di
Paolo Albanese, Emine Meral Inelmen
Università degli
Studi di Padova, Scuola di Specializzazione in Geriatria
( Direttore Prof.G.Enzi )
LA MEDICINA ANTI-INVECCHIAMENTO
Il New York Time, prestigioso quotidiano americano, ha
pubblicato in data 21 Ottobre 2001 un articolo dal titolo
"Tirare indietro le lancette dell'orologio biologico,
ad un prezzo." L'autore (Sana Siwolop) ha voluto richiamare
l'attenzione pubblica su un fenomeno di crescente impatto
socioeconomico: "Molti americani, soprattutto dopo quanto
è successo l'11 Settembre, hanno rivalutato le loro
priorità, e per alcune persone questo ha significato
prestare maggiore attenzione alla loro salute. Non solo persone
ammalate, ma anche persone riconosciute sane si sono rivolte
a strutture sanitarie, con nuove esigenze di salute. Si è
verificato infatti un crescente interesse nella cosiddetta
medicina anti-invecchiamento (anti-aging medicine)."
Cliniche anti-aging, oramai pressoché diffuse e alla
moda negli USA e nei paesi occidentali, hanno registrato un
incremento delle visite e delle consulenze. "Queste cliniche,
fiorite soltanto nell'ultimo decennio, promettono di aiutare
i pazienti a sembrare e a sentirsi più giovani, promuovendo
protocolli dietetici e ginnici, e consigliando l'assunzione
di vitamine e farmaci per trattare o frenare i cambiamenti
dell'invecchiamento sull'organismo. Ma questi trattamenti
funzionano? Sono sicuri?" (1)
Il "prezzo" citato nel titolo si riferisce innanzitutto
al fatto che a tutt'oggi non è possibile rispondere
a queste domande in maniera esaustiva. In secondo luogo, sempre
più persone (non solo americani) decidono di spendere
soldi alla ricerca dei cosiddetti elisir della giovinezza,
a partire da preparati multivitaminici, da particolari estratti
vegetali, per arrivare a prodotti farmacologici od ormonali.
Spesso anche i medici di medicina generale si trovano in imbarazzo
nei confronti di tali richieste, da parte dei loro pazienti.
(2) D'altro canto l'invecchiamento della popolazione ed il
fenomeno della rettangolarizzazione demografica ( la popolazione
tende ad essere ugualmente numerosa a tutte le fasce di età)
(3), rendono quanto mai attuale ed urgente una particolare
attenzione alla pianificazione ed alla gestione dei bisogni
e delle aspettative delle persone adulte e anziane.
L'invecchiamento della popolazione è un tributo al
successo della medicina, ma rivela, al tempo stesso, la debolezza
e i limiti degli attuali approcci alla gestione della sanità.
L'ironia di questo successo è che il progresso ha prodotto
legioni di anziani longevi che convivono quotidianamente proprio
con quei problemi cronici - cardiopatie, cancro, artrite,
osteoporosi, demenza - che la società è ancora
poco preparata a gestire. Oggi, un adulto trascorre in media
circa il 10 % della sua vita ammalato. La medicina finora
è stata ampiamente focalizzata nell'estendere gli anni
della vita; poco è stato fatto per dare a questi anni
una certa qualità.
In realtà, ciò che tutti si augurano, è
di trascorrere una lunga vita in piena forza e salute, riservando
il minor tempo possibile all'inevitabile decadimento finale
e alla malattia. Ma questo non corrisponde al modello di invecchiamento
attualmente vigente; e continuando per questa strada si andrà
incontro ad un prossimo futuro con milioni di anziani disabili
e dementi, male assistiti, la cui gestione potrà mettere
in crisi i nostri sistemi sanitari, e l'intera economia.
Per affrontare un tale problema, finché si è
in tempo, c'è chi suggerisce una politica sanitaria
più attenta e preparata al fenomeno dell'invecchiamento,
in termini di prevenzione, di assistenza e di razionalizzazione
della spesa, che rispetti i seguenti punti:
1. dedicare più risorse alla ricerca sulle malattie
dell'invecchiamento;
2. provvedere ad una più adeguata formazione di geriatri
e di personale dedicato all'assistenza degli anziani;
3. orientare gli incentivi del sistema sanitario verso l'invecchiamento
di successo;
4. stabilire un approccio più umano, rispettoso ed
efficace alla morte e agli ultimi momenti della vita;
5. fare della prevenzione una priorità nazionale. (4)
La Gerontologia Preventiva
Dall'esigenza di riconsiderare gli approcci attuali all'invecchiamento,
al fine di renderlo un invecchiamento di successo, è
nata una nuova branca della geriatria che prende il nome di
Gerontologia Preventiva. Questa si occupa dello studio e della
messa in pratica di quegli elementi di comportamento, di occupazione
e di gestione sanitaria che porteranno alla massima longevità
nella migliore qualità di vita per gli individui e
per la popolazione. (5) Come tale, si fonda sulla costituzione
di una agenda personalizzata di norme igienico-sanitarie-comportamentali
calibrate in funzione del sesso, dell'età e del profilo
di rischio di ammalarsi di ogni individuo.
Per un giovane-adulto la Gerontologia Preventiva propone strategie
di intervento a lungo termine e a basso costo, compatibili
con uno stile di vita a basso rischio (prevenzione primaria);
per un adulto-anziano, propone invece, strategie di intervento
a più breve termine e ad alto costo, compatibili con
uno stile di vita ad alto rischio (prevenzione secondaria).(6)
Tali strategie, quando si rivolgono all'età più
avanzata, diventano soprattutto prevenzione terziaria, cioè
riconoscimento precoce e trattamento di malattie stabilizzate
e della disabilità correlata, allo scopo di migliorare
la qualità della vita e di rallentare un ulteriore
declino funzionale. (7)
La gerontologia, cercando di capire il significato ed i meccanismi
che governano il fenomeno dell'invecchiamento, si limita pertanto
a suggerire uno stile di vita per giungere ad un invecchiamento
di successo.
La medicina anti-invecchiamento (Anti-aging medicine), branca
nascente della gerontologia, partendo dalle teorie evoluzionistiche
dell'invecchiamento, si spinge oltre, nel tentativo di "spostare
indietro le lancette dell'orologio biologico".
Per comprendere il razionale che sta dietro alle strategie
proposte da questa nuova disciplina, può essere utile
soffermarsi, ancora una volta, sul fenomeno dell'invecchiamento.
Che cos'è l'invecchiamento?
Per quanto ci si sforzi nella ricerca di una definizione
adeguata, risulta sempre difficile esprimere un fenomeno così
universale ed allo stesso tempo così eterogeneo. Se
è facile riconoscere una persona che invecchia, osservandone
i capelli canuti, la pelle rugosa o la schiena ricurva, definire
e capire l'invecchiamento resta tuttora un motivo di vivace
discussione e di dibattuta ricerca.
La Gerontologia e la Biologia Evoluzionistica considerano
l'invecchiamento come un processo continuo, universale, progressivo,
intrinseco e deleterio (da cui l'acronimo CUPID), che riduce
progressivamente la capacità di un organismo a mantenersi
in equilibrio (omeostasi) nei confronti degli insulti ambientali,
aumentando pertanto la probabilità di ammalarsi e di
morire.
L'invecchiamento si può quindi delineare come "un
processo che converte gli individui sani in fragili, con la
diminuzione delle riserve in molti dei sistemi dell'organismo,
e con un aumento in modo esponenziale della vulnerabilità
a molte malattie e alla morte."(8)
Hayflick, eminente biologo dell'invecchiamento, dichiara che
l'aging è un vero e proprio "fallimento"
della selezione naturale; questa ha dato luogo ai "miracoli"
della nascita, la crescita, la vita adulta, ma non è
stata capace, invece, di favorire lo sviluppo di un più
elementare meccanismo per "mantenere" tali miracoli.
(9)
Le possibili ragioni di questo fallimento, secondo le teorie
evoluzionistiche dell'ottimizzazione del genoma (ad esempio
la "Disposable soma Theory" e la teoria dell'antagonismo
pleiotropico), stanno nel fatto che il "programma di
madre natura" tende a concludersi con l'età riproduttiva.
Dopo questa fase della vita l'essere umano va incontro all'inevitabile
processo dell'invecchiamento. (10) Secondo la teoria del "Disposable
soma", si stabilisce un baratto (trade off) tra la riproduzione
e la longevità: l'evoluzione ha portato ad un genotipo
ottimizzato per cui molta "energia" viene investita
nelle età neonatale e giovanile - adulta a scapito
di quella che rimane (essendo le risorse finite) per i processi
riparativi dell'età geriatrica. Questo drenaggio di
risorse ha comportato un limite alla sopravvivenza.
Di converso la longevità richiede investimenti nel
mantenimento dell'organismo, che riducono le risorse disponibili
per la riproduzione. (11)
Studi di correlazione hanno infatti dimostrato come la longevità
sia risultata inversamente proporzionale alla fertilità;
e un famoso studio, condotto sull'aristocrazia britannica,
ha rivelato che le donne centenarie si distinguevano dalle
meno longeve per aver avuto meno gravidanze ed in età
avanzata.(12)
Un soggetto sarà quindi più o meno longevo
in funzione di quanto "carburante" gli rimane nel
"serbatoio", dopo l'età riproduttiva. Questo
carburante o energia vitale, che può essere intesa
come "capacità di adattamento" o plasticità
o capacità di riparazione del genoma, deve infatti
saper sopperire al costo della vita nella natura. Infatti,
secondo altre teorie evoluzionistiche (ad esempio: la "Mutation
accumulation theory" e la "Teoria dei radicali liberi")
la vita è il risultato di un delicato equilibrio o
bilancio: l'organismo ricava energia dalla combustione dell'ossigeno
in acqua e anidride carbonica, due molecole del tutto innocue;
le fasi intermedie di questa trasformazione prevedono, però,
la formazione di molecole instabili e pericolose. Queste sono
i radicali liberi, molecole di ossigeno con un elettrone spaiato,
altamente reattivo che, trapelando dai mitocondri, alla ricerca
di stabilità, invece di trasformarsi in acqua o anidride
carbonica, sovvertono l'equilibrio elettronico di altre molecole,
alterandone la struttura e la funzione. (danno ossidativo).
Numerosi studi in letteratura hanno dimostrato come l'accumulo
di danno ossidativo aumenta con l'età ed è ormai
considerato uno dei maggiori determinanti dell'invecchiamento.
(13)
Allo stato attuale l'invecchiamento viene quindi descritto
come un fenomeno geneticamente determinato, la cui patogenesi
resta un problema aperto. La multifattorialità patogenetica
sembra il concetto più plausibile. A livello cellulare
si è infatti osservato: 1- una riduzione nel numero
delle cellule età - correlata (teoria di Hyflik o della
senescenza replicativa); 2- una riduzione nella competenza
energetica mitocondriale; 3- danni da radicali liberi; 4-
danni da glicazione. (teorie dell'accumulo dei danni - teorie
stocastiche)
Si può quindi parlare di invecchiamento come conseguenza
di un programma genico espresso in una determinata fase dello
sviluppo (meccanismo attivo - teorie dell'ottimizzazione del
genoma) e come conseguenza dell'accumulo di mutazioni casuali
(Meccanismo passivo - teorie stocastiche o dell'accumulo delle
mutazioni indotte da danni da radicali liberi).
La teoria più moderna, che tenta di spiegare l'invecchiamento,
viene detta teoria unificante in quanto recupera gran parte
delle ipotesi formulate in passato, ognuna delle quali conteneva
una parte di verità. Essa ammette che, per una serie
di meccanismi, in parte endogeni (che si sviluppano cioè
all'interno dell'organismo) ed in parte esogeni (ambientali),
si verifichino nel corso della vita, molteplici alterazioni
cellulari (nella membrana delle cellule, negli enzimi, nelle
proteine, nel DNA e RNA, ecc.). Queste alterazioni porterebbero
rapidamente all'invecchiamento ed alla morte se il nostro
organismo non possedesse importanti meccanismi di difesa,
la cui efficienza è sotto controllo genetico. E' così
possibile la riparazione di tutti i danni, man mano che essi
si verificano. Dall'equilibrio tra fattori aggressivi (condizionati
in prevalenza dall'ambiente) e fattori difensivi (condizionati
in prevalenza dalla genetica) deriva una più o meno
lunga durata della vita.
In conclusione l'invecchiamento viene descritto come un complesso
sistema, influenzato da un largo numero di fattori esterni
ed interni, la cui eziopatogenesi resta tuttora solo appannaggio
di diverse teorie. (8)
Le numerose teorie che tentano di spiegare l'invecchiamento
biologico non possono certamente rendere conto, da sole, dell'invecchiamento
dell'uomo, per la complessità che gli deriva dall'occupare
il gradino più alto dell'evoluzione animale, e quindi
dall'intelligenza, dai sentimenti, e dalla integrazione sociale
nei contesti più disparati. Per questo motivo all'invecchiamento
dell'uomo, oltre a cause puramente biologiche, concorrono
numerosi altri fattori. Diversi studi condotti su individui
longevi hanno infatti dimostrato che, nel confronto con i
meno longevi, essi presentano: un più alto livello
di istruzione; migliori condizioni economiche; un miglior
supporto famigliare; e un minor numero di esperienze individuali
negative.
L'età anagrafica e l'età biologica
La popolazione anziana è stata classificata, a
prescindere dal dato anagrafico, anche a seconda dello stato
di salute (14) in:
- successful agers (anziani di successo): vivono in modo autosufficiente
e non presentano perdita della funzionalità;
- usual agers (anziani sottoposti agli effetti dell'usuale
invecchiamento): vivono in modo autosufficiente con una varietà
di condizioni mediche.
- accelerated agers (anziani sottoposti agli effetti di un
invecchiamento accelerato): portano un carico pesante di malattie
croniche e disabilità; molti di questi sono istituzionalizzati.
Questa classificazione mette in luce l'eterogeneità
della popolazione geriatrica e di conseguenza la difficoltà
di confrontare i risultati ottenuti e di trarre conclusioni
dagli studi epidemiologici, che servirebbero a stabilire,
invece, le regole per una prevenzione e per i fattori predittivi
di un invecchiamento di successo.
In sostanza la questione di "arrestare l'invecchiamento",
da sempre desiderata dall'uomo, si presenta piuttosto difficile
in quanto non esiste, come appena detto, un singolo meccanismo
che possa essere additato come il responsabile, così
come non esiste una singola manifestazione della vecchiaia.
Le ricerche sono indirizzate perciò verso i cosiddetti
markers dell'invecchiamento, che possano segnare l'età
biologica di un individuo, differenziandola da quella anagrafica.
Alla luce della plurifattorialità dell'aging si può
escludere fin d'ora che si tratti, quindi, di un solo marker.
L'età biologica può essere definita utilizzando
i classici parametri antropometrici quali la riduzione della
statura - si riduce soprattutto l'altezza da seduti per una
maggior compromissione delle ossa corte rispetto a quelle
lunghe; si riduce la massa magra a favore di quella grassa
che va inoltre incontro ad una ridistribuzione (si riduce
il tessuto adiposo alle estremità per aumentare nel
tronco), determinando un aumento della profondità del
torace e dell'addome; il diametro bisacromiale va riducendosi;
il cranio si modifica diventando più grande e più
pesante; aumenta la base nasale e s'ingrandiscono le orecchie;
scompaiono i capelli e i peli ascellari mentre s'infoltiscono
altri peli quali le sopracciglia i tragi e le vibrisse.
Famosi studi condotti su campioni di soggetti centenari, hanno
permesso invece di selezionare 4 fattori fortemente associati
con la longevità (markers di longevità). Questi
sono: il modello di comportamento di tipo B (caratterizzato
dalla non competitività, dalla pazienza e dalla mancanza
di aggressione); un'alta pressione parziale di O2 nel sangue;
alti livelli di concentrazione di SOD (superossido-dismutasi)
nei globuli rossi ed un buon stato microcircolatorio. (15)
La letteratura e la vita stessa ci suggeriscono che l'età
biologica e quella anagrafica non sono sempre equivalenti.
L'anti-aging medicine
La crescente popolarità della cosiddetta medicina
anti-aging richiama i medici a riesaminare le loro attitudini
nei confronti dell'invecchiamento. Si può definire
l'invecchiamento come una predisposizione alla malattia o
come parte del ciclo della vita? La longevità senza
le malattie croniche usualmente associate all'invecchiamento
è una meta realistica? (2)
L'Anti-aging medicine, meglio definita da alcuni sostenitori
con il nome di "medicina evoluzionistica", fonda
il suo programma sulla comprensione delle origini evoluzionistiche
dell'invecchiamento e sostiene, infatti, che il cosiddetto
normale invecchiamento è un processo attraverso il
quale la salute viene inesorabilmente compromessa, rendendo
il soggetto più suscettibile alle malattie croniche.
Sostiene inoltre che la vera salute non è semplicemente
l'assenza di malattia, ma piuttosto la presenza di un benessere
fisico, mentale ed emozionale. L'obiettivo di questa nuova
branca della medicina è quindi quello di fornire strategie
scientificamente validate per frenare il processo dell'invecchiamento,
per prevenire le malattie croniche ed ottimizzare la qualità
della salute.
Tre fattori, secondo le teorie evoluzionistiche su cui si
ispira la nuova disciplina, sono in grado di inficiare la
salute dopo l'età riproduttiva: l'eredità genetica;
il declino dei livelli ormonali; lo stress ossidativo. L'anti-aging
medicine tende oggi a combattere il processo dell'invecchiamento
intervenendo negli ultimi due, attraverso una terapia di integrazione
degli ormoni naturali e attraverso la riduzione dello stress
ossidativo. Integrando la quota di ormoni deficitari e fornendo
una giusta dose di sostanze antiossidanti, si da riportare
la bilancia ossidativa e quella ormonale ai "livelli
dell'età riproduttiva", la medicina anti-aging
punta a migliorare la vitalità, la massa muscolare
e il sistema immunitario allo scopo di frenare gli usuali
fenomeni dell'invecchiamento. (16)
Protocolli anti-aging, prescritti da alcuni medici, comprendono
quindi terapie sostitutive ormonali, vitamine e supplementi
minerali, diete ed esercizi. Ma mentre le diete, gli esercizi
ed alcuni supplementi minerali e vitaminici rappresentano
misure preventive ben riconosciute, trattamenti ormonali,
"mega-vitaminici" e terapie erboristiche, non ancora
sperimentati, sono tuttora misure controverse.
Gli ormoni e la medicina anti-aging
Una larga e crescente parte di letteratura scientifica
ha dimostrato che i livelli di diversi ormoni tendono a ridursi
con l'età, e questo declino è associato a diverse
manifestazioni dell'invecchiamento. Il primo ad essere riconosciuto
è stato il precipitoso declino nella produzione degli
estrogeni e del progesterone nella donna, in quel complesso
fenomeno noto come menopausa. Altri ormoni i cui livelli ematici
tendono a diminuire con l'età, in maniera ormai ben
documentata, sono il testosterone negli uomini (e anche nelle
donne), l'ormone della crescita e il deidroepiandrosterone
(DHEA). Il declino di questi ormoni inizia molto prima ed
è più graduale; tuttavia, proprio per l'analogia
con la menopausa, in riferimento a tali ormoni, sono stati
adottati i termini di andropausa, somatopausa e adrenopausa.
Anche la melatonina tende a ridursi.
Per altre sostanze ormonali si assiste, invece, ad un incremento.
Innanzitutto la resistenza tessutale all'insulina porta ad
una sua aumentata produzione in risposta ai pasti, aumentando
il rischio di insorgenza del diabete e di malattie cardiovascolari.
Similmente, la risposta dell'organismo allo stress può
provocare un incrementi prolungato dei livelli del cortisolo,
aumentando il rischio di danni da squilibrio della composizione
corporea, della funzione cerebrale e di quella immunitaria.
Messo insieme, questo insieme di dati esprime la teoria endocrinologica
dell'invecchiamento.
Se per la donna la terapia sostitutiva ormonale rappresenta
ormai un supporto consolidato nella prevenzione degli effetti
della menopausa e dell'invecchiamento, per quanto riguarda
l'uomo, la stessa è ancora in via di sperimentazione.
L'incremento della spettanza di vita nell'uomo avviene parallela
all'aumento della comparsa di segni e sintomi tipici dell'invecchiamento:
debolezza muscolare, osteoporosi, iperplasia prostatica benigna,
cambiamenti nella composizione corporea, affaticamento, diminuito
interesse sessuale e aumento della prevalenza di disfunzione
erettile; tutti fattori limitanti la qualità della
vita. Molti di questi sintomi sono simili a quelli documentati
in patologia, come nella sindrome di Kallman o in quella di
Prader Willi. Gli effetti benefici della terapia sostitutiva
nelle patologie con deficit ormonali nei non anziani e nelle
donne in post-menopausa aveva aumentato la speranza che la
sostituzione ormonale potesse prevenire o addirittura sovvertire
alcuni dei sintomi dell'invecchiamento maschile. Tuttavia
questo approccio fu ostacolato dalla mancanza di parametri
di riferimento ormonali età correlati. A tutt'oggi,
secondo alcuni studi, non esiste ancora l'indicazione precisa
per una terapia sostitutiva ormonale nel maschio. (17)
Secondo alcuni lavori, pur essendo ancora necessari altri
studi sull'argomento, si può affermare che la medicina
sta assistendo "all'alba dell'era degli androgeni".
L'uso della terapia sostitutiva con testosterone per il trattamento
dei sintomi da deficit androgenico negli anziani (ADAM: androgen
deficiency in aging males) può essere appropriato se
preso con le dovute cautele. (18)
Il Baltimore longitudinal study on aging (19) ha dosato i
livelli di testosterone e di sex hormone binding globuline
(SHBG) in 890 soggetti ottenendo i risultati che l'incidenza
di ipogonadismo relativo al testosterone, e in particolare
alla quota libera metabolicamente attiva, è pari al
20% sopra i 60 anni, al 30 % sopra i 70 e al 50% sopra gli
80. Questi dati giustificano l'esigenza di proseguire nella
ricerca verso una terapia sostitutiva soprattutto per quei
soggetti con le più basse concentrazioni sieriche di
testosterone.
Un altro interessante lavoro condotto dall'università
di Bologna (20), ha confrontato i livelli di alcuni ormoni
in due gruppi di soggetti fisicamente attivi di età
media e di anziani. In conclusione si è dimostrato
che, indipendentemente dall'età, gli uomini fisicamente
più attivi avevano livelli in media più alti
rispetto ai sedentari, in riferimento a: IGF-1 (insuline like
growth factor - 1), DHEAS e triiodotironina (T3). Le concentrazioni
di testosterone libero e di TSH non differivano nei due gruppi,
ma gli uomini fisicamente più attivi avevano più
bassi livelli di TSH rispetto ai più sedentari. Questo
può significare che, se altri studi longitudinali lo
confermeranno, la regolare partecipazione ad un training fisico,
potrebbe rappresentare un utile alternativa alla terapia ormonale
sostitutiva nell'uomo. (21)
In conclusione, sebbene oramai esistano molte evidenze che
fanno considerare il sistema endocrino come il "pace-maker"
dell'invecchiamento soprattutto nell'uomo, ad oggi un'indicazione
della terapia sostitutiva ormonale maschile al di fuori di
trials clinici non può ritenersi giustificata. (22)
E' infine doveroso fare un cenno su una sostanza la cui notorietà
è indiscussa: la melatonina. (23). Se esiste un orologio
biologico che governa il declino della produzione ormonale,
la melatonina non può che esserne il miglior candidato.
Questa è prodotta dalla ghiandola pineale, posta al
centro del cervello, la quale riceve impulsi direttamente
dagli occhi regolando lo stato di veglia o di sonno a seconda
della luce. La melatonina infatti viene rilasciata a "getto"
di notte per indurre il sonno. E' riconosciuta l'indicazione
alla sua assunzione per alleviare il "jet-lag".
E' inoltre ben documentato in letteratura che la produzione
di melatonina decresce con l'età e che dopo i 60 anni
molti individui ne producono meno della metà di quanta
ne producevano a 20 anni. La melatonina si è dimostrata
ancora un forte antiossidante (comportandosi da scavengers
dei radicali liberi) e anticancro.
Infine alcuni studi condotti su cavie da parte di un famoso
ricercatore italiano (dott. Walter Pierpaoli), hanno dimostrato
come trapiantando la ghiandola pineale di un topo anziano
in uno giovane, quest'ultimo presentava un precoce invecchiamento.
E viceversa trapiantando la pineale di un giovane su un topo
vecchio, si otteneva un ringiovanimento. Lo stesso ricercatore
ha inoltre dimostrato che la supplementazione orale di melatonina
provocava nelle cavie un allungamento della vita media del
25%.
Questi studi, per ovvie ragioni, non sono stati eseguiti sull'uomo,
ma alte dosi di melatonina somministrate nella terapia del
cancro mammario non hanno rivelato particolari effetti collaterali.
Tuttavia sono necessari ulteriori studi che chiariscano completamente
i meccanismi d'azione e gli eventuali effetti collaterali
di questo interessante ormone per un trattamento a lungo termine
nell'adulto e nell'anziano.
La nutrizione e la medicina anti-aging
Una strada che ha dato nell'animale da laboratorio esiti
incoraggianti sull'antiaging è la restrizione calorica.
Furono MvCay et al. nel 1935 (24) i primi ricercatori a dimostrare
che, riducendo l'apporto di cibo nei ratti, si aveva un significativo
aumento della longevità; questo risultato è
stato confermato in seguito da numerosi studiosi in diversi
laboratori, usando dei range di riduzione calorica da 10 a
70% in confronto all'apporto ad libitum. Questi studi dimostrarono
l'associazione tra longevità e grado di restrizione
calorica: meno calorie venivano consumate, maggiore era il
ritardo del processo di invecchiamento (25).
E' importante segnalare che questa restrizione calorica è
stata condotta senza malnutrizione: tutte le diete contenevano
adeguati apporti di vitamine, minerali e nutrienti essenziali.
Sotto tali condizioni, la restrizione calorica conduce a tre
importanti conseguenze: 1) aumentata longevità; 2)
diminuzione del declino funzionale; 3) Diminuzione dell'incidenza
(e in qualche caso eliminazione) della patologia age-dependent.
E, dato che questi tre effetti sono strettamente correlati
alle caratteristiche fondamentali dell'invecchiamento, la
restrizione calorica è decisamente associata al ritardo
di tale processo.
La ricerca ha anche portato alla seguente conclusione: non
è la restrizione di ogni singola componente dietetica
(grassi, proteine, minerali e vitamine) bensì la riduzione
dell'apporto calorico che ha effetto antiaging. (26)
Occorre però mettere in rilievo i limiti di tali studi:
questi si basano su animali di laboratorio che hanno una vita
breve, e vengono condotti durante il periodo di svezzamento,
non della vita adulta. C'è poi da porsi una domanda:
come è possibile applicare a lungo termine una restrizione
calorica sull'uomo? Dovrebbe trattarsi di una dieta a durata
infinita non certamente proponibile agli esseri umani.
Finora non è chiaro il meccanismo per cui la restrizione
calorica provochi un ritardo nell'invecchiamento. Fra le ipotesi
avanzate c'è il generale rallentamento del metabolismo
che ha tra i suoi effetti la modulazione della produzione
dei radicali liberi. Il danno da radicali liberi è
implicato nella patogenesi di molte malattie. Il danno ossidativo
al DNA può essere associato all'aumentare del rischio
di cancro che si verifica con l'aumentare dell'età.
(27)
L'eccesso di produzione dei radicali liberi può anche
contribuire al danno tessutale nell'artrite reumatoide, nelle
malattie infiammatorie del colon (incluso il M. di Crohn e
la Colite Ulcerosa), nella cataratta, nella degenerazione
maculare, nelle malattie neurodegenerative, e può essere
uno dei maggiori fattori etiologici del processo d'invecchiamento.
(27)
L'organismo ha un sistema di difesa anti-ossidativo per controllare
il danno da radicali liberi. Questo include anche i nutrienti
anti-ossidanti: l' a-tocoferolo, isomero della vitamina E,
l'acido ascorbico (vitamina C). Il b-carotene e i flavonoidi
hanno un'attività antiossidante in vitro, ma la loro
importanza come antiossidanti in vivo è ancora sotto
esame. Dato che i nutrienti come l'a-tocoferolo e l'acido
ascorbico hanno attività antiossidante in vivo, è
stato proposto che l'aumentato apporto di questi nutrienti
mediante dieta o supplementi possa ridurre l'incidenza o ritardare
l'insorgenza di malattie come le malattie cardiovascolari
e il cancro. Il supplemento di vitamina E, in particolare,
migliora l'immunità cellulo-mediata sia nei ratti che
negli esseri umani. (28) Finora però non ci sono dati
certi per raccomandare la vitamina E quale prevenzione dell'aterosclerosi.
L'apporto di vit. E dai cibi (frutta, verdure, noci) è
inversamente associato al rischio di malattie cardiovascolari
in alcuni studi (29), ma non in altri (30). Nonostante ciò,
il consumo di questi cibi deve essere incoraggiato per i numerosissimi
nutrienti che essi contengono.
L'elevato apporto di b-carotene dietetico è stato
associato ad una diminuzione degli eventi cardiaci in alcuni
studi (30). Comunque i risultati dei trials clinici sono in
genere negativi per cui non c'è alcuna giustificazione
per raccomandare b-carotene ed altri carotenoidi per la prevenzione
delle malattie cardiovascolari.
I flavonoidi, contenuti nel vino rosso, sono stati proposti
essere una delle spiegazioni per il "paradosso francese"
- la relativa bassa mortalità cardiovascolare in Francia
malgrado un elevato apporto di grassi totali e saturi (31)
- in parte dovuta alla loro attività antiossidante
(32).
Comunque i dati sui flavonoidi e sulla vit. C e il rischio
cardiovascolare sono in genere controversi, per cui sarebbe
prematuro raccomandarne il supplemento per prevenire l'aterosclerosi.
Malgrado negli anni '80 gli studi promettessero un calo del
rischio di cancro (soprattutto polmonare) in associazione
all'assunzione di b-carotene dietetico, questi dati non sono
stati successivamente confermati. Alcuni autori (27) hanno
messo in risalto la correlazione tra basso apporto di frutta
e verdure con il doppio di frequenza dei più comuni
cancri, incluse le neoplasie maligne genitourinarie, gastrointestinali
e polmonari. Recenti studi hanno dimostrato che una dieta
ricca in frutta e verdura protegge anche contro la perossidazione
lipidica in vivo (33) e l'ictus (34).
Fermo restando che le ricerche scientifiche continuano a studiare
i nutrienti più importanti per combattere la battaglia
dell'antinvecchiamento, possiamo però suggerire, nel
frattempo, le linee guida per una alimentazione sana ed equilibrata,
rilasciate dal Dipartimento dell'agricoltura U.S.A. nel 1992
(35).
Conclusioni
"Senectus ipsa morbus" - sosteneva Ippocrate;
ma a quel tempo poche persone raggiungevano i 65 anni di età
e, quelle poche non disponevano ancora di tutti i "vantaggi
biologici" che la vita attuale presenta. Se per qualcuno
oggi la senescenza rappresenta ancora una malattia di per
se stessa, significa che la nostra società, che sta
inesorabilmente invecchiando, entro la metà di questo
secolo sarà quasi completamente allettata, per metà
agonizzante e, in parte, già defunta!
Uno studio condotto su un vasto campione di soggetti di tutte
le età ha rivelato che circa il 50% delle persone con
età tra i 65 e i 69 anni hanno descritto gli anni in
corso come i migliori della loro vita; così come il
44% delle persone tra i 70 e gli 80 anni e il 33% di quelle
sopra gli 80 anni. La stessa indagine condotta 25 anni prima
dava percentuali molto inferiori (32% tra i 65 e i 70), riflettendo
i favorevoli cambiamenti della vita moderna in termini di
qualità della vita stessa. Questo studio suggerisce
che gli anziani del 2000 si considerano più sani e
più felici rispetto agli anziani delle precedenti generazioni.(36)
Di fronte ad una società sempre più longeva
e verosimilmente più sana, la considerazione di Ippocrate
perde di valore e lascia il campo ad un nuovo concetto di
senescenza che meglio si adatta alla situazione attuale.
Un prestigioso geriatra, il dottor Buttler, durante una recente
tavola rotonda sull'anti-aging medicine (37), ha sostenuto
che "i medici che curano i pazienti anziani praticano
la medicina anti-aging quotidianamente nei loro ambulatori;
per mantenere un paziente attivo e con una certa qualità
di vita, non servono magici elisir ma invece un approccio
olistico." Ha quindi suggerito quattro punti per vivere
più a lungo e più felici:
1. favorire la salute fisica (dieta, esercizio, non fumare,
moderato uso di alcool)
2. favorire l'uso di approcci non farmacologici fin dove è
possibile
3. favorire una salute sociale (una rete di relazioni interpersonali
e di amicizie)
4. avere del buon senso
Di risposta altri due colleghi, che partecipavano allo stesso
dibattito - dottor Fossel e dottor Pan - hanno concluso sottolineando
che l'anti-aging medicine è medicina. La popolazione
di oggi presenta nuovi bisogni, e la classe medica ha il dovere
di saperli affrontare. La conoscenza sui fenomeni che regolano
le malattie e l'invecchiamento sta aumentando, insieme alla
percezione di ciò di cui si necessita per invecchiare
bene.
L'articolo, citato in principio (1), racconta l'esperienza
di un ingegnere elettronico americano, in pensione, di 72
anni che da quando si è rivolto ad una clinica anti-aging,
riferisce di aver acquistato più energia, più
vitalità e vigore sessuale. Grazie ad un preciso protocollo
antiaging, da sei mesi assume supplementi di DHEA e di testosterone.
Come testimone degli attacchi terroristici, è scaturita
in lui una ragione in più per ricercare un adeguato
trattamento anti invecchiamento: è suo desiderio infatti
migliorare l'elettronica, al fine di metterla a disposizione
dell'esercito, nel tentativo di prevenire altre eventuali
orrende catastrofi.
Per tornare infine ancora ad Ippocrate, si ribadisce che il
credo della medicina sin dall'antichità è stato
"Primum non nocere". Molti medici, per non violare
questo dettato, si rifiutano di applicare i protocolli anti-aging
finché non provvisti di studi a lungo termine in proposito.
L'associazione della medicina anti-aging di New York ribatte
che basta guardare al pericolo che i processi dell'invecchiamento
portano in se, per iniziare a vedere il favorevole rapporto
rischio/beneficio di queste nuove terapie sotto una nuova
luce. (16)
Il dibattito resta aperto.
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