di
Rita Farneti
Domani, e domani. Ancora e forse.
S'insinua lieve con piccolo passo
giorno dopo giorno
sino all'ultima sillaba del tempo segnato.
(liberamente tradotto dal Macbeth di
W.Shakespeare)
PREMESSA INTRODUTTIVA La capacità di vivere
la relazione d'aiuto con la persona anziana è strettamente
collegata a ciò che si apprende e ,sperimentato, viene
accolto ed integrato alla consapevolezza dell'esistenza. E'
la disponibilità a sperimentare il motore che attiva
un processo di crescita umana e professionale, perché
l'esperienza di formazione stimola alla ridefinizione di abilità
tecniche e competenze relazionali, nonché alla ricerca
di una congruenza adeguante il grado delle conoscenze preesistenti.
In ogni "relazione umana di tipo terapeutico"
che testimoni bisogno di aiuto e volontà di aiutare
"le caratteristiche" dei soggetti coinvolti assumono
un ruolo prioritario nel definire scopi ed obiettivi comuni
. Il processo attraverso il quale si articola il lavoro di
formazione alla relazione con la persona è sorretto
da valenza psicologica ,poiché crea un potenziale setting
di lavoro, nel quale assunti teorici ed aspetti terapeutici
vengono a soddisfare la necessità di interrelazione
reciproca.
Entrare in relazione con l'utente anziano significa essere
in grado di cogliere e saper coniugare aspetti soggettivi
(personali) ed aspetti oggettivi (professionali).Usualmente
gli aspetti personali ( ad esempio ambizioni, fantasie, concetti
,bisogni, vissuti)vengono privilegiati in un lavoro a carattere
psicologico, mentre gli aspetti professionali ( quali conoscenze,
competenze ed abilità) risultano prevalere in un lavoro
a carattere formativo, soprattutto in considerazione di una
richiesta pressante a filtrare paradigmi teorici che una sorta
di obsolescenza del sapere depriverebbe della valenza di significati.
Infatti il bisogno di una "nuova tecnologia di lavoro"
( ed anche la tecnologia stessa nel lavoro)tendono a rendere
frammentario un " sistema di sapere" ,perché
sottolineano nel ruolo dell' aggiornamento e della riqualificazione
una funzione non più meramente contributoria , bensì
strategica "per il presidio della qualità della
risorsa umana".
Spesso la frattura fra livelli di sapere acquisito e qualità
di sapere fungibile rende manifesta la prevalente convivenza
di costellazioni tassonomiche( schemi concettuali nella valutazione
delle patologie nell'anziano e dell'anziano) e mappe cognitive(
interpretazioni legate alla condizione di invecchiamento),
che assolvono alla funzione di tradurre vissuti positivi e
negativi attribuibili alla persona che invecchia.
Percezioni e rappresentazioni personali nelle relazioni
"con persone anziane" significative "nella
vita di ciascuno" finiscono, poi, per assumere un ruolo
protettivo avverso" ansie di morte, di inabilità
,di dipendenza, di impotenza" .Rappresentano per lo più
i sentimenti denunciati verso gli utenti ed i sentimenti che
s'intendono nutriti dagli utenti verso gli operatori. Gli
operatori dei servizi sociali ed assistenziali avvertono frequentemente
l'influenza dei processi (personali) di invecchiamento, dei
processi di invecchiamento dei propri familiari e di quelli
delle persone anziane con cui lavorano.
Dunque è ciò che provano a giocare un ruolo
decisivo nel determinare la qualità nell'assistenza
che intendono offrire, a prescindere dalle condizioni reali
degli utenti: infatti " pregiudizi personali e familiari
possono indurre a forme di presa in carico non corrette".
Lo stress professionale ,comunemente definito sindrome da
burn-out, sembra maggiormente presente - o maggiormente denunciato
- in operatori che abbiano tendenza a negligere, più
o meno consapevolmente, il vissuto modulato dai processi controtransferali.
Si tende a vivere una relazione a fisarmonica ,anche in forma
inconsapevole. La tendenza ad ignorare nell'anziano necessità
di intimità e riconsiderazione possono indurre ad un
comportamento che individua nel processo di invecchiamento
effetti per massima parte ascrivibili al rimodellamento biologico.
La possibilità di offrire aiuto , non solo un trattamento
garante di efficacia, si lega, invece, alla capacità
di riconoscere nostri ed altrui sentimenti, perché
il rapporto con l'utente anziano crea ed amplifica un luogo
dell'incontro simbolico, continuamente risignificato dalla
relazione nella rappresentazione della persona che invecchia.
Essere unici ed irripetibili rappresenta una verità,
ma perché questa "espressione così nobile
abbia un senso la società deve essere organizzata in
modo tale che le persone possano continuare a crescere fino
all'ultimo istante della loro vita".
SENTIRE E PENSARE LA PERSONA ANZIANA Nelle condizioni
di lavoro strutturato , e soprattutto in quelle professioni
chiamate di presa in carico, esiste la tendenza al burn-out,
sindrome che Burisch ha valutato complessa ed " estremamente
variegata ", stabilendone una più agevole descrizione
" attraverso esempi pratici" rispetto ad una definizione
esaustiva "mediante drastici modelli diagnostici".
Il burn-out esprime più" di una metafora",
perché include " alcuni fenomeni complessi, più
o meno affini".
Usualmente la sintomatologia da burn-out s'intende comprensiva
di tipologie" realmente diverse": già Fischer
aveva operato una distinzione fra burnout (in senso stretto)
e wearout (logoramento).La sindrome da burnout interesserebbe
"individui che si creano da soli un eccesso di stress",
mentre i sintomi da wearout sembrerebbero presenti in "soggetti
passivi(..)che non sanno dire di no agli altri".
Se il locus of control è fuori, nel giudizio degli
altri, la persona si considera vittima di eventi a sé
esterni. Esiste, poi, una terza categoria ,i rustout( termine
che traduce letteralmente arrostito), comprensiva di soggetti
che, "per farsi compatire, si atteggiano a vittime dello
stress e delle sconfitte ,senza in realtà aver mai
dimostrato intraprendenza e valore".
Lo schema di una situazione trappola denuncia empasse al
perseguimento di una meta ed incapacità ad individuare
strategie opportune per la risoluzione del problema. Si struttura
un conflitto fra attrazione e repulsione. Quando ,invece,
la persona si percepisce invischiata in una situazione - che
non riesce in alcun modo a modificare - si configura un conflitto
tra repulsione e repulsione.
Spesso gli operatori dei servizi sanitari ed assistenziali
dichiarano di percepire un disagio collegato a difficoltà
ritenute, per lo più , non bypassabili.
La richiesta di un corso di formazione mostra il bisogno
di ottimizzare una prestazione professionale, e ,spesso, traduce,
più o meno linearmente e consapevolmente, il desiderio
di migliorare relazioni in punti avvertiti conflittuali. Le
richieste, non di rado ancorate alla necessità di informazioni
in merito al funzionamento dei servizi ed alle relative procedure,
rivelano ,in corso d'opera, e più chiaramente, quanto
sia importante sentirsi meglio centrati all'interno della
relazione con la persona, non solo con l'utente assistito.
Fare "ageism" significa privilegiare una particolare
ottica attributiva, che della vecchiaia evidenzia in misura
prioritaria " elementi e tratti negativi ".In questo
modo miriamo, più o meno consapevolmente, a non "scalfire
la nostra autostima e posizione nella vita da giovani"
ed alimentiamo il bisogno di non essere attraversati da "malattia
,perdita di senso nella vita e morte".
In parallelo determinate aspettative ,presenti nel sistema
sociale d'appartenenza e legate all'età biologica,
vincolano ad una sorta di obbligo di congruenza con modelli
normativi che accreditano coerenza al concetto di normalità
. Il significato intrinseco all'invecchiare sottolinea complessivamente
il livello di stabilità del "movimento attraverso
il ciclo vitale", della " posizione all'interno
della società" e dell' "interpretazione soggettiva
dell'età biologica".
L'universo dell'anziano è "disomogeneo e polimorfo"
, "percorso da inquietudine" , invoca presentabilità
e rispetto sociale; anela a proteggere una propria dignità,
ricamata in una sorta di fragile continuità.
E' possibile definire la vecchiaia? Lo schema di inquadramento
concettuale, mutuato dalla scienza medica, sembra indulgere
in un'interpretazione in chiave prettamente organicista :risulta
più agevole , dunque, individuare ed assumere come
uniche e tipiche " trasformazioni in chiave biologica".
E' una modalità di ricognizione che volge lo sguardo
alla malattia , e vede nell'interlocutore malato, per lo più,
un assente giustificato dal ciclo produttivo.
Lo sguardo del medico sottrae" al corpo quell'ambivalenza
simbolica che la malattia esalta, per collocarlo in quella
bivalenza polare" nella quale viene a confermarsi una
scissione fra normale e patologico; non è offerta attraverso
la malattia una riflessione sulla vita ,solo "una riflessione
sulla malattia" che, come entità clinica , possiede
un "decorso", un "esito", mai un "senso".
Se è (meglio) valutabile la condizione di invecchiamento,
la vecchiaia risulta di per sé "indefinibile".
La condizione di invecchiamento si modula attraverso un "processo
irreversibile" nel quale, anche "in assenza di malattie,
si assiste al declino di funzioni vitali": effetti legati
a malattie , incidenti, anche stress ecc. sono in grado di
accelerarlo. Può l'invecchiamento sic et simpliciter
accreditarsi come "processo di usura" dei vari sistemi
ed organi? Una spiritosa nobildonna francese di 70 anni, alla
domanda" Cosa è per lei la vecchiaia?", suggerì
di formulare la domanda a qualcuno più anziano delle
sue 70 primavere
Il Cardinale Lambertini era convinto
assertore dell'adagio " Il cuore non invecchia mai, gli
altri organi sì"
La domanda se in realtà volgiamo lo sguardo al passato
perché il futuro, che siamo in grado di rappresentarci,
desta ansia e preoccupazione ,non mi sembra fuor di luogo
La
durata media dell'esistenza umana si è straordinariamente
allungata rispetto agli inizi del secolo scorso, tanto allungata
da poterci immaginare sia fortunati consumatori di un numero
sempre più consistente d'anni sia ,nello stesso istante,
protagonisti non vitali dei medesimi. Lo slogan diffuso -
dare più vita agli anni, non solo più anni alla
vita - diventa, in qualche modo, promotore di una scommessa
"possibile".
In passato la lunghezza nella vita umana "aveva rappresentato
un fattore utile in termini evoluzionistici" ; infatti
dagli anziani dipendeva "la trasmissione di informazioni
ed esperienze che sarebbe stato assai vantaggioso ricostituire
direttamente di generazione in generazione". Per l'antropologa
Margaret Mead ,"nelle società preistoriche, durante
carestie e periodi di siccità, la salvezza di tutti
poteva essere assicurata dalla presenza di un vecchio ",in
grado di rammentare un qualche luogo ove trovare cibo e acqua;
la possibilità di attingere da quell'esperienza permetteva
anche la risoluzione di problemi causati da calamità.
Quindi "il carattere vitalunga potrebbe essere stato
selezionato dall'esigenza di salvaguardia della specie, come
altri fattori trasmessi geneticamente".
La psicologia sottolinea dell'invecchiamento la valenza
di processo all'interno dello sviluppo individuale, costruito
lungo tutto l'arco della vita. Poiché interessa e coinvolge
il ciclo vitale della famiglia è "traiettoria
costellata di eventi critici", che rendono necessario
il ricorso a nuove abilità e sollecitano il passaggio
a differenti assetti relazionali . Cambiamenti e trasformazioni
sono la punteggiatura adeguante lo scandire della nostra esistenza,
perché il processo di crescita è presente nell'intera
esistenza e non contempla in assoluto "il primato(
)
di un'età su un'altra". Ad ogni età (del
vivere) corrisponde una sorta di "caleidoscopio di età
funzionali e strutturali" (età mentale, età
sociale, età legata a ruoli specifici): utilizzare
la differente età biologica pura si rivela estremamente
riduttivo e fuorviante.
L'esistenza di una crescente variabilità fra soggetti
(con il passare degli anni) mette in risalto l'influenza che
possono giocare " il moltiplicarsi ed il differenziarsi
delle esperienze nel variare apprendimenti, stili di vita
ed assetti relazionali". Soprattutto è evidenziata
la plasticità individuale ,che titola il singolo potenzialmente
in grado di sperimentare situazioni e condizioni di vita in
grado di agevolare o rallentare le sue (personali) modificazioni
cognitive e comportamentali. Acquista sempre più consenso
la tesi che intende "anzianità e vecchiaia frutto
di una produzione culturale rafforzata dal peso della scansione
sociale del tempo e del ciclo dell'esistenza nell'ambito di
strategie di vita e strutture di comportamento". Sembra
avere ancora molta importanza l'equazione a doppio binario
che include nella giovinezza la salute. Immagini dunque chiunque
quanto possa essere desolante la perdita della giovinezza,
perché perderla può significare anche perdere
la salute.
Convincersi della possibilità di costruire un progetto
di vita anche negli ultimi giorni di un autunno molto avanzato,
che preannuncia i rigori e la lucida desolazione dell'inverno
dello scontento, è condizione necessaria ,ma non sufficiente,
per superare la solitudine, spesso denunciata dall'anziano
come la sofferenza più lancinante .
Il nuovo si presenta in maniera generale, generica, generalizzante,
come impegno forzato e forzante a recuperare "in un posto
attivo" nella società "una sorta di identità
compatibile". Il condizionamento dello stereotipo che
interpreta il vecchio "inutile, asessuato ,malato ,isolato
e solo" obbliga la persona che invecchia a mutuare comportamenti
e stili di vita in continuo disequilibrio fra congruenza ipotetica
ed alienazione manifesta.
Wertheimer sottolinea nell'anziano la percezione (subdola)
di " una distanza tra il mondo reale , che" la persona
consuma nel vivere "ed un mondo fantastico, nel quale"
la persona che invecchia" continua ad evolvere anacronisticamente,
senza riuscire a cogliere la matrice del primo , e sentendo
paradossalmente concreto il secondo". Se per il giovane
e per l'adulto maturo il vincolo di adesione ad un'immagine
sociale adeguata impone il ripescaggio di forze propulsive
per la "conquista dell'avvenire" ( e dunque il senso
dell'essere si esprime nella capacità di poter abitare
un'esistenza appieno significata) ,per l'anziano il senso
di esistere nel tempo è spesso traducibile in una modalità
iterativa - anche agita - "di ritiro da impegni ed evitamento
al confronto con l'avvenire". Tutto ciò può
anche leggersi come una sorta di decisione finalizzata al
recupero di " misure di autoprotezione e di rallentamento".
L' eventuale "possibilità di proiettare su un
avvenire incerto valori esistenziali ,offerti da una vita
già vissuta e da esperienze già affrontate,"
rinforza maggiormente una fisiologica (forse anche specie
specifica) resistenza al cambiamento. In questo senso una
qualità della vita, coerente con alcuni criteri(livelli
di autosufficienza ed autonomia), può rivelarsi incongruente
con altri(qualità nel benessere psicofisico): prevale
la percezione di un'esistenza "non soddisfacente".
Per non incorrere nel rischio di perdite e frustrazioni la
persona che invecchia "mobiliterà" capacità
difensive non consce ,nel tentativo di contrastare "il
pericolo di fratture nella trama del proprio vissuto di individuo".
Spinto alla " deriva" dal tempo ,di cui legge e
sembra patire "i segni devastanti", tenterà
di "aggrapparsi al concreto", diventando il kofon
prosopon di un'esistenza immancabilmente anacronistica "agli
occhi altrui". In quest'ottica di permanenza si può
leggere il rifiuto ad assumere la terminabilità come
"idea regolativa" del vivere e l'aspirazione ad
"una sospensione del passare del tempo".
In tema di assistenza alla persona anziana la consistenza
di un modello organizzativo - Assistenza domiciliare integrata
- dovrebbe permettere di negoziare fra le domande degli utenti
e le risposte della struttura. E' un modulo pragmatico, ritenuto
meglio adeguato ai bisogni del singolo ,perché in grado
di coniugare necessità di corrispondenza ed obbligo
di simmetria.
Nel management dei servizi sociali è continuamente
messa in risalto una necessità a modulare " competenze
a differenti livelli, distinguendo correttamente tra l'area
delle conoscenze, ovvero dei sistemi di knowhow generali e
specialistici, l'area delle effettive capacità connesse
al ruolo( distinguendo tra capacità operative e capacità
relazionali ed attribuendo a queste ultime un ruolo decisivo
nell'identificazione della qualità manageriale) ed
infine l'area delle qualità personali e professionali".
Alla figura dell'operatore volontario, invece, non viene
facilmente attribuito e riconosciuto il possesso di uno specifico
professionale ,usualmente accreditato ,invece, a figure legittimate
dall'appartenenza ad ordini professionali. Il volontario si
riconosce all'interno di un gruppo (associazione) che liberamente
adotta regole deontologiche ,più o meno concordemente
condivise; assembla in sé gli aspetti della figura
che prende in carico in forma gratuita e, dunque, può
diventare oggetto di identificazioni sia da parte dell'(utente)
assistito sia da parte dei soggetti che con l'(utente)assistito
interagiscono.
Questo può dare all'operatore volontario molto spazio,
ma anche sminuire la significatività dei contributi
offerti, rischi nei quali è facile incorrere per la
dinamica(complessa) di proprie ed altrui aspettative.
L'identificazione rappresenta quel meccanismo ,non del tutto
consapevole, col quale l'individuo cerca di "assumere
altrui qualità, tratti e caratteristiche". Sostiene
un processo che coincide con il nascere della nostra attività
mentale : è ritenuto fondante e fondamentale per la
salute della vita psichica. La personalità si costituisce
(e si differenzia) attraverso una serie di identificazioni.
Basti pensare come il bambino e la bambina , attraverso la
relazione con i genitori, adottino modelli per dare vita alle
parti di un loro mondo interno, personaggi in cerca di autore
che troveranno ,nella dimensione adulta, regia più
consona.
Attraverso il meccanismo dell'identificazione orchestriamo
un processo di cambiamento finalizzato a trarre un appagamento
personale. Ritengo tu sia bello, grande, ammirato, dotato,
fortunato, potente, temibile
e quindi sarò come
te .In questo modo nulla avrò da temere da te (ed ancor
meno da me stesso).Se attraverso l'identificazione tendiamo
a voler in nostro possesso gli aspetti (degli altri)che ci
piacciono, è scontato che aspetti, in noi e negli altri
sgraditi ( a queste condizioni non posso sentirti buono, sembra
essere il ritornello di certe coppie..) , facciano fatica
ad acquisire una qualche cittadinanza.
Quando ci si riferisce alla relazione tra persone si parla
di identità: l'identità di una persona si costruisce
"all'interno di relazioni emotivamente significative".
La relazione è spazio di incontro e dialogo, "
luogo emotivo e cognitivo" nel quale si struttura il
modo di vedere se stessi ,gli altri e la realtà. Ci
sono persone con forti disagi e gravi difficoltà ,non
in grado di "differenziarsi dall'altro significativo"
per conquistare uno spazio mentale autoriflessivo , garante
in una rappresentazione di sé coesa e "solida".
Si può supporre che nel processo di crescita non siano
state soddisfatte "sequenze evolutive" vitali per
la relazione con un altro da sé vissuto delimitato
in pensieri, affetti e bisogni. Molto spesso l'altro si assimila
a schermo sul quale "proiettare parti frammentate di
sé", nelle quali potersi identificare, una sorta
di copione stereotipato che impedisce cambiamenti.
La relazione significativa non è assimilabile ad
"un'alleanza esplicita o ad una collaborazione tra persone
integre nei loro intendimenti". E' un rapporto di comunicazione
e riconoscimento, nutrito e garantito da "affettività,
continuità e coerenza".
ABITARE LO SPAZIO DELLA VECCHIAIA La personalità
rappresenta l'essenza irripetibile di ogni individuo , attraverso
la quale ,con parole, mimica ed azioni , l'essere umano si
manifesta all'altro .Esprime con flessibilità adeguante
l'immagine che ognuno si costruisce riguardo a se stesso e
che a se stesso rappresenta.
La psicogerontologia ha studiato dell'invecchiamento singoli
processi e persone :ogni persona "mantiene una relativa
stabilità nell'età adulta e va incontro nell'età
senile a modificazioni" che interessano la sfera biologica,
psicologica e sociale.
Si ritiene che la causa di un certo grado di modificazioni
nell'organismo umano, "nel modo di essere persona nel
mondo e nelle relazioni sociali", unica e diversa da
tutte le altre, possa meglio cogliersi attraverso la ricostruzione
della storia della persona stessa. Capire i problemi che presenta
l'anziano ed essere in grado di prevedere eventuali condizioni
di disadattamento permette di rafforzarne la disponibilità
all'adattamento e facilita un riadattamento compatibile. Infatti
è stato dimostrato come nel processo di invecchiamento
"le persone continuano a differenziarsi l'una dall'altra
se persistono le condizioni individuali e sociali perché
ciascuna possa proseguire la realizzazione di se stessa".
Quando in un gruppo di anziani si addiviene ad un'omologazione
nel "comportamento e modo di pensare dei vari componenti"
,attenuandosi fino a scomparire "le differenze individuali",
le persone risultano vittima di un "processo di sopraffazione
e di condizionamento che, emarginandoli e coartandoli nella
loro spontaneità, consente loro di sopravvivere come
organismi, non di continuare a vivere come soggetti".
"L'elevatissima variabilità" che contraddistingue
coetanei in età avanzata sembra confermare il paradosso
a voler definire la psicologia del settantenne, dell'ottantenne,
del novantenne. "Nell'età senile, le persone si
differenziano non soltanto per le peculiarità che geneticamente
le contraddistinguono, ma anche - e soprattutto - per la storia
"che ciascuno ha vissuto e "per la situazione nella
quale attualmente si trova". Risulta difficile definire,
almeno da un punto di vista psicologico, l'invecchiamento
un processo uniforme: occorre, invece, considerare e riconsiderare
continuamente le increzioni soggettive che nel corso degli
anni mettono in luce "caratteristiche" nello stile
di vita ,in funzione anche di esperienze pregresse, di contingenti
condizioni di salute e di ambienti nei quali le persone risultano
complessivamente inserite.
La diversità nei due sessi appare significativa sia
nell'accettare le modificazioni connesse all'invecchiamento,
che le donne patiscono meno, sia nel riconoscere, a ridosso
del pensionamento, alle funzioni di cura ed alla trasmissione
di valori una valenza ancora valida. In entrambi i sessi si
registrano notevoli differenze individuali in relazione "all'esistenza
di un partner , alla vicinanza di figli e nipoti" (l'intimità
a distanza), all'atteggiamento "dei giovani nei confronti
degli anziani" ed a personali condizioni di salute e
autosufficienza. Nell'uomo la percezione di un'immagine sociale
diversa, enfatizzata dal nuovo ruolo di pensionato, incide,
spesso , in negativo sul processo di invecchiamento delle
funzioni biologiche e sulle relazioni.
"Il fattore culturale influisce in modo significativo
sul rendimento psichico nell'età senile sostanzialmente
attraverso le modalità di conservazione - da parte
di chi dispone di una base culturale elevata - di un più
alto livello di efficienza - specie per quanto riguarda le
espressioni verbali e creative dell'intelligenza - e mantenimento
di una più spiccata variabilità interindividuale.
Il primo fatto conferma da un lato il ruolo positivo esercitato
sul funzionamento mentale dal poter disporre di un materiale
culturale ricco e stimolante, dall'altro, la tendenza a conservarsi
più integralmente e più a lungo in età
avanzata da parte delle attività maggiormente utilizzate
negli anni precedenti: il secondo fatto sottolinea l'influenza
esercitata dalla cultura nel favorire il realizzarsi delle
potenzialità individuali e nell'ostacolare" un
processo di omologazione "in termini di appiattimento
verso il basso" nei livelli "di comportamento ".
In ambito di osservazione geriatrica il medico adotta un'ottica
parziale ,isolando la malattia dalla persona malata e discostandosi
da una visione (unitaria) che contempli il contatto con bagaglio
culturale, assetto relazionale, convinzioni morali ed ideologiche
dell'individuo. Questo complica il poter distinguere tra "patologia
dell'invecchiamento, ed invecchiamento stesso". Il vissuto
del paziente e la sua storia interagirebbero sulla sintomatologia,
farebbero da volano ai sintomi, che si ha tendenza a valutare
meri ed unici effetti del processo morboso. "Presso i
primitivi che conoscevano il corpo e non l'organismo, la malattia
aveva un significato sociale ,e come tale, era qualcosa che
si poteva scambiare nel gruppo" . Pouillon n'afferma
il " valore iniziatico" presso il popolo dei Dangaleat,
ove," in segno di elezione", la malattia" non
era vissuta individualmente, ma scambiata come tutte le cose,
in quell'ordine simbolico che faceva di ogni evento una relazione
sociale ricca di senso."
Frequentemente nella presa in carico di un utente anziano
la struttura dei servizi sanitari ed assistenziali tenderebbe
a patire di un imbrigliamento ,valutato come inevitabile dal
suo stesso interno, e genericamente imputabile all'apparato
burocratico : nel complesso ambirebbe offrire un'immagine
di efficienza, ma sconterebbe gli effetti di una modalità
organizzativa efficace solo per parti ,considerata la dichiarata
complessità delle strategie negli interventi d'assistenza
alla persona. Facilmente si alimenta nell'utente la convinzione
di dialogare con un interlocutore poco flessibile ,che manifesta
margini di risicata duttilità nel fronteggiare eventuali
verifiche e riflessioni in corso d'opera. In qualche modo
viene sottolineata la discrepanza fra erogazione dei servizi
e gestione delle risorse.
Le organizzazioni dei servizi alla persona, "anziché
porsi al servizio del cliente" sembrano in realtà
costringere" il cliente a porsi al loro servizio(affrontando
le inefficienze nella forma suprema delle lentezze e delle
lungaggini nella fornitura del servizio; accettando di porsi
in un situazione di impossibilità di dialogo e di lagnanza
circa la qualità del servizio; attivando modalità
di costituzione di processi organizzativi occulti, informali,
paralleli nell'antiquata logica del baratto e della pressione
personale; pagando in definitiva il doppio per qualche cosa
che vale la metà)".
La selezione degli interventi alla persona non autosufficiente
e non autonoma necessita di un modello organizzativo operativo
a breve termine e funzionale a tutto campo. Permette di pensarci
vecchi attraverso immagini di altri vecchi in forma meno desolata,
non connotata da quella passività avvilente che fantasie
di dipendenza ed angosce da separazione disegnano come invivibile.
Il corpo che supponiamo nostro da vecchi, con articolazioni
poco flessibili ,ma ancora in grado di fare movimenti, con
la memoria che ha deficit, eppure ancora soccorre, in presenza
di organi meno brillanti , che pure assolvono, seppur in percentuale
ridotta, ad una loro funzione, reincarna la faticosa e difficile
opera di integrazione fra quanto non è più e
quanto ancora può (e deve) bastare.
Il sentimento più rappresentato è il bisogno
di essere garantito, seguito e rispettato ,mai abbandonato:
la richiesta di miglioramento dei moduli organizzativi maschera
anche il bisogno di non essere presi alla sprovvista, magari
aspirando al possesso di un corpo immutabile. Il presente
rischia di essere percepito poco attivo e ,per una sorta di
compensazione, si cerca di rendere gli altri attivi ed attivanti,
anche quando ci si ritrae dalla relazione. Se viene immediato
convenire che in ognuno di noi la vecchiaia non va subita
ma neppure usata come arma per insostenibili rivendicazioni
ed ancor più sottili ricatti o mascherate manipolazioni,
permane lo sconcerto quando si tratta di venire a patti con
la gestione delle condizioni di vita che sembra contraddire
la proprietà della vita.
Non ho cuore ,dicono i nostri vecchi, non ho risorse, non
ho un futuro che posso sentire ancora mio ,nel quale potermi
proiettare e pensare di esistere, tranne che pezzi del mio
corpo che, curati, possono ridarmi una certezza (in percentuale)
che sia ancora mio ed io possa abitarlo con la speranza realistica
in una vita possibile.
La repentinità della morte nell'altro, la malattia
cronica, anche invalidante, la patologia inguaribile, possono
innescare reazioni di prevalente inquietudine, di paura, di
ansia, di isolamento emotivo, perché la nostra inconscia
e narcisistica parte onnipotente non ammette la possibilità
di affrontare la spietatezza della morte e l'ineluttabilità
nella nostra morte.
IL TEMPO DEL COMMIATO La cultura occidentale dimostra
di non avere un buon rapporto con la morte ,perché
l'omologa come nemica: tanto più la teme tanto maggiori
( e maggiormente sofisticati) sono gli espedienti razionali
nel volerla combattere.
Usualmente operiamo distinzione fra una morte biologica,
denunciata dalla fisiognomica del cadavere, una mia morte
ed una tua morte.
Galimberti afferma che " nella sua generalità
la morte è sottratta al simbolico per essere affidata
allo sguardo clinico che, sezionando il cadavere, scopre la
"verità" della malattia, e quindi della vita
che nella malattia ha urtato quotidianamente. Non più
degenerazione di un corpo, ma fondamento di un sapere, questo
è diventata la morte dal giorno dopo in cui ,aprendo
i cadaveri, la medicina ha costruito se stessa sotto il segno
della difesa strenua della vita come valore assoluto che si
oppone a quel negativo assoluto che è la morte".
In un sistema di comunicazione quale il linguaggio la parola
morte è definita nella sua essenza come opponibile
ed ostante quanto ritenuto vitale ed attivo; scatena senso
di repulsione e paura, sia nelle vesti di "morte anonima"
,quella di colui con il quale non abbiamo costruito legami,
sia nelle sembianze drammatiche di "morte violenta",
perché spietatamente ci costringe alla separazione
da quanto conosciamo fuori di noi ,togliendoci (al)la persona
con cui abbiamo intessuto trame di affetto, amicizia, conoscenza
e consuetudine.
Possiamo , nelle ombre sfuggevoli che costruisce il pensare,
rappresentarci della nostra morte una sola qualità,
"l'immanenza", ed insieme immaginarla nel divenire
del tempo legata alla percezione di sentirci nel mondo?
Più frequentemente sperimentiamo davanti alla morte
il sentirci sodales , perché ci percepiamo meglio "uniti"
contro la morte che nella bellezza e problematicità
della vita: la cultura occidentale avversa dell'incontro con
la morte il significato dell'entrare a fare parte di un destino
comune .Nel rituale dei sussurri, che scandiscono il commiato,
si rinforza la segreta ed indicibile pretesa di osteggiare
un pericolo che ci accomuna. Spesso ,in caso di catastrofi
naturali( o indotte dall'uomo stesso),transitiamo nella percezione
di morituri, rivendicando contemporaneamente il diritto a
sentirci in attività di viventi.
La medicina considera la morte un problema biologico affrontabile,
perché è possibile ricondurlo con linearità
asettica alla distruzione o al degrado alterato di quelle
strutture che, garanti di funzioni, rappresentano un substrato
indicatore di funzionamento in un organismo. Per la scienza
medica la necessità di combattere la malattia trova
nell'istituto della cura l'avvallo ad una sfida augurata(
e voluta) possibile, il guarire. Riconoscere nella morte il
fallimento narcisistico implicito al guarire rende esplicitamente
incongruente la relazione con il malato e fa avvertire di
essere fuori bersaglio all'interno della relazione con la
persona che sta morendo .La comunicazione tende a farsi improvvisamente
intermittente, poi periferica e sfuggente, come se si cercasse
di volgere lo sguardo in qualunque altra direzione tranne
che negli occhi di chi sta lasciando la vita , o si prepara
a farlo. E' un contatto che impatta in modo destrutturante
con la realtà presente della nostra vita, non rappresenta
solo il distacco da una persona .
I progressi delle conoscenze e le possibilità terapeutiche
in medicina hanno portato ad una suddivisione dell'uomo in
frammenti sempre più piccoli: medico ed operatore sanitario
non riescono a dare alla morte in ospedale un significato
in grado di integrarla in una visione filosofica. Difficilmente
possono permettersi di tradurla in un'esperienza collettiva
scandita e legittimata nel rito. Piuttosto esiste un rituale
della morte che sempre più si diversifica dal rito
dell'accompagnamento presente in altri popoli ed altre epoche.
E' sperimentata la consistenza di un binomio fallimentare,
perché tanto più alto è il potenziale
della strumentazione tecnologica nel prolungare la vita, tanto
maggiore è il dolore che deriva dalla sconfitta delle
tecnologie e dei presidi farmacologici .Così la rete
dei rapporti fra medico, morente e familiari diventa una gabbia
relazionale perché ognuno , mentre è alla ricerca
della sua verità, combatte da solo contro l'angoscia.
Siamo molte volte davanti ad una paralisi della comunicazione,
che viene rianimata da una frenesia tecnologizzata ,per sedare
l'ansia, e riassettata in un' asetticità relazionale
,per contrastare il senso di impotenza.
Chi è destinato a morire è per lo più
consapevole di ciò: a volte parlare con lui serve ad
aiutarlo, perché lo libera e non falsa né interrompe
il contatto con le sue paure.
Per chi ritiene l'emozione espressione di debolezza e la
razionalità invece una forza ,parlare di morte significa
dare voce alla paura di abbandonare e di essere abbandonato.
Se i messaggi sono chiari, il morente comprende il senso della
sua esperienza e riesce ad integrarla attraverso una sofferenza
soffribile. Se i messaggi del morente sono accolti e compresi,
è un'esperienza che libera chi lascia e chi deve accettare
di essere lasciato. Esiste un modo sano e vero di morire,
con dignità e consapevolezza ,perché un'accettazione
della morte autentica mette la persona in condizione di sentire
in modo più vero i significati della propria esistenza.
Sono le cose del passato le prime ad essere rimpiante, poi
è il mondo esterno a perdere d'interesse per il morente
che, attraverso la sensazione del contrarsi del tempo, allontana
cose e visi per potersene separare.
Se la vita non viene prolungata con mezzi artificiali e
la famiglia del morente accetta di lasciarsi andare alle emozioni
( e di lasciare andare il proprio congiunto), la persona sarà
aiutata a vivere la "sua esperienza di morte" con
pacatezza ed in uno stato di vera accettazione .
Resta il dolore insopportabile in chi resta. Il lutto è
una straordinaria e dolorosa risorsa perché rinsalda
il legame con la persona scomparsa, attraverso un processo
di comunione unico e particolare. E' come se la sagoma fredda
del cadavere, nel momento in cui non trasmette più
alcun segnale, attivasse in chi rimane processi culturali
modulati nelle più diverse forme.
Lucidamente ne ha espresso il tormento Luigi Pirandello
che al momento della morte della madre si trovava all'estero:
"passarono dunque alcune ore tra la morte della madre
ed il momento in cui il figlio n'apprese la notizia".
Pirandello pensò che fino al momento in cui "non
aveva avuto la notizia della morte della madre, dentro di
lui aveva continuato a pensarla viva. Comprese, dunque, che
nella sua mente la madre poteva vivere indipendentemente dal
fatto che vivesse veramente, perché lui poteva continuare
a far vivere sua madre dentro se stesso anche se lei non c'era
più. La morte della madre sanciva solo che lei(madre)
non avrebbe più potuto pensare a lui(figlio) nella
sua mente di madre". E concluse ,dunque, che lui era
morto dentro sua madre.
Nel processo del lutto si spegne "l'immagine di noi
negli altri" mentre prende vita dentro di noi , nella
forma della rappresentazione," la presenza dei nostri
cari morti". L'elaborazione del lutto rappresenta la
capacità della nostra mente di vivificare la presenza
di qualcuno fisicamente morto. Il rito funerario indiano ,in
caso di morte di un'infante, obbligava la madre a seguirlo
ed a bruciare col cadavere del bambino nella stessa catasta
di legno. In qualche modo è mantenuta nel processo
del lutto una simile analogia: noi partecipiamo " nelle
fantasie inconsce " di quell'ardere e consumarci simbolico:
soffriamo come se nella persona che muore morisse una parte
di noi. La sofferenza nella quale ci sentiamo imprigionati
esprime un riparare simbolico al dolore dell'altro dal nostro
interno. Ci fa risentire il legame (e nel legame) e la fatica
a rinunciarvi per la forma intangibile che ne dà il
ricordo. La rabbia che si prova denuncia l'aggressione da
parte di un nemico cattivo ed onnipotente , artefice vituperato
della scomparsa di qualcuno a noi caro ,perché ci ha
strappato qualcosa di nostro. Contro quel nemico , consapevolmente
e non, indirizziamo sentimenti di odio e disperazione: in
qualche modo sentiamo di affrontare un duello che sappiamo
impossibile.
Pensare ed immaginare la morte mette dunque continuamente
in discussione il nostro potere di vivi: è questo potere
di vivi che vogliamo far coincidere con un potere sulla vita,
intesa come quintessenza del vitale di cui a piacimento poter
disporre, non costretti ad abdicare al bisogno di conservare
senso al fluire dell'esistenza , senza risarcimenti e scorciatoie
in grado di coltivare l'illusione in un qualche diritto da
rivendicare.
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