Prof.ssa Emine
Meral Inelmen
CHE COSA SONO LE "CATTIVE NOTIZIE"?
Secondo Buckman, 1984 (1), le "cattive notizie"
sono quelle informazioni che alterano drasticamente la prospettiva
futura di vita di un paziente, sia al momento della diagnosi,
oppure quando deve affrontare il fallimento di una terapia.
Ovviamente le "cattive notizie" dipendono, in parte,
dalle aspettative del paziente, ed è soprattutto importante
"quanto" lui/lei sappiano o sospettino della diagnosi.
Buckman, 1984 (1), mentre era studente di Medicina, durante
i suoi tirocini e seminari, aveva voluto raccogliere le sue
impressioni riguardo alle paure e ai sentimenti provati dagli
infermieri, medici, studenti nei confronti della comunicazione
delle "cattive notizie" ai pazienti con prognosi
infausta. Alla fine della sua indagine, prospettò i
due più importanti problemi: il primo, l'ansietà
e la paura dei medici nell'iniziare la conversazione; il secondo,
quei fattori che portano i medici a prendere la responsabilità
della malattia stessa e che più li mette in difficoltà
nell'iniziare il colloquio.
QUALI SONO LE PAURE PIU' FREQUENTI DEI MEDICI?
La paura maggiore dei medici-soprattutto giovani medici- è
quella di essere "accusati", da parte dei pazienti,
per le "cattive notizie" che essi portano (1). Non
sempre, ovviamente, i pazienti accusano i medici, ma la paura
del medico inizia ancora prima di cominciare il colloquio.
Il medico si pone poi il problema della reazione del paziente
di fronte alle "cattive notizie". Una volta iniziato
il colloquio, come si comporterà il paziente? I pazienti
riportano una varietà di reazioni emozionali nel sentire
le "cattive notizie". Le risposte più frequenti
sono shock (54%), paura (46%), accettazione (40 %), tristezza
(24 %), non preoccupazione (15 %); in aggiunta, il paziente
può mostrare uno stato di confusione dopo aver appreso
la prognosi infausta (2). Inoltre, il medico esprime, durante
il colloquio, le proprie emozioni, che possono essere difficili
da controllare. Ad esempio, ci può essere da parte
del medico la paura che, un domani, la malattia e la morte
capiti alla propria persona (1), oppure può perdere
il controllo a causa dei propri pensieri esistenziali e della
mancanza di conoscenza nel campo dell'esistenzialismo/spiritualità,
e/o nella pratica clinica, delle cure palliative (3). Come
può comportarsi il medico di fronte al problema? Il
medico può avere un contegno "freddo" e distaccato,
oppure, può avere un atteggiamento carico di ansia
ed emotività. Una volta iniziato il colloquio, già
sorgono altri fattori che "spingono" il medico ad
assumere la responsabilità della malattia stessa. Il
senso di frustrazione davanti alla non possibilità
di cure effettive può portare il medico a non prendersi
il tempo necessario per il colloquio, ma ad assumere il tipico
atteggiamento del "hit-and run"(4), e cioè
"colpire e fuggire". Nel caso di un paziente anziano,
il problema diventa ancora più cruciale, anche perché
i medici tendono a spendere meno tempo con gli anziani che
con i giovani (5).
"COMUNICAZIONE" COME PARTE INTEGRANTE DEL CORSO
DI MEDICINA?
Non avendo spesso avuto, durante il periodo degli studi, una
conoscenza e un training comportamentale adeguato di fronte
al morente, il medico si trova a dover affrontare un campo
poco noto. Secondo alcuni autori, questo argomento non può
essere insegnato, in quanto dipende solamente dalla personalità
e dalla esperienza del medico (6), mentre secondo altri, il
training della comunicazione dovrebbe far parte integrante
dell'educazione medica (7). A questo punto la domanda che
ci si pone è: l'empatia verso il paziente è
il risultato di un training, oppure è un'attitudine
insita nella personalità del medico? La risposta a
questa domanda è ancora oggetto di discussione (8).
Gli studenti di Medicina spesso trovano che sia più
educativo osservare attentamente il comportamento dei medici
verso il paziente e creare un modello da seguire, piuttosto
che l'insegnamento teorico frontale (8). Ad esempio, un training
presso l'hospice, potrebbe essere di aiuto allo studente sul
come comunicare al paziente morente, anche riguardo alle sue
necessità spirituali (8). Sembra che il miglior insegnamento
sulla comunicazione sia dato da quel medico che diventa, a
sua volta, paziente (8).
SCOPO DEL PRESENTE ARTICOLO
Quale dovrebbe essere la condotta più adeguata del
geriatra in tale complessa interazione? Cercherò, in
questo articolo, di dare-per quanto possibile-dei suggerimenti
a tal riguardo, facendo una breve sintesi della letteratura.
C'è da segnalare a proposito dei dati in letteratura,
che essi riguardano soprattutto i problemi del paziente; meno
del medico (9), e ancora meno del geriatra. Il noto protocollo
SPIKES (10), prevede i sei steps (impostazione del medico,
percezione del paziente, desiderio del paziente, informazione,
emozioni, strategie e riassunto) da seguire per comunicare
"le cattive notizie", ma non è specifico
per il paziente anziano. Probabilmente, non esiste una sola
risposta alla questione di come comunicare la prognosi infausta
all'anziano, ma può essere creata una sorta di "road-map",
in modo da aiutare il geriatra a costruire una "mutua
confidenza".
"CATTIVE NOTIZIE" E CANCRO: IL DIFFICILE RUOLO
DEL GERIATRA
Il problema di dire o non dire la verità al paziente
è in stretto rapporto con il cancro (11). Perché
non altre malattie se non il cancro? Perché il termine
"cancro" tuttora ha un effetto negativo sul paziente,
malgrado gli avanzamenti nel campo della chemio-radioterapia.
In particolare, il paziente anziano è maggiormente
suggestionato dal termine "cancro" rispetto al giovane
in quanto, nella sua memoria, questo termine significa "malattia
incurabile", "morte". Ogni anno vengono diagnosticati
1.4 milioni di nuovi casi di cancro negli Stati Uniti, e anche
se, la sopravvivenza a 5 anni è migliorata per varie
forme di cancro, esso rimane una delle diagnosi più
temibili (12). Il cancro colpisce in particolare gli anziani:
nel 2020, se continuerà il trend demografico attuale,
il 60 % di tutte le neoplasie maligne coinvolgerà gli
ultra 70enni (13). Quindi, gli anziani neoplastici con prognosi
infausta sono in continua crescita, con conseguente aumento
dei loro ricoveri nei reparti di Geriatria, anche perché,
spesso, gli anziani si rivolgono al medico quando ormai la
malattia neoplastica si è già diffusa e non
può essere trattata se non con le cure palliative.
Il compito di dire la verità passa così dall'oncologo
al geriatra. Un recente studio basato su questionari somministrati
a 244 pazienti oncologici sulla comunicazione della prognosi
infausta, ha messo in rilievo che gli ultra71enni preferiscono
il ruolo passivo, mentre i giovani optano per il ruolo collaborativo
(14). A conferma del fatto che i giovani vogliono essere direttamente
informati, è da segnalare il lavoro di Isahque et al,
2010 (15) in cui, 400 pazienti tra i 18-60 anni, hanno risposto
al questionario esprimendo il loro desiderio di avere il medico
"onesto e franco" durante il colloquio. Comunque,
la maggior parte dei pazienti vorrebbe che venisse loro data
la speranza. A questo punto, la maggiore sfida dei medici
sarebbe non solo di dare, ma di come dare la speranza (14).
Alcuni autori hanno rilevato che la speranza è mantenuta
quando, ai pazienti con stadio terminale di cancro, viene
detta la verità sulla prognosi e sul trattamento (16).
I PROBLEMI LEGALI
Ippocrate raccomandava di non comunicare alcuna informazione
che potesse causare disperazione e peggiorare la situazione
del paziente per cui, nei secoli, il medico ha avuto un atteggiamento
tendenzialmente paternalistico nei confronti dei pazienti
con prognosi infausta, omettendo la verità e "giocando
una sciarada" come indica, nel suo articolo, Goldie,
1982 (11). Nel 1847, secondo il primo codice etico in Medicina,
i medici avevano deciso di evitare di dire le "cattive
notizie" ai pazienti, per paura di accorciare loro la
vita (!). Infatti, tale condotta è continuata anche
nei decenni successivi. Negli anni '60, il 90 % dei medici
a cui era stato somministrato un questionario, aveva risposto
di preferire di non dire al paziente con cancro, la diagnosi
(17); molti pazienti affetti da cancro infatti, hanno paura
di sentire la propria prognosi e non vogliono avere informazioni
dal medico, come viene segnalato da The et al, 2000 (18).
Da questo lavoro si evince l'esistenza addirittura di una
sorta di "collisione" tra medico e paziente affetto
da cancro polmonare in stadio terminale: il medico sceglie
di adoperare lo stile "non domandare, non dire",
e il malato non vuole sapere la verità e preferisce
il falso ottimismo. In sostanza, il medico vuole e non vuole
pronunciare "la sentenza di morte", mentre il paziente
vuole e non vuole sentirselo dire (18).
Dal 1992, però, in Italia, sono in vigore i principi
del consenso informato e della autonomia del paziente, che
hanno creato chiari obblighi legali di dare al paziente tutte
le informazioni riguardo alla sua malattia, prognosi e terapia
(vedi appendice). Una parte degli anziani possono però,
non essere in grado di capire completamente il significato
di tali leggi e in aggiunta, come già sopracitato (14),
essi avrebbero un ruolo passivo, cioè di delega ai
propri familiari. Malgrado l'obbligo legale, l'omissione della
verità sembra essere molto frequente nel nostro Paese
(19). La regolamentazione legale italiana, comunque, differisce
dalla sua versione Anglo-Sassone perché la verità
esplicita sulla diagnosi può essere omessa, in modo
da aiutare il paziente a non perdere la speranza (20) che,
come sopracitato, sarebbe il desiderio più diffuso
tra i pazienti oncologici. L'Italia sembra dunque aver raggiunto
una posizione intermedia tra due opposti modelli: il "vecchio"
stile paternalistico (di omissione della verità; di
decisione fatta ed imposta dal medico al paziente), e l'approccio
moderno Anglo-Sassone (di comunicazione della verità;
di decisione fatta ed imposta dal malato al medico) (21).
Questo, comunque, può risultare vero per i giovani
adulti, non per i più anziani, ai quali sembra che
tuttora continui ad essere applicato unicamente il modello
paternalistico (20). Senza un cambiamento profondo e capillare
del suo substrato culturale, il nostro Paese sembra ancora
largamente impreparato a seguire il modello occidentale (20),
soprattutto per quanto riguarda gli anziani oncologici con
prognosi infausta.
DISCUSSIONE E STRATEGIE
Alla luce dei dati di letteratura sopradescritti, sarebbe
importante fare una valutazione clinica, funzionale, cognitiva,
sociale e familiare del paziente anziano prima di affrontare
il colloquio, in quanto, a differenza del giovane adulto,
egli si colloca in un contesto multi-sfaccettato. La frequente
presenza di comorbidità infatti, complica ulteriormente
il già difficile compito del geriatra. Ad esempio,
la esistenza di depressione, spesso mascherata nell'anziano
(22), potrebbe portare il paziente ad idee suicidarie. E'
per questo motivo che il geriatra dovrebbe agire all'interno
di un team (infermieri, oncologi, medici di cure palliative,
psicologi, assistenti sociali, assistenti spirituali), in
modo da affrontare il road-map in base alla valutazione multidisciplinare.
L'anziano, per motivi legati all'età (diminuzione dell'udito,
deficit funzionali, iniziale deterioramento cognitivo, mancata
conoscenza in ambito medico, paura di pesare sulla famiglia),
potrebbe non aver capito quello che "ha sentito"
dal medico, e potrebbe rivolgersi allora ad un membro dello
staff sanitario, soprattutto all'infermiere, per confermare
o cercare l'informazione. Data poi la frequenza del ruolo
passivo dell'anziano, egli potrebbe rivolgersi al familiare
caregiver. Le persone che ruotano attorno al malato dovrebbero,
quindi, essere consapevoli della responsabilità di
riferire l'informazione desiderata, e dovrebbero ricevere
delle linee guida adeguate al caso. Il supporto di un medico
legale potrebbe essere di aiuto in caso del paziente anziano
mentalmente non competente a cui non è possibile rivolgersi
direttamente, e che non ha un amministratore di sostegno o
familiare caregiver. In seguito, sono riassunte delle strategie
che possono essere utili per il geriatra prima di affrontare
l'eventuale colloquio con l'anziano, malgrado lo scenario,
purtroppo, più diffuso che si presenta in queste occasioni,
sia quello di una "cospirazione al silenzio" da
parte di tutti (infermieri, familiari, caregiver, operatori
sanitari, amici e l'anziano stesso), che rende impossibile
la comunicazione:
A) Dove è possibile, mirare sempre a potenziare l'autonomia
decisionale dell'anziano mentalmente competente, attraverso
una compartecipazione autentica ed empatica.
B) Quando possibile, in base alle condizioni psichiche del
paziente anziano e se egli non nega la propria malattia, non
nascondere mai la verità.
C) Usare la comunicazione non verbale (lo sguardo, il contatto
della mano, della spalla).
D) Indurre l'anziano ad esprimere le proprie esigenze, le
proprie aspettative ed il proprio stile di vita al fine di
adattare le spiegazioni sulla diagnosi e la prognosi, e fornire
dettagli efficaci sulla eventuale terapia palliativa.
E) Non parlare troppo ma essere semplici ed essenziali: l'anziano
è vulnerabile ad un carico di notizie e ad un linguaggio
sofisticato.
F) Non dare informazioni sulla durata di vita: il "dead-line"
che non è di solito richiesto, può comunque
non essere veritiero in quanto ogni soggetto è unico.
G) L'importante è essere onesti fino in fondo, stabilendo
un equilibrio tra verità e speranza.
H) Informare gli altri membri del team del colloquio.
I) Dati gli aspetti legali, non è possibile cambiare
la verità ma può essere enfatizzata la speranza,
creando fin dall'inizio del colloquio, una "mutua confidenza".
CONCLUSIONE
Comunicare le "cattive notizie" è una pratica
fondamentale di ogni medico, soprattutto dell'oncologo e del
geriatra, quest'ultimo in quanto la malattia neoplastica in
stadio terminale è più frequente in età
avanzata. Per tale motivo la comunicazione medico-paziente
dovrebbe essere parte integrante dell'educazione medica, con
particolare riguardo agli anziani mentalmente competenti.
L'obiettivo dovrebbe essere quello di mantenere il morale
e di aiutare l'anziano a ottenere il massimo del coraggio
per affrontare la malattia. Il medico dovrebbe comunicare
l'informazione secondo le necessità del paziente anziano,
controllare che l'informazione sia capita, e mostrare empatia,
dignità e rispetto, cercando di creare, in questo modo,
una "mutua confidenza". Questi colloqui, se condotti
bene, possono aiutare i pazienti anziani ad avere le giuste
informazioni mantenendo la speranza, e sollevare i geriatri
dallo stato di imbarazzo, paura, ansia e stress. Data la scarsità
di dati di letteratura, è necessario che vengano condotti
ulteriori indagini, in modo da aiutare i geriatri in questo
loro difficile e alquanto complesso compito. Infine, le linee
guide già esistenti dovrebbero essere revisionate alla
luce del sempre maggior numero di anziani neoplastici in stadio
terminale. Di sicuro una buona comunicazione con il paziente
anziano spesso è meglio di ogni medicina.
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20: 381-3.
Appendice
CODICE DI DEONTOLOGIA MEDICA
Art. 33
Informazione al cittadino
Il medico deve fornire al paziente la più idonea informazione
sulla diagnosi, sulla prognosi, sulle prospettive e le eventuali
alternative diagnostico-terapeutiche e sulle prevedibili conseguenze
delle scelte operate; il medico nell'informarlo dovrà
tenere conto delle sue capacità di comprensione, al
fine di promuoverne la massima adesione alle proposte diagnostico-terapeutiche.
Ogni ulteriore richiesta di informazione da parte del paziente
deve essere soddisfatta.
Il medico deve, altresì, soddisfare le richieste di
informazione del cittadino in tema di prevenzione.
Le informazioni riguardanti prognosi gravi o infauste o tali
da poter procurare preoccupazione e sofferenza alla persona,
devono essere fornite con prudenza, usando terminologie non
traumatizzanti e senza escludere elementi di speranza.
La documentata volontà della persona assistita di non
essere informata o di delegare ad altro soggetto l'informazione
deve essere rispettata.
Prof.ssa Emine Meral Inelmen
Cattedra di Geriatria
Dir: Prof. Enzo Manzato
Dipartimento di Medicina-DIMED
Universita' degli Studi di Padova
Email: eminemeral.inelmen@unpd.it
Tel: 049-8218493
Fax: 049-8211218
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