargli mantenere, appunto,
con la pratica regolare dell'attività motoria. E' appena
necessario ricordare al lettore che quando menzioniamo la
stabilità posturale, vogliamo semplicemente intendere
la capacità di mantenere una determinata posizione
statica o dinamica, e che tale attitudine a mantenere una
certa postura del corpo tende a diminuire generalmente dopo
i sessanta anni ed è considerata, appunto, una delle
cause di rilievo associate al rischio di cadute nell'anziano.In
conclusione ci sembra opportuno rimarcare che una condizione
di instabilità posturale nell'anziano può essere
certamente attribuita ad alterazioni del sistema muscolo.scheletrico,
oltre che a disturbi della funzione vestibolare, dei centri
e delle vie nervose, ma non va dimenticato che tale instabilità
può essere anche riferita alla minore flessibilità
delle articolazioni, che caratterizza molti invecchiamenti.
Meno conosciute sono invece le conseguenze psichiatriche
dell'esercizio fisico regolare, anche se siamo in possesso
di un discreto numero di acquisizioni scientifiche sugli effetti
psicologici dell'attività fisica aerobica. Soggetti
anziani sono stati valutati in questo senso e giudicati meno
ansiosi o depressi dopo una regolare attività fisica
aerobica, anche se a tutt'oggi non sono stati ancora condotti
studi sistematici sul trattamento della depressione involutiva.
Possiamo tuttavia ribadire che l'attività fisica, essenziale
ad ogni età per la salute dell'organismo, presenta
comunque tra i tanti risultati positivi sui vari organi ed
apparati, anche quello di limitare, nel complesso, lo scadimento
delle funzioni cognitive. E possiamo con sicurezza affermarlo
per quanto ancora non si sappia con precisione quali siano
i meccanismi che sono alla base di questi effetti vantaggiosi,
che non sono soltanto psicologici, nonostante sia spesso evidente
che chi pratica il movimento presenta generalmente un tono
dell'umore più alto e tende ad osservare la vita con
occhio più interessato e quindi a comprederla meglio
ed a viverla con profitto maggiore. Non si può escludere
infatti che l'attività fisica possa ottenere questi
risultati anche aumentando il flusso cerebrale e risvegliando
la produzione di fattori trofici, vale a dire di principi
in grado di stimolare l'attività neuronale e di salvaguardare
funzioni importanti, quale è appunto la memoria. A
questo proposito va ricordato che la pratica dell'attività
fisica non porterebbe soltanto ad un miglioramento delle funzioni
cognitive in generale, ma potrebbe intervenire riducendo significativamente
anche il rischio di sviluppare demenza, come dimostrano diversi
studi longitudiali, tra cui quello più recente di Abbot
et et al. ( 12 ).
E'compito della geragogia, pertanto, insegnare all'anziano,
meglio se già nell'età antecedente, l'importanza
del movimento e stabilire, per ogni soggetto, un programma
personalizzato e continuativo di attività motoria,
spiegandone nei particolari i vantaggi fisici e psicologici
che integrano nell'interessato l'immagine di sé e ne
migliorano l'autostima.
Come anticipato più volte in precedenza, la prestazione
fisica dell'anziano, in condizioni cliniche normali, non dipende
esclusivamente dall'età, ma è in buona parte
influenzata dalla perdita della consuetudine all'esercizio
motorio. Questo avviene già in periodo pre-senile per
abitudini di vita, influenze culturali e tipo di occupazione,
in seguito a cui l'attività fisica viene progressivamente
ridotta, specialmente dopo il pensionamento. Tale situazione
determina un effettivo "decondizionamento" biologico
allo sforzo (13), che provoca una ulteriore riduzione delle
riserve funzionali nell'organismo, in aggiunta al depauperamento
fisiologico correlato all'età, ma dal quale l'ipocinesia
dev'essere tenuta distinta in quanto può risultare
in molti casi reversibile.
Per concludere possiamo affermare che l'attività fisica
nell'uomo che invecchia induce sempre un'attivazione globale
dell'organismo, influendo positivamente sul processo d'invecchiamento
e potenziando inoltre quell'adattamento ecologico la cui perdita
rappresenta l'aspetto più caratteristico della senilizzazione
umana.
Bibliografia
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