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Study of an old Man's Profile - Galleria degli Uffizi - Firenze
Prestazione professionale, performance e cura. Aspetti terapeutici nella relazione con l’anziano svantaggiato cognitivamente Torna agli editoriali

di
Rita Farneti

E parlavamo, scambievolmente, senza dire.
Ascoltavamo la gara dei secondi,
la corsa impazzita dell'orologio,
l'incommensurabile sonorità del silenzio.
Poi, per un attimo, di fronte alla paralisi
dei nostri visi il tempo ebbe pietà.
(Liberamente rielaborato da Emily Dickinson)

L'ageism,la motivazione alla relazione e,soprattutto, il controtransfert ,che si sviluppa nell'operatore sanitario durante le sequenze dello scambio comunicativo con l'utente anziano, influenzano in modo significativo la performance ed incidono sulla modalità e sulla qualità della prestazione erogata .In letteratura(Kane 2000) le ricerche su attitudini e competenze gerontologiche degli operatori acquistano una sempre maggiore importanza poiché le figure professionali che si prendono cura di vecchi in condizione di svantaggio sono continuamente sollecitate ad approfondire il proprio modus operandi ed a confrontarsi con le rappresentazioni del processo di invecchiamento evocate dalla relazione di aiuto con l’anziano. Spesso accade che la disponibilità verso l'anziano si colori di un'ambivalenza anche molto forte,perciò sia le competenze possedute dall'operatore sia la consapevolezza della modalità con cui si declina lo scambio comunicativo assumono un peso non da poco per costruire una relazione di aiuto umana,una prestazione efficiente ed una cura efficacemente soccorrevole.

Sfida tanto più impegnativa quanto più forte è la tendenza ad occuparsi della malattia della persona piuttosto che della persona che è anche malata..

Da studi condotti sulla disponibilità degli operatori a lavorare con un particolare tipo di utenza (Kane 1999, Beall 1992,Dieckmann 1988) è emerso che alcuni (operatori ) dichiaravano di preferire il lavoro con i tossici, con i senza fissa dimora, con i malati affetti da HIV ed AIDS , con alcolisti piuttosto che con anziani affetti da DA. Se da un lato va evidenziato che modalità comunicativa e relazionale variano da gruppo a gruppo, da comunità etnica a comunità etnica, dall'altro va sottolineata la “ particolare “ forma di rispetto e considerazione di cui in alcuni gruppi etnici gode il vecchio nonché la frequente associazione della demenza ad una sorta di nemesi o stigma genetico. Per alcuni lo stigma si identifica ipso facto con la patologia psichiatrica,espressione devastante di un sé alienato,per altri costituisce una maledizione/ punizione caduta sulla persona,per altri,ancora, è inesorabilmente tradotta come esplicito ed indiscusso segno di vecchiaia. L'influenza dell' ageism (e la consapevolezza di questo meccanismo) nell'interazione fra operatore ed utente acquista dunque rilevanza sempre maggiore per raccogliere elementi utili a favorire nel primo interlocutore l’acquisizione di una più raffinata e proficua conoscenza delle problematiche del secondo .Tale modalità si colloca nella prospettiva dell'offerta di un servizio “costruito sui bisogni e centrato sul benessere” dell’utente. La diversa modalità di approccio verso anziani (e ,soprattutto, anziani con demenza )si articola non solo all'interno delle diverse etnie sociali,ma soprattutto fra coloro che svolgono professioni sanitarie e fra coloro che con la salute degli utenti hanno a che fare dal punto di vista economico e giuridico.

Ageism – atteggiamento culturale che interpreta la vecchiaia come condizione negativa.Su tale schema poggia una modalità di entrare in relazione con l'anziano associato a soggetto poco o mal funzionante dal punto di vista cognitivo, “oggettualizzato dalla sua stessa malattia” e,dunque,svalorizzato(n.d.r.).

Controtransfert – Insieme delle reazioni per lo più inconsce dell'analista alla persona dell'analizzato e, più in particolare , al suo transfert.

E’ abbastanza usuale,quasi scontato,dopo la laurea in medicina indirizzarsi nella scelta di una specializzazione,ma sono pochi coloro che si orientano verso la gerontologia o che scelgono di lavorare con anziani con deficit cognitivo. Una possibile spiegazione potrebbe essere la paura di essere assimilati a professionisti di serie B,che trattano soggetti oggettualizzati dalla demenza e che per di più esercitano una professione dai minori introiti finanziari. Altra possibile spiegazione potrebbe rinvenirsi nella paura di perdita di immagine in professionisti trattanti soggetti la cui manutenzione ordinaria è resa gravosa dall' essere preda “stabile” di vecchiaia e malattia. Ma,soprattutto,l’ostacolo che esalta la difficoltà ed anche il diminuito interesse a lavorare con anziani affetti da DA sembra essere la discriminazione basata su stereotipi o generalizzazioni concettuali inerenti l’anziano, un costume culturale quasi apparentato ad atteggiamento gerontofobico , a vari livelli pervasivo in ogni professione. Non è inconsueto ascoltare professionisti esprimere il semplicistico convincimento che la maggior parte degli anziani sia senza ombra di dubbio affetta da smemoratezza...Cosi’ la smemoratezza diventa attributo indiscusso della vecchiaia. E' complesso poter (e saper) definire quale sia la normale fisiologia dell’invecchiamento e quali,invece, possono essere le fasi con valenza patogena nell'invecchiamento. Spesso accade di ascoltare commenti sugli anziani, specialmente su coloro che sono percepiti “eccezioni” all’interno degli schemi ipersemplificati dell’ageism. Un esempio potrebbe essere dato dalla frase ” E’ sorprendente la sua lucidità nonostante l’età avanzata…”Diffusa è la disposizione interiore che guarda alla vecchiaia con imbarazzo, confermando lo stereotipo concettuale che vede nel soggetto anziano un elemento improduttivo,dunque un peso morto per il futuro. Ne consegue che le risorse assegnate agli anziani siano sempre più esigue e, soprattutto, la percezione in negativo della vecchiaia trovi un solido aggancio in una politica sanitaria finalizzata ad ottimizzare i servizi(a tagliare,dunque,supposti rami secchi) o in campagne pubblicitarie che ,esaltando single o coorti di giovani, finiscono per assegnare loro il ruolo di consumatori “privilegiati”.Costituisce più che lodevole obiettivo evitare di cadere in un atteggiamento gerontofobico, anche se gli anziani appaiono spesso vittime designate di processi di esclusione ed emarginazione o sono ,per lo più, facilmente letti come proprietari di un futuro alienato, oggetti sempre meno meritevoli di attenzione, e ,dunque,di interazione attiva in quanto soggetti “inesorabilmente preda di malattia”…Ancora pochi eventi supportano servizi per anziani svantaggiati cognitivamente,mentre rappresentazioni, preconcetti, pregiudizi e stereotipi, come ombre insidiose, aleggiano fra operatori sanitari e fra chi operatore non è ed appartengono in varia misura all’immaginario collettivo dei diversi gruppi etnici. Ricerche in merito(Kane 2000) irrobustiscono il convincimento che la demenza è accadimento che appartiene “naturalmente ed inevitabilmente”alla vecchiaia

Se l’operatore sanitario che lavora con anziani e,soprattutto,con anziani cognitivamente svantaggiati si dichiara “razionalmente consapevole” della dimensione sociale dell’ageism, può risultare,paradossalmente, più complesso approfondire quanto profonda( e profondamente radicata) sia una simile rappresentazione: offrendo una prestazione all'anziano in svantaggio può interrogarsi quanto la cura offerta sia realmente in sintonia con bisogni non verbalizzati di un soggetto già oggettualizzato dalla malattia, già guardato da una prospettiva svalorizzante.

Poter modificare lo schema concettuale che definisce la vecchiaia “età della perdita e della malattia” consente di acquisire una più raffinata consapevolezza in merito a ciò che gruppi e strutture sociali possono conquistare,favorendo un processo di più equa distribuzione delle risorse .

Alcuni operatori sanitari possono scegliere di non lavorare con anziani ,e con anziani affetti da demenza, perché consapevoli di quanto modesta sia la conoscenza in merito alla problematicità di questi soggetti,altri (operatori) ,invece,possono nutrire scarso o nullo interesse per la gerontologia,altri ,ancora, manifestare perplessità e valutare una carriera professionale in geriatria non adeguatamente remunerativa ed altri ,infine, possono provare forti resistenze ad occuparsi degli anziani poiché il confronto con lo spettro della vecchiaia non consente di allontanare l’inevitabile – ed ,ahimè, sempre più evidente - insulto somatico perpetrato ai danni di un sé narcisistico che pretende di conservare un corpo immutabile…Alcuni,invece, non desiderano lavorare con anziani dementi perché qualche loro congiunto ha sofferto di demenza e non amano ripercorrere una strada fatta di ricordi tristi ed ancora dolorosi. Ed altri non offrono spiegazione alcuna sul perché del rifiuto ad occuparsi di anziani svantaggiati cognitivamente.

Nel lavoro con gli anziani la consapevolezza della motivazione diventa importante per una più raffinata ed approfondita comprensione dei processi mentali che inducono negli operatori l'adozione di un particolare comportamento .A volte si tratta di assumere su di sé il peso di decisioni percepite di natura complessa, con effetti impegnativi e nell’immediato per l'utente. Queste decisioni possono essere prese sia raccogliendo i dati relativi al malato,sia valutando i dati forniti dalla famiglia del malato stesso.

La performance dell’operatore sanitario subisce l’influenza di molti fattori,consci ed inconsci,della propria esperienza di vita,derivanti da codici valoriali personali( che includono concetti come benevolenza,umanità , disponibilità e generosità),dalla percezione di autoefficacia nell’uso del potere dato dal ruolo,dalle aspettative della famiglia del malato,dal livello di self-esteem e dalla paura di dover rispondere per omissioni o eventuale malpractice sull'anziano….Wilderom(1990) ha individuato ”elementi ricorrenti “ nella motivazione di presa in carico di persone affette da demenza, sottolineando che i medici con sufficienti conoscenze e competenze di anziani svantaggiati cognitivamente erano sempre più motivati nel lavoro di cura e gli operatori che si erano relazionati in modo soddisfacente con anziani quando molto piccoli erano molto più motivati e desiderosi di offrire aiuto e prendersi cura dei malati,ipotesi confermata anche da Green (1983). Gomez (1991)aveva ipotizzato in coloro che si erano presi cura di un anziano, o avevano vissuto con persone anziane significative e positive esperienze, un elemento favorevole per l'indirizzo ad un corso di studi/ specializzazione in gerontologia.

Kane ha verificato che chi ha lavorato con anziani –ed anziani svantaggiati cognitivamente - non solo continua a lavorare bene con gli anziani,ma conferma una tendenza a scegliere di lavorare con la persona anziana piuttosto che con la persona giovane.

Elementi che confermano dunque una possibile “predisposizione” al lavoro di cura dell'anziano possono essere dunque a) l' avere avuto un contatto interpersonale particolarmente intenso ed affettuoso con un anziano,anche in condizioni di svantaggio b) percepirsi sufficientemente dotato di conoscenze e competenze e nutrire una genuina disponibilità verso i vari aspetti di una cura a lungo termine.

Esperienze e motivazioni hanno dunque un ruolo di rilievo ed un peso non modesto nel lavoro con anziani affetti da DA o da altre forme di demenza,anche se molti potrebbero semplicisticamente concludere trattarsi sic et simpliciter di un atteggiamento che traduce la volontà di essere generosi col prossimo e di fare ciò che si ritiene meglio per lui. Spesso fare ciò che per l’utente può essere definito “il bene o il meglio” traduce l'accavallarsi delle varie percezioni del soggetto malato con il comporsi e ricomporsi dei vari atti della cura, sequenze e vissuti ormai noti agli addetti ai lavori, pungolati a saper mostrare un buon livello di competenza , duttilità e comunicazione adattiva nella relazione col malato.

E' dunque utile la consapevolezza di sentirsi attori della relazione - e non solo fornitori di una buona prestazione – sentimento che si assimila ad una specie di bussola,o cassetta degli attrezzi personali, che consente di navigare nell’immediatezza situazioni di emergenza con “problemi anche seri ed urgenti,sviluppatisi all’improvviso”.Così la prestazione può davvero confermarsi soddisfacente per l’utente ,mentre in caso contrario può essere percepita inutile, mal umanizzata ,invasiva,asettica,afflitta da distanziante e mortificatorio paternalismo nei confronti del malato...

Coloro che si sono specializzati nella cura di anziani cognitivamente svantaggiati ammetteranno che è molto vantaggioso saper ( e poter) armonizzare l’ineccepibilità della prestazione professionale (per l’operatore) con i bisogni reali di benessere psicofisico (per l’utente)…Soprattutto quando l’operatore sanitario è invischiato in problematiche complesse ,che contemplano la percezione dell’altro dentro di sé e la rappresentazione di sé nel mondo dell’altro , declinate in vissuti che spesso ostacolano la possibilità di adeguare la prestazione al target di una performance autenticamente puntata sul benessere dell’utente,prescindendo da semplicistiche valutazioni tecniche ,tradotte da comportamenti di routine,o basate troppo spesso e sinteticamente su quanto fino a quel momento si crede di conoscere dell’utente.

Se la relazione di aiuto si fonda sulla fiducia,sull’empatia e sulla professionalità,l’utente anziano cognitivamente svantaggiato diventa particolarmente sensibile ad un uso improprio del potere da parte dell’operatore. Può capitare si sviluppino situazioni complesse , un' altalena di priorità fra desiderio di intimità e bisogno di distacco, fra necessità di duttilità e bisogno di autorevolezza per gestire la resistenza al cambiamento (da parte dell'utente)rappresentato da modifiche impellenti dettate da peggioramento.In letteratura (Kapp 1996,Scogin 1986) svariati sono gli esempi di comportamenti errati che possono culminare in provvedimenti costrittivi sull'anziano al fine di guadagnarne la obbedienza piuttosto rafforzarne la collaborazione...Infatti molte volte si fanno cose,s’impongono modalità sulle quali il paziente anziano prima manifesta accordo,poi disagio,infine rifiuto,un combattimento che sembra sfiancante…Per di più le famiglie degli utenti sono in grado di influenzare la motivazione dell’operatore e le decisioni che si presentano più e più volte nella vita di un utente svantaggiato cognitivamente, in particolar modo se donna e se ancora in possesso di un residuale funzionamento cognitivo.Anche se agli operatori capita di ascoltare con attenzione le varie tonalità del “coro familiare” , ci può essere un tentativo di manipolazione da parte della famiglia .Queste prese di posizione all'interno della famiglia dell’anziano possono tramutarsi in convinzioni assolute ingenerando nell’operatore sanitario dubbi “su semaforo verde a procedere” ed eventuale specificità nella “manutenzione” dell’anziano..Oppure una decisione resasi necessaria durante una fase del periodo di cura può fare emergere problematiche incistate nella famiglia dell'utente ,poco attinenti al contesto della prestazione professionale dell'operatore.Può accadere che nella relazione di cura siano veicolate,in qualche modo traghettino ,in modo non sempre consapevole ,problematiche attinenti alla costellazione psicologica della famiglia di quell'utente, per cui la malattia diventa anche una corsia in parallelo per permettersi sentimenti e vissuti che con la malattia in senso stretto poco hanno a che vedere. Talvolta invece i desideri dei membri della famiglia dell’anziano possono essere espressi in modo così raffinato attraverso un'intellettualizzazione delle condizioni di cura da sopravanzare sui reali bisogni e desideri di quell’anziano, loro familiare,..oppure possono essere semplicisticamente tradotti come realistiche necessità sulle quali diventa superfluo soffermarsi con ulteriori riflessioni.

Gli operatori sanitari possono trovare difficile dedicare tanto tempo ed ascolto al mondo del paziente,specialmente se il pensiero dell’anziano non è articolato in modo chiaro,se è espresso attraverso la comunicazione non verbale e se,soprattutto, rappresenta l’esatto contrario rispetto ad intenzioni , rappresentazioni , desideri manifestati dalla famiglia dell’anziano. Quando le figure di rilievo nella famiglia dell’utente sono in disaccordo rispetto a ciò che bisogna fare,non è inconsueto per l’operatore rischiare di “essere tirato per la giacca” per confermare altrui punti di vista o,addirittura, trovarsi invischiato nei “giochi” relazionali della famiglia. In questi casi il vissuto dell’operatore sanitario può modularsi dall’accoglimento del bisogno del cliente al compiacimento del coro familiare, dall’astensione da qualsivoglia contatto emotivo alla gestione di una prestazione da meccanico del corpo per risparmiarsi un carico emotivo (temuto,forse) eccessivo.Talvolta le buone intenzioni dei familiari, in parallelo al supporto fornito dall’operatore, mirano a trovare giustificazione per un intervento che può non essere in sintonia con bisogni e preferenze dell’utente.Indubbiamente risulta più facile per l’operatore ascoltare il punto di vista di più giovani membri della famiglia e discostarsi dalle preferenze espresse dall’utente,specialmente se l’utente anziano versa nella più totale confusione…Nei casi in cui c’è disaccordo o fraintendimento fra i vari membri della famiglia sulla scelta del miglior intervento, gli atti successivi dell’operatore possono essere influenzati dalla paura dei conflitti e dalla necessità,quindi,di chiamarsi fuori offrendo una prestazione “tecnica” per non essere eccessivamente caricato di responsabilità ritenute ,forse, anche improprie...

Questo sistema interno viene ovviamente influenzato da esperienze personali,nonché da attitudini,schemi concettuali,codici valoriali ,dal vissuto che si ha dell’utente e dal livello di percezione della modificazione del vissuto. Dunque un operatore sanitario con la consapevolezza della propria storia ed esperienza di vita, in grado quindi di gestire l’influenza rappresentata dai propri vissuti ,capace di decisionalità nell’offerta di prestazione ad un anziano svantaggiato, è la migliore opportunità per un anziano svantaggiato cognitivamente.

Fra gli operatori della salute mentale la consapevolezza dei vantaggi che gli utenti ricevono da un raffinato caregiver è stata sovente occasione di rilettura ,specialmente dal punto di vista dei tradizionali modelli psicodinamici… Quando un operatore nella relazione di aiuto con un utente è”agito” dal cliente,il risultato che ne deriva si definisce controtransfert,per Barker(1999) un insieme di consce ed inconsce reazioni al cliente.

Altri autori considerano il controtransfert l’insieme di emozioni,desideri e modalità difensive, per lo più inconsce, ingenerate da relazioni oggettuali intrapsichiche arcaiche,interferenti con la percezione oggettiva dell’altro ed in grado di rendere complessa e non agevolmente decifrabile l’interazione con l’altro. Queste reazioni nell’operatore possono distorcere i dati oggettivi in suo possesso e contaminare la relazione di aiuto, trasformandola in relazione patogena all’interno della quale l’operatore della presa in carico è invischiato in quel corredo di percezioni dell’altro che “incomoda” cuore e mente.

Nella relazione di aiuto l’offrirsi alla richiesta dell’altro attraverso quello che l’altro ci fa conoscere di sé (e di noi) rappresenta una modalità nella quale non vengono fornite assicurazioni in anticipo,ma possono modularsi sia il più alto livello di intimità e vicinanza sia il più desolante sentimento di incomprensione e solitudine…

Alcuni autori(Gatz 1992,Strean 1986) affermano che spesso le reazioni dell’operatore distorcono e contaminano la relazione di aiuto. Altri autori(Semel 1993,Burlingane 1995) identificano nel controtransfert la testimonianza della relazione che l'operatore ha con se stesso ed con i propri oggetti interni ,“accesa dal e nel” vissuto dell'altro. Queste reazioni dell’operatore possono essere risposte sia soggettive sia oggettive.Il controtransfert oggettivo riguarda un corrispondere che è condiviso –letto ed interpretato per lo più concordemente- dalla maggior parte degli operatori,come risultato dell’interazione con quel particolare utente.Il controtransfert soggettivo è la risposta dell’operatore scaturita dalla storia personale(esperienza di vita e vissuto della medesima).Un esempio di risposta soggettiva potrebbe essere l’antipatia nutrita da un operatore nei confronti di un particolare utente,utente che un altro operatore può trovare ,invece,più piacevole..L’operatore può essere conscio di ciò, ma può anche non esserlo ,così come può essere consapevole \ inconsapevole delle motivazioni delle sue reazioni. In alcune reazioni di cui l’operatore è consapevole,è lui per primo in grado di verbalizzare associazioni o identificazioni con aspetti e persone che hanno fatto parte della propria vita ..

Perchè quel tale utente mi richiama tanto alla mente nelle reazioni il compianto nonno Mario !?!?!?

Perché quella tale utente assomiglia tanto nei suoi comportamenti alla povera defunta zia Maria?!…

E’ indubbio ,anche se per alcuni può apparire poco realistico, e forse attiene a strutture di personalità nelle quali il meccanismo di razionalizzazione è prevalente,che non si può avere sotto controllo tutto,ancor meno tutto può essere considerato pesabile e verificabile..

Il controtransfert soggettivo con l’anziano può essere il risultato di una esperienza personale irrisolta,problematica od ancora troppo conflittuale,specialmente per quanto riguarda il vissuto verso figure significative della propria esperienza di vita,ad es.genitori,caregiver,maestri…Gli operatori possono in questo senso esprimere una duplice identificazione con utenti e familiari..Ne scaturisce come conseguenza per l’operatore sia il percepire un ipercoinvolgimento avvertito eccessivo sia il bisogno di sganciarsi dalla relazione adottando una sostanziale anestesia comunicativa per evitare contagio psichico di contenuti-idee,ricordi,emozioni- temuti esorbitanti.Ipercoinvolgimento,distacco eccessivo e senso di rifiuto possono rappresentare aspetti ricorrenti nelle costellazioni relazionali costruite dalla coppia operatore-utente: alla relazione di cura, che declina un prendersi cura autentico, si arriva per gradi, toccando,anche ,molti spigoli...In alcune situazioni gli utenti anziani mettono alla prova attraverso una relazione alimentata da un vissuto nel quale tendono a rappresentarsi”particolarmente bisognosi, quasi piccoli” e l’operatore - un adulto che a tutto provvede - viene assimilato ad un genitore “grande ed infinatamente paziente”… In queste situazioni l’operatore potrebbe relazionarsi all'utente attraverso la sua parte bambina che comunica col proprio genitore interno particolarmente esigente nel volerlo buono e bravo. Perciò la percezione del controtransfert e la modulazione delle successive risposte emotive ci fanno chiedere :”ma in questa relazione… in realtà..in quanti siamo?”...

Smel afferma però che gli interrogativi ai quali l'operatore non trova agevole rispondere corrispondono più in profondità alla paura della morte (spesso messa fra parentesi o negata attraverso atti che prolungano la vita,a volte solo vegetativa, del singolo),operazione di bracketing molto usuale in chi lavora con anziani.Qualche volta le rimozioni hanno molta attinenza con l’ansia che ci dà la rappresentazione di noi “mortali morituri” e di quello che significa assumere un concetto quale la temporalità della (nostra)vita…Le risposte di controtransfert possono avere attinenza con il senso di essere mortale,come colui che è destinato alla morte,uno dei tanti componenti di quell’esercito di peones , fatto di umani, o riannodarsi al pungente senso di perdita sperimentato con la morte di persone a noi care .Indubbiamente la relazione con l'anziano ed una più compiuta consapevolezza dell’inevitabile processo di modificazione dato dall’invecchiamento porteranno molti operatori a riflettere sulla temporalità della propria ed altrui esistenza...Queste sono matasse complesse da sbrogliare ,rese ancor più complesse nel caso in cui operatori specializzati nell’assistenza ad anziani dementi siano costretti di continuo a confrontarsi con gli aspetti più tristi presenti nel tempo di vita,quali la perdita di autonomia , di orientamento spazio-temporale ,fino allo sfinimento ed al decesso.Alcune di queste perdite possono essere particolarmente dolorose e difficili per l’operatore.I professionisti che lavorano con anziani svantaggiati possono sperimentare livelli variabili di burn-out altrettanto tanto quanto un caregiver all’inizio del proprio percorso professionale.In alcuni casi la morte di alcuni utenti può far affiorare aspetti e temi che hanno attinenza con la loro esperienza .Laddove la perdita tocca nel profondo ,e successivamente insorge una particolare forma depressiva ,è possibile chiedere aiuto al supervisore clinico, dotato di strumenti adeguati ad assistere coloro che hanno bisogno di approfondire aspetti personali sollecitati dalla morte di un utente.L’introspezione promuove un dialogo analitico al fine di conquistare una sempre maggiore consapevolezza riguardo all’origine di pensieri,sentimenti,comportamenti. Questa introspezione può davvero ingenerare la domanda:”perché mi sento impaziente quando sono con questo cliente?perché non mi piace questo particolare utente? mi chiama alla mente qualcuno che ha avuto a che fare con la mia vita ? “Questi metodi introspettivi possono spingere l’operatore alla conquista di una maggiore consapevolezza ( insight ),analizzando la propria storia personale ed i suoi effetti nella quotidiana relazione di cura con gli utenti,offrendo anche a se stesso l’opportunità di migliorare un servizio,rafforzando la percezione di essere centrato nella relazione di aiuto alla persona malata.

Queste tematiche , utili all’inizio della professione, permettono a nuovi operatori di affinare la qualità della loro performance,ed a coloro che nella relazione di aiuto sono invece più consolidati di riflettere sui contesti della relazione offrendo un contributo esperito dal vivo.Gli operatori che lavorano con anziani in condizioni di svantaggio hanno la necessità di sviluppare la consapevolezza della pervasività dell’ageism altrettanto tanto quanto la consapevolezza di motivazione personale e controtransfert. Se l’ageism esiste a tutti i livelli gli operatori possono combatterlo identificando i vantaggi dati dal correggere una percezione errata della vecchiaia. Queste percezioni in negativo suggeriscono che alcuni possono sviluppare una più compiuta capacità di comprensione della propria motivazione personale attraverso la analisi delle ragioni che li spingono a quel tipo di professione altrettanto tanto quanto le ragioni che alimentano specifici tipi di intervento, riflettendo così sulla qualità e complessità della performance in relazione ad un codice etico e professionale responsabilizzante.

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Il presente lavoro è in corso di pubblicazione presso le Edizioni Imprimitur di Padova per la“Collana Quaderni di Cultura della Formazione”, diretta dal Prof.E. Guidolin

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