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La comunicazione al paziente del rischio: plausibilità è preferibile a probabilità. Torna agli editoriali

di
Enzo Grossi
Direzione Medica Bracco SpA - Milano


Introduzione

Il concetto di rischio ha pervaso la letteratura medica nelle ultime decadi tanto da divenire un argomento familiare. Il ricorso ai cosiddetti fattori di rischio è ormai ben saldo in molti ambiti della medicina, tanto che in particolari ambiti, come quello cardiovascolare, sono state create le cosiddette "carte del rischio", come la carta del rischio cardiovascolare del Progetto Cuore.

Questa carta, come è noto, permette di stimare la probabilità di andare incontro a un primo evento cardiovascolare maggiore (infarto del miocardio o ictus) nei 10 anni successivi, conoscendo il valore di sei fattori di rischio: sesso, diabete, abitudine al fumo, età, pressione arteriosa sistolica e colesterolemia.

Pochi articoli tuttavia hanno tentato di focalizzare la difficoltà ed i problemi che si possono incontrare quando si cerca di trasferire questo benedetto concetto di rischio dal suo habitat naturale, vale a dire dal livello della popolazione, al livello del soggetto individuale. Difficoltà e problemi di appropriazione personale dell'essenza dei concetti in primis, e successivamente di comunicazione degli stessi ad un paziente, per giunta anziano.

Nel 2005 un articolo di questo genere è stato pubblicato sulla rivista Lancet e merita di essere citato(1).

Il concetto di rischio medico trasferito al singolo individuo apre un interessante dibattito filosofico sull'uso appropriato del termine probabilità, che in questo breve editoriale cercherò di affrontare in termini semplici, senza ricorrere a particolari concetti matematici.
Come cercherò di spiegare, il ricorso al termine "plausibilità", legato alla logica sfumata, aiuterebbe molto di più il medico a comunicare efficacemente al paziente i concetti riguardanti il rischio medico in contrapposizione al termine "probabilità", legato alla logica bivalente.

L'uso delle probabilità è ostico per i medici

Un primo aspetto interessante è legato alla notevole difficoltà che i medici incontrano nel maneggiare disinvoltamente i concetti di probabilità.
H.G. Wells, il famoso scrittore di fantascienza, scrisse nel 1912: "Nella moderna società della tecnologia il pensiero statistico sarà un giorno necessario per un cittadino efficiente quanto la capacità di leggere e scrivere"(http://www.kirjasto.sci.fi/hgwells.htm).
Dopo quasi un secolo da questa enunciazione basta un'occhiata alla letteratura per essere colpiti da una mancanza, da parte della comunità medica, di comprensione statistica in generale e, specificamente, dei risultati delle moderne tecnologie in termini di probabilità.

Per esempio, a dottori con una media di 14 anni di esperienza professionale è stato richiesto di immaginare di usare l'esame del sangue occulto nelle feci per controllare il cancro colorettale . I parametri che venivano offerti come base del ragionamento erano i seguenti:

L'incidenza di cancro era dello 0,3%, la sensibilità dell'esame era del 50% ed il tasso di falsi positivi il 3%. Ai dottori fu chiesto: quale è la probabilità che qualcuno con un esame positivo abbia veramente il cancro colorettale? (La risposta corretta è circa 5%). Le risposte dei dottori sono andate dall'1% al 99%, con circa metà di loro che stimavano la probabilità come il 50% (la sensibilità) o il 47% (sensibilità meno il tasso di falsi positivi). Se i pazienti fossero stati informati di questo grado di variabilità e di questo analfabetismo statistico, si sarebbero sicuramente allarmati.

La probabilità che un test sia in grado di mettere in evidenza una malattia è espressa generalmente sotto forma di probabilità condizionale, ovvero, sotto forma di sensibilità del test.Nel caso della mammografia per raggi X, nello screening del cancro mammario, la sensibilità del test afferma essenzialmente questo concetto: "Se una donna ha il cancro mammario la probabilità che abbia una mammografia positiva è del 90%".

Questo concetto è spesso confuso con un altro, e cioè che, in caso di mammografia positiva, vi sia effettivamente un cancro mammario, con una certa probabilità.

In effetti quando ai dottori, cui erano state fornite le probabilità condizionate, fu chiesto di stimare la probabilità che una donna con un risultato positivo potesse avere effettivamente un cancro al seno, le risposte che si ottennero andavano dall'1% al 90% e pochi dettero la risposta corretta (che e'di circa l'8%). E' interessante notare che la maggior parte dei medici cui erano state fornite le informazioni in frequenze naturali dettero la risposta corretta o vi si avvicinarono molto.

Questi esempi servono a sottolineare il fatto che il ragionamento probabilistico, conseguenza inevitabile della logica bivalente, richiede una preparazione particolare e non risulta immediatamente comprensibile.

Il concetto di rischio e i rischi connessi al suo uso superficiale

Il dizionario ci dice che il rischio è la possibilità di andare incontro ad un fatto negativo, subire un danno o una perdita. Questa definizione è familiare alla maggior parte di noi quando pensiamo ad esempio alla possibilità di essere coinvolti in un incidente in auto o peggio in aereo.
Nel campo medico, come in molti altri contesti, la valutazione e quantificazione di un particolare rischio collegato alla evenienza di un evento dannoso e indesiderato è generalmente effettuata attraverso la teoria delle probabilità.
La medicina ha preso in prestito questo approccio da altre discipline che si sono sviluppate precedentemente come l'astronomia, la scienza delle assicurazioni e il soprattutto gioco d'azzardo, che ha maggiormente contribuito allo sviluppo della matematica delle probabilità già a partire dal 17° secolo. Ancora oggi, per eventi casuali ben definiti, la distribuzione delle probabilità connesse può essere facilmente determinata ricorrendo ai metodi sviluppati originariamente da Blaise Pascal (2).
Non dovremmo essere sorpresi da questa "contaminazione" dato che lo sviluppo della medicina moderna ha avuto luogo a partire dal 19° secolo, epoca nella quale le cause prevalenti di morte erano le malattie infettive di tipo epidemico.

E' abbastanza evidente che nel caso di un possibile incontro indesiderato con un patogeno e della conseguente trasmissione di una malattia infettiva esiste sicuramente un certo grado di casualità e ciò giustifica pertanto il ricorso alla teoria delle probabilità. La malattia in questo contesto può essere vista come l'uscita dello zero alla roulette.

Negli ultimi cinquanta anni, per lo meno nel mondo occidentale, lo scenario sanitario globale è drammaticamente cambiato e le malattie cardiovascolari , il cancro e le malattie degenerative hanno gradualmente dominato la scena superando le malattie infettive come principale causa di morte.
I vaccini hanno infatti virtualmente eliminato alcune malattie potenzialmente letali o invalidanti come il vaiolo, la difterite,il morbillo, la poliomielite. L'epidemia influenzale del 1918 ha causato più morti di tutte le battaglie combattute nel corso della prima Guerra mondiale. La disponibilità di antibiotici per combattere le polmoniti che causavano la morte come complicanza dell'influenza e la estensione della vaccinazione antinfluenzale ai soggetti anziani più vulnerabili hanno aiutato a ridurre i tassi di mortalità da influenza del 95%.

Le malattie croniche sono tuttavia diventate il principale e in gran parte irrisolto problema sanitario.
Queste affezioni a differenza delle malattie acute, si comportano come sistemi complessi, dominati dall'esordio graduale nel tempo da una patogenesi multifattoriale che tende a variare nel tempo.
Ne deriva che , a differenza delle malattie infettive, in cui il fattore contingente diventa determinante, vale a dire essere nel posto sbagliato al momento sbagliato, ed essere quindi esposti ad eventi random, nel caso delle malattie croniche degenerative la casualità è irrilevante ed è invece molto importante la causalità..
Vi è insomma sempre una buona una spiegazione del perché dell'evento, anche se molto spesso è complessa. Il problema infatti è quello di capire come e con che regole i diversi fattori in gioco si combinano per dare origine alla malattia in quel determinato soggetto. Questa complessità supera spesso le nostre capacità mentali di comprensione e ci obbliga a ricorre a modelli sofisticati, problema di cui ho parlato nel precedente editoriale dedicato al tema della complessità.

Plausibilità versus probabilità

L'uso della teoria delle probabilità per quantificare il rischio di occorrenza ad esempio di un evento cardiovascolare, starebbe a significare che questo evento si manifesta come un fenomeno "tutto o nulla", il che generalmente non è.
Un fenomeno tutto o nulla implica che la condizione del soggetto esposto al rischio dell'evento non cambia in relazione alla occorrenza attuale dell'evento.
Per esempio se l'evento consiste in una tegola che cade dal tetto in testa al malcapitato mentre cammina su di un marciapiede, non dovremmo aspettarci particolari fasi di transizione precedenti l'evento sfortunato, per lo meno a livello della vittima ( la tegola invece in qualche modo dovrebbe transitare attraverso uno stato di disequilibrio).
Nel contesto clinico al contrario, molto spesso, anche se l'evento ha luogo improvvisamente, assomigliando ad una tegola che cade sulla testa, basti pensare ad un ictus od un infarto,
esso può essere considerato come l'esito finale naturale di una condizione sottostante instabile ed evolutiva che ha predisposto per sua natura quel soggetto all'evento.
Allo scopo di spiegare meglio questo concetto possiamo prendere in considerazione il caso di un evento cerebro-vascolare in relazione alla presenza di una stenosi carotidea.
Noi oggi sappiamo che tutta una serie di parametri locali a livello della lesione aterosclerotica ( morfologia, grado della stenosi) e a livello dell'emodinamica ( circolo collaterale) e a livello sistemico generale ( sintomi clinici, malattie concomitanti, controllo di fattori predisponesti) deve essere tenuto in conto per poter computare la possibilità di occorrenza di un ictus.
Tuttavia per semplificare il nostro ragionamento noi possiamo assumere che è solo il grado di stenosi che influenza di fatto e determina causa in ultimo l'evento.
Per esempio quando il grado di stenosi raggiunge e supera, supponiamo il 90% del diametro del vaso, allora l'occorrenza dell'ictus è pressoché inevitabile.
Seguendo questo ragionamento un paziente con una stenosi del 50%, pur essendo perfettamente asintomatico ha una probabilità di avere l'evento in un certo lasso di tempo pari al 30%; mentre per converso per un paziente con una stenosi del 70% lo stesso valore salirebbe al 80%.
Il paziente di questo esempio è come se transitasse attraverso gradi diversi di plausibilità dell'evento parallelamente all'evolvere della stenosi carotidea, mentre il soggetto che passeggia lungo il marciapiede rimarrebbe sempre in una situazione "tutto o nulla".
In questo secondo caso saremmo autorizzati ad utilizzare la frequenza osservata di cadute accidentali di tegole sulla testa nella popolazione generale per quantificare il rischio di questo soggetto a subire l'incidente , ad esempio 1: 100.000, mentre nel caso del paziente con stenosi carotidea una migliore quantificazione sarebbe il grado di appartenenza del paziente all'insieme tipico di condizioni predisponesti l'evento, un concetto che è catturato molto efficacemente dalla logia fuzzy, o logica sfumata, una forma speciale di logica multivalente, contrapposta alla logica bivalente.

Fuzzy logic versus probabilità

Come ho già ricordato in un editoriale precedente, la teoria degli insiemi sfumati, inizialmente introdotta da Lofti Zadeh negli anni '60 dello scorso secolo [3] assomiglia al ragionamento umano nel suo uso di informazione approssimata e di incertezza per generare le decisioni.
Molti processi che hanno a che fare con il prendere decisioni ed il risolvere problemi sono troppo complessi per essere compresi quantitativamente. Ciononostante, gli esseri umani sono in grado di approssimarli, utilizzando una forma di cognizione "imprecisa" piuttosto che quella precisa. Questa logica è stata specificamente progettata per rappresentare matematicamente l'incertezza e la vaghezza e fornire strumenti formalizzati per trattare l'imprecisione intrinseca ai vari problemi. Per contrasto, il calcolo tradizionale richiede precisione fino al singolo bit. Poiché la conoscenza può essere espressa in un modo più naturale usando insiemi sfumati, molti problemi di ingegneria e di decisione possono essere grandemente semplificati.
Un insieme sfumato è una raccolta di oggetti che possono appartenere all'insieme non completamente, ma ad un grado intermedio di appartenenza, variante tra 1 (appartenenza completa) e 0 (totale non appartenenza), con la possibilità di prendere tutti i valori intermedi.
Zadeh ha impiegato il concetto di funzione di appartenenza, assegnando a ciascun elemento un numero nell'intervallo unitario, per indicare l'intensità dell'appartenenza. Zadeh, inoltre, ha definito le operazioni di base sugli insiemi sfumati essenzialmente come estensioni delle loro controparti nella logica convenzionale.
La logica sfumata rispetto alla logica standard è una generalizzazione, nella quale un concetto può possedere un valore di verità qualunque nell'intervallo compreso tra 0.0 e 1.0. La logica standard si applica solo a concetti che sono completamente veri (cioè hanno un valore di verità = 1.0) o completamente falsi (con un valore di verità = 0.0). Si suppone che la logica sfumata sia usata per ragionare su concetti intrinsecamente vaghi, come il concetto di "alta statura". Per esempio, potremmo dire che: " il Presidente Berlusconi è alto" con un valore di verità di 0.6.
A questo punto, è importante rimarcare la distinzione tra sistemi sfumati e probabilità. Entrambi operano sullo stesso intervallo numerico e, a colpo d'occhio, hanno valori simili: 0.0 rappresentante il falso (e non appartenenza) e 1.0 rappresentante il vero (e appartenenza). Però, c'è una distinzione da fare tra i due enunciati: l'approccio probabilistico rende l'enunciato in linguaggio naturale "C'è l'80% di probabilità che Nelson Mandela sia vecchio", mentre la terminologia sfumata corrisponde a: "Il grado di appartenenza di Nelson Mandela all'insieme dei vecchi è 0.8". La differenza semantica è significativa: il primo punto di vista suppone che Nelson Mandela o sia vecchio o non sia vecchio; semplicemente e solo abbiamo l'80% di probabilità di sapere in quale insieme Nelson Mandela si trovi. Per contrasto, la terminologia sfumata suppone che Nelson Mandela sia "più o meno" vecchio, o qualche altro termine che corrisponda bene al valore di 0.8.
L'uso della logica sfumata, nel trattare con un certo grado di incertezza, ci permette di sfuggire alla trappola della teoria delle probabilità, rendendo il significato di una certa predizione più facile da comprendere.
E' importante reiterare che a livello matematico i valori fuzzy possono essere facilmente confuse con le probabilità e che si possa ritenere che la logia fuzzy sia un modo snob di gestire le probabilità.
Una differenza fondamentale è che mentre la somma delle probabilità di due insiemi contrapposti deve essere sempre uguale a 1 ( legge di additività), le misure fuzzy possono essere super o sub additive.
In altri termini gli insiemi che sono fuzzy ( gran parte del mondo reale funziona così) o multivalenti rompono la regola Aristotelica del terzo escluso secondo la quale non è possibile essere e non essere qualcosa contemporaneamente.
Come è chiaramente espresso da Bart Kosko, dopo Zadeh uno dei più autorevoli depositari della fuzzy logic, la probabilità tenta di stabilire se qualcosa accadrà o non accadrà mentre la fuzziness tenta si stabilire il grado di verosimiglianza di tale accadimento e quali condizioni lo determinano(4).
Per i colleghi interessati ad approfondire l'argomento delle differenze tra probabilità e teoria fuzzy, ovvero tra probabilità e plausibilità, il saggio scritto da George Klir rappresenta un riferimento essenziale(5).

La logica fuzzy in medicina

Benché I sistemi statistici tradizionali basati sulla logica bivalente siano impiegati con successo nelle decisioni mediche in diverse aree specialistiche, è sempre più evidente che il loro ricorso obbligato alla teoria della probabilità per gestire l'incertezza può essere inappropriato in molte circostanze e crea non pochi problemi nella comunicazione, proprio per l'esposizione relativamente recente della specie umana al concetto di probabilità.
Negli ultimi anni sono comparse in letteratura proposte interessanti per l'applicazione della logica fuzzy in medicina, e nel panorama internazionale una menzione particolare merita il gruppo della Helgason, cui si devono una serie di lavori tesi a migliorare l'individualizzazione della prescrizione di farmaci al letto del malato anziano(6) (7) (8) (9).

Ma cosa si può dire riguardo la prognosi che più di ogni altra approssimazione della verità introduce l'uso delle probabilità? Se è facile immaginare come assimilare una diagnosi ad un concetto di appartenenza sfumata ad una certa classe, come è possibile parlare di appartenenza sfumata ad un insieme dove alcune cose accadono? L'accadere non implica necessariamente un concetto di tutto nulla?
Come ho cercato di anticipare la mia risposta è che la logica fuzzy può essere favorevolmente applicata anche in presenza di eventi occorrenti e questo a livello di pratica clinica potrebbe fare una grossa differenza.
Sempre riferendoci al settore cardiovascolare, nel caso dell'approccio probabilistico noi dovremmo informare il paziente che data la sua presente condizione clinica ( cioè la presenza di una stenosi carotidea del 70% evidenziata dall'ecografia B mode) egli ha l'80% di probabilità di andare incontro ad un evento in un certo lasso di tempo.

In alter parole spiegheremmo al paziente che dato che studi epidemiologici accurati hanno dimostrato che l'80% di pazienti in cui si è evidenziata una situazione come la sua hanno avuto un evento in un certo lasso di tempo, l'appartenere a questa popolazione comporta per lui avere un rischio di evento pari all'80% . A questo punto il paziente potrebbe a ragione voler chiedere al medico se lui appartiene al sottogruppo dell'80% che ha avuto l'evento in quella popolazione o piuttosto al sottogruppo del 20% che non l'ha avuto, mettendo così il medico in una situazione molto difficile.
Come ben spiegato dal prof. Angelo Bignamini in un suo articolo dedicato proprio al concetto di rischio individuale, "un soggetto ad alto rischio presenta un profilo compatibile con quello della popolazione che esprimerà un numero elevato di eventi in un tempo determinato; un soggetto a basso rischio presenta un profilo compatibile con quello della popolazione che esprimerà un piccolo numero di eventi nello stesso tempo. In realtà, invece, il termine "rischio" viene utilizzato in maniera diversa. Dal punto di vista del medico utilizzatore e del soggetto, il soggetto ad alto rischio presenta singolarmente un rischio elevato di eventi. Ma questa definizione è in sé incongruente. Infatti per il singolo soggetto l'evento può solo presentarsi o non presentarsi. Quindi qualsiasi valore di rischio diverso da 0 o 1 perde di significato in relazione al singolo, mentre ciò che non perde significato è l'intervento di correzione dei fattori di rischio modificabili, in quanto la riduzione del rischio nella popolazione - quindi la riduzione del numero presumibile di eventi - passa per la correzione dei fattori di rischio in ciascuno dei soggetti che compongono la popolazione o possono essere assegnati alla popolazione.(10)

Il medico sarebbe quindi paradossalmente più preciso con una terminologia sfumata: egli potrebbe spiegare al paziente che data la sua attuale situazione dimostrata dalla ecografia, egli ha percorso per l'80% lo spazio che separa una condizione sicura da un evento inevitabile, come ciascuno di noi spiegherebbe ad un uomo che senza rendersene conto sta progredendo passo dopo passo da un punto sicuro sino all'orlo di un burrone ed ha percorso questa distanza per l'80%.
L'uso della logica fuzzy permetterebbe di sfuggire alla trappola della teoria delle probabilità per gestire l'incertezza, una teoria assolutamente valida se riferita a popolazioni o gruppi di individui, ma molto labile se riferita al singolo individuo. Ciò significherebbe rendere il significato di alcune affermazioni prognostiche più facilmente comprensibili dal paziente che si sentirebbe sempre posizionato da qualche parte come individuo, con evidenti vantaggi legati al venire meno di impulsi di non compliance dettati da mero fatalismo( e se fossi nel sottogruppo del 20% ? ).

Bibliografia

1. Rothwell PM, Mehta Z, Howard SC, Gutnikov SA, Warlow CP: From subgroups to individuals: general principles and the example of carotid endarterectomy. Lancet 2005; 365: 256-65

2. Hald A: A history of probability and statistics and their applications before 1750. Wiley, New York, 1990.

3. Zadeh LA: Torwards a theory of fuzzy information granulation and its centrality in human reasoning and fuzzy logic. Fuzzy Sets Syst 1997; 90:11-27

4. Kosko B & Isaka S: Fuzzy logic Scientific American (1993) July 76-81

5. Klir G : Is there more to uncertainty than some probability theorists might have us believe? Int J Gen Syst 1989, 15: 347- 378

6. Helgason CM, Jobe TH: Fuzzy logic and causal reasoning with an 'n' of 1 for diagnosis and treatment of the stroke patient. Expert Rev Neurother. 2004 Mar;4(2):249-54.

7. Helgason CM: The application of fuzzy logic to the prescription of antithrombotic agents in the elderly.Drugs Aging. 2004;21(11):731-6.

8. Helgason CM & Jobe TH: Fuzzy logic and continuous cellular automata in warfarin dosing of stroke patients. Curr Treat Options Cardiovasc Med. 2005 Jul;7(3):211-8.

9. Helgason CM, Malikb DS, Chengb SC, Jobea TH, Mordesonb JN: Statistical versus Fuzzy Measures of Variable Interaction in Patients with Stroke. Neuroepidemiology 2001;20:77-84

10. Bignamini A:Il rischio calcolato e la relazione con l'assistito: aspetto ambivalente della medicina. http://www.sipic.it/articoli/20021228161423.html

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