di
Giovanni Cristianini
Come di solito accade in medicina, anche nel caso della malattia
di Alzheimer (AD), è evidente che per ottenere al paziente
i maggiori benefici consentiti è di essenziale importanza
che la diagnosi venga posta dallo specialista il più
precocemente possibile, quando ovviamente ciò risulti
un'operazione realizzabile.
E' quindi auspicabile che i familiari siano solleciti a segnalare
al medico l'insorgenza o la presenza di particolari disturbi,
che non siano da ritenere fatti occasionali, ma che si pongano
stabilmente in contrasto con il comportamento precedente o
siano intervenuti modificando in modo permanente il carattere
del soggetto.
E' noto che non si può porre la diagnosi di AD mediante
uno specifico esame di laboratorio, ma soltanto ipotizzarla,
all'inizio, sulla base di una serie di indizi clinici, che
siano tali da orientare geriatri e neurologi sulla particolare
natura del decadimento che interviene a carico della funzioni
intellettive.
Ai sintomi che riguardano le funzioni cognitive superiori,
comunque, si associa nella grande maggioranza dei casi un
deterioramento della personalità e del comportamento,
che comprende disturbi psichici diversi, irritabilità
ed aggressività, oltre ad insonnia ed apatia.
Di particolare importanza è quindi la raccolta d'informazioni
attraverso l'anamnesi recente e passata del paziente, l'esame
fisico e neurologico e, soprattutto, per mezzo della visita
neuropsicologica che consente di quantificare la gravità
dei problemi di memoria, di orientamento, di linguaggio e,
appunto, del comportamento.
La diagnosi di questa forma morbosa viene formulata solo dopo
avere escluso tutte le altre possibili cause di decadimento
intellettivo, sulla base anche, per lo più a tale scopo,
di eventuali esami di laboratorio e radiologici.
Come è noto la malattia di Alzheimer rappresenta circa
il 65% di tutti casi di demenza, che possono derivare,come
è risaputo, anche da lesioni vascolari cerebrali (demenza
vascolare e mista) e da specifiche malattie neurologiche,
quali la demenza frontotemporale, la paralisi sopranucleare
progressiva, la corea di Huntington, la degenerazione cortico-basale,
la malattia con corpi di Lewy, la Parkinson-demenza, ecc
..,
oltre che da altre svariate forme di demenza secondaria potenzialmente
regredibili con la cura dell'affezione di base.
I dati riportati e le considerazioni espresse in questo editoriale
si fondano sulle conoscenze in materia acquisite dai vari
studiosi, e riportate nella letteratura specializzata, per
cui è molto probabile che esse possano venire modificate,
in vario modo, in conseguenza degli studi futuri e delle nuove
acquisizioni scientifiche che certamente ne deriveranno.In
particolare a proposito del sospetto di demenza va sottolineato
che restano aperti alcuni problemi diagnostici che sono ancora
oggetto di ricerca e fonte d'incertezza tra gli specialisti,
e dei quali possiamo menzionare la non sempre facile differenziazione
tra il normale invecchiamento cerebrale ( non patologico)
e la demenza allo stadio di esordio.
Le manifestazioni più precoci della malattia sono
infatti difficili da distinguere dalle normali turbe mnesiche,
frequenti nell'anziano, quali si possono osservare ( e di
fatto si evidenziano) anche nel cosiddetto invecchiamento
"fisiologico" o naturale. Per cui la lunga fase
preclinica, di durata non definibile, che precede spesso l'esordio
della malattia sintomatica, potrebbe talora raffigurare inizialmente
un quadro simile ad una senescenza biologica, alla quale poi
farebbe seguito una sua evoluzione progressiva e graduale
in un deterioramento cognitivo patologico.
Perciò la malattia di Alzheimer, in fase iniziale,
deve essere distinta dal comune scadimento senile della memoria
ed anche dal lieve deterioramento cognitivo (Mild Cognitive
Impairment - MCI), pur considerando che in certi soggetti,
tali situazioni possono talora progredire verso una forma
demenziale, sì da consigliare, per questo motivo, sempre
una periodica ed attenta rivalutazione clinica del caso da
parte del medico specialista ( Kachaturian ZS. Aging: a cause
or a risk for AD ? J Alz 2:115-116, 2000 ).
Ne deriva che la diagnosi di malattia di Alzheimer, in una
fase precoce, può essere formulata solo dopo avere
escluso tutte le possibili altre cause di decadimento intellettivo,
comprese quelle fisiologiche (Petersen RC e coll. Mild cognitive
impairment. Clinical caracterizazion and outcome. Arch Neurol
56: 303-308, 1999), e delle quali più sopra abbiamo
appena riportato una serie di esempi. Al medico di medicina
generale resta comunque affidato il compito della prima ipotesi
diagnostica e dell'invio del paziente alle unità specialistiche
( Unità di Valutazione Alzheimer ), cui spetta il compito
di confermare la diagnosi.Tali Unità sono costituite
da centri specializzati che vengono istituiti ed operano presso
divisioni di neurologia, geriatria, RSA o di altre strutture
sanitarie.
L'Alzheimer Association degli USA ha pubblicato un elenco
dei principali sintomi premonitori della malattia ( fase d'esordio)
per aiutare i familiari a riconoscere la forma morbosa al
suo stadio iniziale e, quindi, a potersi rivolgere per tempo
al medico curante ( e per suo tramite alle unità specialistiche)
con il vantaggio di contrastare fin dall'inizio il decorso
della demenza con i vari tipi d'intervento e di supporto psicologico
che oggi conosciamo.
Uno dei disturbi più frequenti in questa fase ( e nelle
successive) è rappresentato dalla perdita di memoria,
che si presenta in modo più grave di quanto si possa
osservare nelle persone sane, e da una certa difficoltà
anche nello svolgere le più comuni attività
della vita quotidiana. Il malato può andare incontro
inoltre ( in tempi susseguenti ) a problemi di linguaggio
ed essere spesso disorientato nel tempo e nello spazio, al
punto da non ricordare il giorno della settimana e da non
essere in grado, talvolta, di ritrovare la propria abitazione,
dopo essere uscito di casa. Finisce poi col presentare inoltre
difficoltà nel pensiero astratto e perde quindi la
capacità di eseguire un calcolo aritmetico, colloca
in modo inappropriato gli oggetti di casa e va soggetto a
cambiamenti dell'umore e del comportamento, mostra una personalità
che propende a modificarsi in modo molto evidente e denota
in particolare una notevole mancanza d'iniziativa per il proprio
lavoro, l'attività domestica e gli obblighi sociali.
Il soggetto tende ad essere passivo, apatico ed evidenzia
spesso segni di depressione.
La diagnosi della malattia di Alzheimer può essere
quindi presunta, già in una fase iniziale, sulla base
dell'anamnesi raccolta con l'aiuto di familiari e conoscenti,
vale a dire l'unica fonte possibile d'informazioni che ci
permette di ricuperare dati sul deficit cognitivo e sulla
gravità del declino funzionale riguardanti il paziente.
Negli stadi seguenti e, in particolare, nella fase intermedia
di malattia, che si manifesta di solito dopo 2-3 anni dall'esordio
dei primi sintomi, il livello di attività si riduce
progressivamente e, di conseguenza, aumenta necessariamente
la richiesta di assistenza.
In questa fase peggiora ulteriormente la memoria recente,
ma si deteriora anche la capacità di rievocare gli
avvenimenti più lontani della vita, facoltà
questa che all'inizio si era mantenuta integra. Scade anche
il ragionamento e la capacità di comprensione, fino
a che il paziente non risulta più in grado nemmeno
di leggere e scrivere. Il malato è maggiormente disorientato
nel tempo e nello spazio e non è più in condizione,
come si è detto, di uscire di casa senza accompagnamento.
A differenza della fase iniziale ora diventa spesso ansioso,
aggressivo ed irritabile, sino ad arrivare a stati di grave
agitazione e finanche alla aggressività fisica.
Possono manifestarsi in esso anche credenze immaginarie di
tipo delirante, come ad esempio la convinzione che gli siano
stati rubati oggetti di valore o che stia per essere segregato
ed abbandonato. Possono essere abituali pure le errate identificazioni
dei familiari, spesso scambiati per estranei e lestofanti.
Questa fase intermedia può avere una durata variabile
che può prolungarsi dai 3 ai 10 anni.
Nella terza fase di malattia, quella più avanzata,
il malato diventa sempre più subalterno ed i sintomi
dominanti, ai quali ovviamente non può essere essere
attribuito il valore diagnostico di quelli premonitori dello
stadio iniziale, sono ormai talmente progrediti da comprendere
la perdita del linguaggio e della memoria, le allucinazioni
e i disturbi gravi del comportamento, la difficoltà
a deambulare e l'allettamento conseguente.
* * *
Dopo questo breve e doveroso accenno schematico, che aveva
solo uno scopo orientativo e d'inquadramento generale, desideriamo
ritornare alla trattazione specifica della fase di debutto
della malattia, sulla base dei principali sintomi premonitori,
così come sono stati elencati dall'Alzheimer Association,
più sopra citata.
Il percorso diagnostico per arrivare alla diagnosi di AD,
nell'evenienza di uno stadio iniziale, deve quindi prendere
sempre l'avvio da un'attenta silloge e valutazione dei dati
anamnestici, da un preciso esame dello stato fisico e mentale
( esame obiettivo generale e neurologico ), avendo cura di
vagliare il livello funzionale sino ad arrivare all'effettuazione
di indagini ematologiche, biochimiche e strumentali che si
propongano, in modo particolare, di stabilire anzitutto se
i disturbi rilevati siano correlabili ad un declino cognitivo
dovuto all'età ( invecchiamento cerebrale non patologico
), a condizioni cliniche quali depressione o delirium, o ad
una vera demenza in fase di esordio, evenienza in cui si prospetta
sempre anche la necessità di una diagnosi differenziale.
Uno dei sintomi più frequenti, è cosa generalmente
risaputa, consiste nella perdita della memoria recente e va
anche osservato, d'altra parte, che una riduzione delle capacità
mnesiche non deve essere sempre considerata come un generico
segno d'invecchiamento, dato che molti soggetti invecchiano
senza importanti riduzioni della capacità di memoria.
Possiamo dire che il malato in sostanza tende ad avere disturbi
mnesici più gravi, rispetto al vecchio sano, e non
riesce più a recuperare le informazioni perdute, nemmeno
lasciando trascorrere un tempo adeguato.
Dovevamo ai nostri lettori queste precisazioni, per una certa
completezza anzitutto, prima di affrontare il tema specifico
di questo editoriale che è quello di puntualizzare
l'individuazione diagnostica della malattia di Alzheimer in
una fase molto iniziale, quasi pre-clinica, nella previsione
che ciò possa diventare quanto prima una prassi comune
e di facile esecuzione in campo sanitario.
Anche la diagnosi precoce della malattia di Alzheimer, è
bene ripeterlo, viene resa possibile soprattutto avvalendosi
dell'indagine anamnestica, quando questa è in grado
di mettere il medico sull'avviso, specie se raccolta con l'aiuto
di familiari e conoscenti, che sono meglio in grado di fare
paragoni con la precedente situazione cognitiva e funzionale
del paziente. E' necessario però rimarcare ancora una
volta che, nella maggior parte dei soggetti anziani, anche
l'invecchiamento cerebrale "fisiologico" si associa
ad un declino della memoria e di altre funzioni cognitive,
come può essere osservato comunemente nella vita di
ogni giorno.
Si tratta, in questi casi che sono la grande maggioranza,
di un processo benigno che rientra in quello che possiamo
definire come insenilimento cerebrale naturale, i cui sintomi
sono un normale declino della memoria o di altre funzioni
cognitive, che però nulla dovrebbero avere a che fare
con la fase iniziale di una malattia dementigena.
Non è facile comunque delineare i confini tra invecchiamento
cerebrale "fisiologico" ed uno stato pre-demenziale,
e capire già in una fase iniziale fino a che punto
il medico sia autorizzato a considerare normale ( o solo un
fattore di rischio) un deterioramento lieve della memoria
o delle altre funzioni cognitive e quando invece è
tenuto a sospettarli come una vera e propria fase di esordio
di una situazione clinica di demenza.
Si comprende quindi l'importanza di una definizione dei confini
nosografici tra queste due realtà rappresentate dall'invecchiamento
cerebrale "fisiologico" e da un processo dementigeno
in fase iniziale, al fine anche di una utile distinzione tra
semplici fattori di rischio e la fase iniziale di un vero
processo patologico, con tutte le conseguenze che una diagnosi
precoce, in questa seconda evenienza, potrebbe avere sul trattamento
preventivo e sulla terapia.
Abbiamo già accennato in precedenza, da un punto di
vista anamnestico, alla diagnosi di demenza in generale ed
anche, molto brevemente, alla differenziazione della malattia
di Alzheimer dalle altre principali forme demenziali.
Abbiamo anche sottolineato, in uno stadio iniziale di possibile
demenza, la fondamentale importanza che senz'altro possiede
la raccolta puntuale dell'anamnesi con l'ausilio di familiari,
amici e conoscenti, gli unici che possono fornirci quelle
informazioni che ci consentono di apprezzare con una certa
precisione la modalità di esordio e l'evoluzione dei
disturbi in causa, il declino delle funzioni cognitive e,
naturalmente, di conoscere anche la storia familiare di altri
eventuali casi di tale malattia, di stati depressivi, di vasculopatie
cerebrali e di altre condizioni cliniche associate.
L'esame obiettivo generale e neurologico deve essere condotto
con la massima attenzione
per evidenziare patologie organiche che possono interferire
nell'insorgenza del declino cognitivo, come le malattie cardio-vascolari,
respiratorie ed endocrine, e per rivelare alterazioni extrapiramidali
(Parkinson-demenza, demenza con corpi di Lewy ), segni focali,
mioclonie, ecc
di cui abbiamo già fatto cenno.
La valutazione dello stato cognitivo ed affettivo, è
noto, si avvale di varie tecniche standardizzate, quali il
conosciuto e diffuso Mini Mental State Examination (MMSE),
oltre a svariati test neuropsicologici che possono esplorare
funzioni corticali diverse ( memoria, linguaggio, orientamento,
ragionamento, tono dell'umore e disturbi comportamentali),
i quali sono preziosi strumenti d'aiuto per valutare il grado
di deterioramento cognitivo, non solo, ma anche per condurre
una diagnosi differenziale e, naturalmente, per quantificare
la progressione del declino cognitivo del soggetto, in virtù
del prezioso confronto fra tali test quando siano ripetuti
nel tempo. Nella valutazione neuropsicologica delle fasi precoci
di demenza il dato più costante è espresso da
uno scadimento, nei test di memoria, della prova di "richiamo
ritardato", mentre in seguito, con il progredire della
malattia, si aggiunge anche un declino nelle prove di "richiamo
immediato" e nei test di riconoscimento di oggetti e
figure.
Nei test di linguaggio risultano precocemente compromesse
le prove di denominazione e l'entità dell'anomia si
associa alla rapidità di progressione della malattia.
A proposito della valutazione dello stato affettivo non può
non essere rimarcato ( in una valutazione neuropsicologica
) il notevole influsso che la depressione può avere
sullo stato cognitivo e, di conseguenza, l'importanza che
l'uso di scale per la depressione ha per la diagnosi differenziale
ed, ovviamento, per il trattamento medico ( Geriatric Depression
Scale - GDS -, Hamilton Depression Rating Scale - HDRS - ).
Da non trascurare inoltre sono gli esami ematobiochimici
che comprendono un esame emocromocitometrico completo, prove
che valutano la funzione epatica e renale, test sierologici
per la sifilide, il dosaggio degli ormoni tiroidei, i livelli
di vitamina B12 e di acido folico, degli elettroliti, l'esame
del liquor cefalorachidiano, l'elettroencefalogramma, ecc
.
tutti spesso necessari per identificare forme di demenza secondaria
a patologie concomitanti reversibili. La demenza di Alzheimer
deve infatti essere differenziata dalle varie forme di demenza
secondaria e tra queste, dobbiamo ricordare, a questo proposito,
quelle potenzialmente trattabili (e curabili) che possono
essere causate, ad esempio, dall'ipotiroidismo, dal deficit
di vitamina B12 ed acido folico e dalla neurosifilide.
Sempre su questa linea, per quanto concerne l'imaging nelle
demenze, TC e RM del cranio debbono venire utilizzate per
escludere lesioni strutturali come infarti, neoplasie, cisti
subaracnoidee, idrocefalo normoteso ed ematomi subdurali,
che possono portare allo sviluppo di uno stato demenziale.
Nel caso della malattia di Alzheimer la distribuzione dell'atrofia
è ben dimostrabile con le sezioni assiali e coronali
della RM, che risultano particolarmente utili per dimostrare
l'atrofia dell'ippocampo ( Chui H, Zhang Q. Evaluation of
dementia: a systematic study of the usefulness of the American
Academy of Neurology's practice parameters. Neurology 49:
925-935, 1997). In rapporto alla grave atrofia cerebrale,
nelle fasi tardive può riscontrarsi, con questi esami
strumentali, anche una dilatazione marcata dei ventricoli
laterali. In definitiva la distribuzione dell'atrofia cerebrale
è di grande aiuto nella diagnostica dell'Alzheimer
anche se il quadro RM non è sufficiente da solo a porre
la diagnosi, mentre una diagnostica per immagini funzionale,
come la SPECT e la PET, è in grado di evidenziare deficit
abbastanza caratteristici di alcune forme di demenza ( come
ad esempio i deficit parietali e temporali dell'Alzheimer
o i deficit irregolarmente diffusi della demenza vascolare
).Con le metodiche SPECT ( tomografia ad emissione di singolo
fotone) può essere valutata l'entità di perfusione
ematica cerebrale mediante traccianti radioattivi e, nella
malattia di Alzheimer, può venire riscontrato un modello
di ipoperfusione temporo-parietale bilaterale.
A conclusione, pertanto, di questo studio introduttivo e
preliminare, che si è proposto di fornire una valutazione
diagnostica nell'anziano con sospetta malattia di Alzheimer,
possiamo qui riassumere il percorso che abbiamo indicato al
lettore, e che parte da una accurata indagine anamnestica,
prosegue con un attento esame fisico generale e neurologico,
procede con l'uso di indagini ematobiochimiche e strumentali
(neuroimaging morfologico e funzionale ) e si conclude con
una precisa valutazione neuropsicologica della fase precoce
di malattia, il cui dato più attendibile è costituito,
nelle prove di memoria, da un netto regresso nei test di "richiamo
ritardato".
E' evidente che una diagnosi precoce della malattia permette
sia l'inizio di un puntuale trattamento con i farmaci che
si dimostrano attivi soprattutto nelle fasi iniziali ( Sherwin
BB. Mild cognitive impairment: potential pharmacological treatment
options. J Am Geriatr Soc 48: 431- 441, 2000 ), sia di ottenere,
nel contempo, risultati sicuramente positivi, con interventi
riabilitativi sul paziente, che si traducono generalmente
in ripercussioni favorevoli anche a vantaggio del caregiver.
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