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L'invecchiamento e la Medicina Anti - invecchiamento (Anti - aging Medicine) Torna agli editoriali

di
Paolo Albanese, Emine Meral Inelmen

Università degli Studi di Padova, Scuola di Specializzazione in Geriatria
( Direttore Prof.G.Enzi )

LA MEDICINA ANTI-INVECCHIAMENTO
Il New York Time, prestigioso quotidiano americano, ha pubblicato in data 21 Ottobre 2001 un articolo dal titolo "Tirare indietro le lancette dell'orologio biologico, ad un prezzo." L'autore (Sana Siwolop) ha voluto richiamare l'attenzione pubblica su un fenomeno di crescente impatto socioeconomico: "Molti americani, soprattutto dopo quanto è successo l'11 Settembre, hanno rivalutato le loro priorità, e per alcune persone questo ha significato prestare maggiore attenzione alla loro salute. Non solo persone ammalate, ma anche persone riconosciute sane si sono rivolte a strutture sanitarie, con nuove esigenze di salute. Si è verificato infatti un crescente interesse nella cosiddetta medicina anti-invecchiamento (anti-aging medicine)." Cliniche anti-aging, oramai pressoché diffuse e alla moda negli USA e nei paesi occidentali, hanno registrato un incremento delle visite e delle consulenze. "Queste cliniche, fiorite soltanto nell'ultimo decennio, promettono di aiutare i pazienti a sembrare e a sentirsi più giovani, promuovendo protocolli dietetici e ginnici, e consigliando l'assunzione di vitamine e farmaci per trattare o frenare i cambiamenti dell'invecchiamento sull'organismo. Ma questi trattamenti funzionano? Sono sicuri?" (1)

Il "prezzo" citato nel titolo si riferisce innanzitutto al fatto che a tutt'oggi non è possibile rispondere a queste domande in maniera esaustiva. In secondo luogo, sempre più persone (non solo americani) decidono di spendere soldi alla ricerca dei cosiddetti elisir della giovinezza, a partire da preparati multivitaminici, da particolari estratti vegetali, per arrivare a prodotti farmacologici od ormonali. Spesso anche i medici di medicina generale si trovano in imbarazzo nei confronti di tali richieste, da parte dei loro pazienti. (2) D'altro canto l'invecchiamento della popolazione ed il fenomeno della rettangolarizzazione demografica ( la popolazione tende ad essere ugualmente numerosa a tutte le fasce di età) (3), rendono quanto mai attuale ed urgente una particolare attenzione alla pianificazione ed alla gestione dei bisogni e delle aspettative delle persone adulte e anziane.

L'invecchiamento della popolazione è un tributo al successo della medicina, ma rivela, al tempo stesso, la debolezza e i limiti degli attuali approcci alla gestione della sanità. L'ironia di questo successo è che il progresso ha prodotto legioni di anziani longevi che convivono quotidianamente proprio con quei problemi cronici - cardiopatie, cancro, artrite, osteoporosi, demenza - che la società è ancora poco preparata a gestire. Oggi, un adulto trascorre in media circa il 10 % della sua vita ammalato. La medicina finora è stata ampiamente focalizzata nell'estendere gli anni della vita; poco è stato fatto per dare a questi anni una certa qualità.
In realtà, ciò che tutti si augurano, è di trascorrere una lunga vita in piena forza e salute, riservando il minor tempo possibile all'inevitabile decadimento finale e alla malattia. Ma questo non corrisponde al modello di invecchiamento attualmente vigente; e continuando per questa strada si andrà incontro ad un prossimo futuro con milioni di anziani disabili e dementi, male assistiti, la cui gestione potrà mettere in crisi i nostri sistemi sanitari, e l'intera economia.

Per affrontare un tale problema, finché si è in tempo, c'è chi suggerisce una politica sanitaria più attenta e preparata al fenomeno dell'invecchiamento, in termini di prevenzione, di assistenza e di razionalizzazione della spesa, che rispetti i seguenti punti:
1. dedicare più risorse alla ricerca sulle malattie dell'invecchiamento;
2. provvedere ad una più adeguata formazione di geriatri e di personale dedicato all'assistenza degli anziani;
3. orientare gli incentivi del sistema sanitario verso l'invecchiamento di successo;
4. stabilire un approccio più umano, rispettoso ed efficace alla morte e agli ultimi momenti della vita;
5. fare della prevenzione una priorità nazionale. (4)

La Gerontologia Preventiva
Dall'esigenza di riconsiderare gli approcci attuali all'invecchiamento, al fine di renderlo un invecchiamento di successo, è nata una nuova branca della geriatria che prende il nome di Gerontologia Preventiva. Questa si occupa dello studio e della messa in pratica di quegli elementi di comportamento, di occupazione e di gestione sanitaria che porteranno alla massima longevità nella migliore qualità di vita per gli individui e per la popolazione. (5) Come tale, si fonda sulla costituzione di una agenda personalizzata di norme igienico-sanitarie-comportamentali calibrate in funzione del sesso, dell'età e del profilo di rischio di ammalarsi di ogni individuo.
Per un giovane-adulto la Gerontologia Preventiva propone strategie di intervento a lungo termine e a basso costo, compatibili con uno stile di vita a basso rischio (prevenzione primaria); per un adulto-anziano, propone invece, strategie di intervento a più breve termine e ad alto costo, compatibili con uno stile di vita ad alto rischio (prevenzione secondaria).(6)
Tali strategie, quando si rivolgono all'età più avanzata, diventano soprattutto prevenzione terziaria, cioè riconoscimento precoce e trattamento di malattie stabilizzate e della disabilità correlata, allo scopo di migliorare la qualità della vita e di rallentare un ulteriore declino funzionale. (7)
La gerontologia, cercando di capire il significato ed i meccanismi che governano il fenomeno dell'invecchiamento, si limita pertanto a suggerire uno stile di vita per giungere ad un invecchiamento di successo.
La medicina anti-invecchiamento (Anti-aging medicine), branca nascente della gerontologia, partendo dalle teorie evoluzionistiche dell'invecchiamento, si spinge oltre, nel tentativo di "spostare indietro le lancette dell'orologio biologico".
Per comprendere il razionale che sta dietro alle strategie proposte da questa nuova disciplina, può essere utile soffermarsi, ancora una volta, sul fenomeno dell'invecchiamento.

Che cos'è l'invecchiamento?
Per quanto ci si sforzi nella ricerca di una definizione adeguata, risulta sempre difficile esprimere un fenomeno così universale ed allo stesso tempo così eterogeneo. Se è facile riconoscere una persona che invecchia, osservandone i capelli canuti, la pelle rugosa o la schiena ricurva, definire e capire l'invecchiamento resta tuttora un motivo di vivace discussione e di dibattuta ricerca.
La Gerontologia e la Biologia Evoluzionistica considerano l'invecchiamento come un processo continuo, universale, progressivo, intrinseco e deleterio (da cui l'acronimo CUPID), che riduce progressivamente la capacità di un organismo a mantenersi in equilibrio (omeostasi) nei confronti degli insulti ambientali, aumentando pertanto la probabilità di ammalarsi e di morire.
L'invecchiamento si può quindi delineare come "un processo che converte gli individui sani in fragili, con la diminuzione delle riserve in molti dei sistemi dell'organismo, e con un aumento in modo esponenziale della vulnerabilità a molte malattie e alla morte."(8)
Hayflick, eminente biologo dell'invecchiamento, dichiara che l'aging è un vero e proprio "fallimento" della selezione naturale; questa ha dato luogo ai "miracoli" della nascita, la crescita, la vita adulta, ma non è stata capace, invece, di favorire lo sviluppo di un più elementare meccanismo per "mantenere" tali miracoli. (9)
Le possibili ragioni di questo fallimento, secondo le teorie evoluzionistiche dell'ottimizzazione del genoma (ad esempio la "Disposable soma Theory" e la teoria dell'antagonismo pleiotropico), stanno nel fatto che il "programma di madre natura" tende a concludersi con l'età riproduttiva. Dopo questa fase della vita l'essere umano va incontro all'inevitabile processo dell'invecchiamento. (10) Secondo la teoria del "Disposable soma", si stabilisce un baratto (trade off) tra la riproduzione e la longevità: l'evoluzione ha portato ad un genotipo ottimizzato per cui molta "energia" viene investita nelle età neonatale e giovanile - adulta a scapito di quella che rimane (essendo le risorse finite) per i processi riparativi dell'età geriatrica. Questo drenaggio di risorse ha comportato un limite alla sopravvivenza.
Di converso la longevità richiede investimenti nel mantenimento dell'organismo, che riducono le risorse disponibili per la riproduzione. (11)

Studi di correlazione hanno infatti dimostrato come la longevità sia risultata inversamente proporzionale alla fertilità; e un famoso studio, condotto sull'aristocrazia britannica, ha rivelato che le donne centenarie si distinguevano dalle meno longeve per aver avuto meno gravidanze ed in età avanzata.(12)

Un soggetto sarà quindi più o meno longevo in funzione di quanto "carburante" gli rimane nel "serbatoio", dopo l'età riproduttiva. Questo carburante o energia vitale, che può essere intesa come "capacità di adattamento" o plasticità o capacità di riparazione del genoma, deve infatti saper sopperire al costo della vita nella natura. Infatti, secondo altre teorie evoluzionistiche (ad esempio: la "Mutation accumulation theory" e la "Teoria dei radicali liberi") la vita è il risultato di un delicato equilibrio o bilancio: l'organismo ricava energia dalla combustione dell'ossigeno in acqua e anidride carbonica, due molecole del tutto innocue; le fasi intermedie di questa trasformazione prevedono, però, la formazione di molecole instabili e pericolose. Queste sono i radicali liberi, molecole di ossigeno con un elettrone spaiato, altamente reattivo che, trapelando dai mitocondri, alla ricerca di stabilità, invece di trasformarsi in acqua o anidride carbonica, sovvertono l'equilibrio elettronico di altre molecole, alterandone la struttura e la funzione. (danno ossidativo).

Numerosi studi in letteratura hanno dimostrato come l'accumulo di danno ossidativo aumenta con l'età ed è ormai considerato uno dei maggiori determinanti dell'invecchiamento. (13)

Allo stato attuale l'invecchiamento viene quindi descritto come un fenomeno geneticamente determinato, la cui patogenesi resta un problema aperto. La multifattorialità patogenetica sembra il concetto più plausibile. A livello cellulare si è infatti osservato: 1- una riduzione nel numero delle cellule età - correlata (teoria di Hyflik o della senescenza replicativa); 2- una riduzione nella competenza energetica mitocondriale; 3- danni da radicali liberi; 4- danni da glicazione. (teorie dell'accumulo dei danni - teorie stocastiche)
Si può quindi parlare di invecchiamento come conseguenza di un programma genico espresso in una determinata fase dello sviluppo (meccanismo attivo - teorie dell'ottimizzazione del genoma) e come conseguenza dell'accumulo di mutazioni casuali (Meccanismo passivo - teorie stocastiche o dell'accumulo delle mutazioni indotte da danni da radicali liberi).

La teoria più moderna, che tenta di spiegare l'invecchiamento, viene detta teoria unificante in quanto recupera gran parte delle ipotesi formulate in passato, ognuna delle quali conteneva una parte di verità. Essa ammette che, per una serie di meccanismi, in parte endogeni (che si sviluppano cioè all'interno dell'organismo) ed in parte esogeni (ambientali), si verifichino nel corso della vita, molteplici alterazioni cellulari (nella membrana delle cellule, negli enzimi, nelle proteine, nel DNA e RNA, ecc.). Queste alterazioni porterebbero rapidamente all'invecchiamento ed alla morte se il nostro organismo non possedesse importanti meccanismi di difesa, la cui efficienza è sotto controllo genetico. E' così possibile la riparazione di tutti i danni, man mano che essi si verificano. Dall'equilibrio tra fattori aggressivi (condizionati in prevalenza dall'ambiente) e fattori difensivi (condizionati in prevalenza dalla genetica) deriva una più o meno lunga durata della vita.
In conclusione l'invecchiamento viene descritto come un complesso sistema, influenzato da un largo numero di fattori esterni ed interni, la cui eziopatogenesi resta tuttora solo appannaggio di diverse teorie. (8)

Le numerose teorie che tentano di spiegare l'invecchiamento biologico non possono certamente rendere conto, da sole, dell'invecchiamento dell'uomo, per la complessità che gli deriva dall'occupare il gradino più alto dell'evoluzione animale, e quindi dall'intelligenza, dai sentimenti, e dalla integrazione sociale nei contesti più disparati. Per questo motivo all'invecchiamento dell'uomo, oltre a cause puramente biologiche, concorrono numerosi altri fattori. Diversi studi condotti su individui longevi hanno infatti dimostrato che, nel confronto con i meno longevi, essi presentano: un più alto livello di istruzione; migliori condizioni economiche; un miglior supporto famigliare; e un minor numero di esperienze individuali negative.

L'età anagrafica e l'età biologica
La popolazione anziana è stata classificata, a prescindere dal dato anagrafico, anche a seconda dello stato di salute (14) in:
- successful agers (anziani di successo): vivono in modo autosufficiente e non presentano perdita della funzionalità;
- usual agers (anziani sottoposti agli effetti dell'usuale invecchiamento): vivono in modo autosufficiente con una varietà di condizioni mediche.
- accelerated agers (anziani sottoposti agli effetti di un invecchiamento accelerato): portano un carico pesante di malattie croniche e disabilità; molti di questi sono istituzionalizzati.
Questa classificazione mette in luce l'eterogeneità della popolazione geriatrica e di conseguenza la difficoltà di confrontare i risultati ottenuti e di trarre conclusioni dagli studi epidemiologici, che servirebbero a stabilire, invece, le regole per una prevenzione e per i fattori predittivi di un invecchiamento di successo.
In sostanza la questione di "arrestare l'invecchiamento", da sempre desiderata dall'uomo, si presenta piuttosto difficile in quanto non esiste, come appena detto, un singolo meccanismo che possa essere additato come il responsabile, così come non esiste una singola manifestazione della vecchiaia.

Le ricerche sono indirizzate perciò verso i cosiddetti markers dell'invecchiamento, che possano segnare l'età biologica di un individuo, differenziandola da quella anagrafica. Alla luce della plurifattorialità dell'aging si può escludere fin d'ora che si tratti, quindi, di un solo marker.

L'età biologica può essere definita utilizzando i classici parametri antropometrici quali la riduzione della statura - si riduce soprattutto l'altezza da seduti per una maggior compromissione delle ossa corte rispetto a quelle lunghe; si riduce la massa magra a favore di quella grassa che va inoltre incontro ad una ridistribuzione (si riduce il tessuto adiposo alle estremità per aumentare nel tronco), determinando un aumento della profondità del torace e dell'addome; il diametro bisacromiale va riducendosi; il cranio si modifica diventando più grande e più pesante; aumenta la base nasale e s'ingrandiscono le orecchie; scompaiono i capelli e i peli ascellari mentre s'infoltiscono altri peli quali le sopracciglia i tragi e le vibrisse.
Famosi studi condotti su campioni di soggetti centenari, hanno permesso invece di selezionare 4 fattori fortemente associati con la longevità (markers di longevità). Questi sono: il modello di comportamento di tipo B (caratterizzato dalla non competitività, dalla pazienza e dalla mancanza di aggressione); un'alta pressione parziale di O2 nel sangue; alti livelli di concentrazione di SOD (superossido-dismutasi) nei globuli rossi ed un buon stato microcircolatorio. (15)

La letteratura e la vita stessa ci suggeriscono che l'età biologica e quella anagrafica non sono sempre equivalenti.

L'anti-aging medicine
La crescente popolarità della cosiddetta medicina anti-aging richiama i medici a riesaminare le loro attitudini nei confronti dell'invecchiamento. Si può definire l'invecchiamento come una predisposizione alla malattia o come parte del ciclo della vita? La longevità senza le malattie croniche usualmente associate all'invecchiamento è una meta realistica? (2)

L'Anti-aging medicine, meglio definita da alcuni sostenitori con il nome di "medicina evoluzionistica", fonda il suo programma sulla comprensione delle origini evoluzionistiche dell'invecchiamento e sostiene, infatti, che il cosiddetto normale invecchiamento è un processo attraverso il quale la salute viene inesorabilmente compromessa, rendendo il soggetto più suscettibile alle malattie croniche. Sostiene inoltre che la vera salute non è semplicemente l'assenza di malattia, ma piuttosto la presenza di un benessere fisico, mentale ed emozionale. L'obiettivo di questa nuova branca della medicina è quindi quello di fornire strategie scientificamente validate per frenare il processo dell'invecchiamento, per prevenire le malattie croniche ed ottimizzare la qualità della salute.

Tre fattori, secondo le teorie evoluzionistiche su cui si ispira la nuova disciplina, sono in grado di inficiare la salute dopo l'età riproduttiva: l'eredità genetica; il declino dei livelli ormonali; lo stress ossidativo. L'anti-aging medicine tende oggi a combattere il processo dell'invecchiamento intervenendo negli ultimi due, attraverso una terapia di integrazione degli ormoni naturali e attraverso la riduzione dello stress ossidativo. Integrando la quota di ormoni deficitari e fornendo una giusta dose di sostanze antiossidanti, si da riportare la bilancia ossidativa e quella ormonale ai "livelli dell'età riproduttiva", la medicina anti-aging punta a migliorare la vitalità, la massa muscolare e il sistema immunitario allo scopo di frenare gli usuali fenomeni dell'invecchiamento. (16)
Protocolli anti-aging, prescritti da alcuni medici, comprendono quindi terapie sostitutive ormonali, vitamine e supplementi minerali, diete ed esercizi. Ma mentre le diete, gli esercizi ed alcuni supplementi minerali e vitaminici rappresentano misure preventive ben riconosciute, trattamenti ormonali, "mega-vitaminici" e terapie erboristiche, non ancora sperimentati, sono tuttora misure controverse.

Gli ormoni e la medicina anti-aging
Una larga e crescente parte di letteratura scientifica ha dimostrato che i livelli di diversi ormoni tendono a ridursi con l'età, e questo declino è associato a diverse manifestazioni dell'invecchiamento. Il primo ad essere riconosciuto è stato il precipitoso declino nella produzione degli estrogeni e del progesterone nella donna, in quel complesso fenomeno noto come menopausa. Altri ormoni i cui livelli ematici tendono a diminuire con l'età, in maniera ormai ben documentata, sono il testosterone negli uomini (e anche nelle donne), l'ormone della crescita e il deidroepiandrosterone (DHEA). Il declino di questi ormoni inizia molto prima ed è più graduale; tuttavia, proprio per l'analogia con la menopausa, in riferimento a tali ormoni, sono stati adottati i termini di andropausa, somatopausa e adrenopausa. Anche la melatonina tende a ridursi.
Per altre sostanze ormonali si assiste, invece, ad un incremento. Innanzitutto la resistenza tessutale all'insulina porta ad una sua aumentata produzione in risposta ai pasti, aumentando il rischio di insorgenza del diabete e di malattie cardiovascolari. Similmente, la risposta dell'organismo allo stress può provocare un incrementi prolungato dei livelli del cortisolo, aumentando il rischio di danni da squilibrio della composizione corporea, della funzione cerebrale e di quella immunitaria.

Messo insieme, questo insieme di dati esprime la teoria endocrinologica dell'invecchiamento.
Se per la donna la terapia sostitutiva ormonale rappresenta ormai un supporto consolidato nella prevenzione degli effetti della menopausa e dell'invecchiamento, per quanto riguarda l'uomo, la stessa è ancora in via di sperimentazione.
L'incremento della spettanza di vita nell'uomo avviene parallela all'aumento della comparsa di segni e sintomi tipici dell'invecchiamento: debolezza muscolare, osteoporosi, iperplasia prostatica benigna, cambiamenti nella composizione corporea, affaticamento, diminuito interesse sessuale e aumento della prevalenza di disfunzione erettile; tutti fattori limitanti la qualità della vita. Molti di questi sintomi sono simili a quelli documentati in patologia, come nella sindrome di Kallman o in quella di Prader Willi. Gli effetti benefici della terapia sostitutiva nelle patologie con deficit ormonali nei non anziani e nelle donne in post-menopausa aveva aumentato la speranza che la sostituzione ormonale potesse prevenire o addirittura sovvertire alcuni dei sintomi dell'invecchiamento maschile. Tuttavia questo approccio fu ostacolato dalla mancanza di parametri di riferimento ormonali età correlati. A tutt'oggi, secondo alcuni studi, non esiste ancora l'indicazione precisa per una terapia sostitutiva ormonale nel maschio. (17)

Secondo alcuni lavori, pur essendo ancora necessari altri studi sull'argomento, si può affermare che la medicina sta assistendo "all'alba dell'era degli androgeni". L'uso della terapia sostitutiva con testosterone per il trattamento dei sintomi da deficit androgenico negli anziani (ADAM: androgen deficiency in aging males) può essere appropriato se preso con le dovute cautele. (18)
Il Baltimore longitudinal study on aging (19) ha dosato i livelli di testosterone e di sex hormone binding globuline (SHBG) in 890 soggetti ottenendo i risultati che l'incidenza di ipogonadismo relativo al testosterone, e in particolare alla quota libera metabolicamente attiva, è pari al 20% sopra i 60 anni, al 30 % sopra i 70 e al 50% sopra gli 80. Questi dati giustificano l'esigenza di proseguire nella ricerca verso una terapia sostitutiva soprattutto per quei soggetti con le più basse concentrazioni sieriche di testosterone.
Un altro interessante lavoro condotto dall'università di Bologna (20), ha confrontato i livelli di alcuni ormoni in due gruppi di soggetti fisicamente attivi di età media e di anziani. In conclusione si è dimostrato che, indipendentemente dall'età, gli uomini fisicamente più attivi avevano livelli in media più alti rispetto ai sedentari, in riferimento a: IGF-1 (insuline like growth factor - 1), DHEAS e triiodotironina (T3). Le concentrazioni di testosterone libero e di TSH non differivano nei due gruppi, ma gli uomini fisicamente più attivi avevano più bassi livelli di TSH rispetto ai più sedentari. Questo può significare che, se altri studi longitudinali lo confermeranno, la regolare partecipazione ad un training fisico, potrebbe rappresentare un utile alternativa alla terapia ormonale sostitutiva nell'uomo. (21)

In conclusione, sebbene oramai esistano molte evidenze che fanno considerare il sistema endocrino come il "pace-maker" dell'invecchiamento soprattutto nell'uomo, ad oggi un'indicazione della terapia sostitutiva ormonale maschile al di fuori di trials clinici non può ritenersi giustificata. (22)

E' infine doveroso fare un cenno su una sostanza la cui notorietà è indiscussa: la melatonina. (23). Se esiste un orologio biologico che governa il declino della produzione ormonale, la melatonina non può che esserne il miglior candidato. Questa è prodotta dalla ghiandola pineale, posta al centro del cervello, la quale riceve impulsi direttamente dagli occhi regolando lo stato di veglia o di sonno a seconda della luce. La melatonina infatti viene rilasciata a "getto" di notte per indurre il sonno. E' riconosciuta l'indicazione alla sua assunzione per alleviare il "jet-lag". E' inoltre ben documentato in letteratura che la produzione di melatonina decresce con l'età e che dopo i 60 anni molti individui ne producono meno della metà di quanta ne producevano a 20 anni. La melatonina si è dimostrata ancora un forte antiossidante (comportandosi da scavengers dei radicali liberi) e anticancro.

Infine alcuni studi condotti su cavie da parte di un famoso ricercatore italiano (dott. Walter Pierpaoli), hanno dimostrato come trapiantando la ghiandola pineale di un topo anziano in uno giovane, quest'ultimo presentava un precoce invecchiamento. E viceversa trapiantando la pineale di un giovane su un topo vecchio, si otteneva un ringiovanimento. Lo stesso ricercatore ha inoltre dimostrato che la supplementazione orale di melatonina provocava nelle cavie un allungamento della vita media del 25%.
Questi studi, per ovvie ragioni, non sono stati eseguiti sull'uomo, ma alte dosi di melatonina somministrate nella terapia del cancro mammario non hanno rivelato particolari effetti collaterali. Tuttavia sono necessari ulteriori studi che chiariscano completamente i meccanismi d'azione e gli eventuali effetti collaterali di questo interessante ormone per un trattamento a lungo termine nell'adulto e nell'anziano.

La nutrizione e la medicina anti-aging
Una strada che ha dato nell'animale da laboratorio esiti incoraggianti sull'antiaging è la restrizione calorica. Furono MvCay et al. nel 1935 (24) i primi ricercatori a dimostrare che, riducendo l'apporto di cibo nei ratti, si aveva un significativo aumento della longevità; questo risultato è stato confermato in seguito da numerosi studiosi in diversi laboratori, usando dei range di riduzione calorica da 10 a 70% in confronto all'apporto ad libitum. Questi studi dimostrarono l'associazione tra longevità e grado di restrizione calorica: meno calorie venivano consumate, maggiore era il ritardo del processo di invecchiamento (25).

E' importante segnalare che questa restrizione calorica è stata condotta senza malnutrizione: tutte le diete contenevano adeguati apporti di vitamine, minerali e nutrienti essenziali. Sotto tali condizioni, la restrizione calorica conduce a tre importanti conseguenze: 1) aumentata longevità; 2) diminuzione del declino funzionale; 3) Diminuzione dell'incidenza (e in qualche caso eliminazione) della patologia age-dependent. E, dato che questi tre effetti sono strettamente correlati alle caratteristiche fondamentali dell'invecchiamento, la restrizione calorica è decisamente associata al ritardo di tale processo.

La ricerca ha anche portato alla seguente conclusione: non è la restrizione di ogni singola componente dietetica (grassi, proteine, minerali e vitamine) bensì la riduzione dell'apporto calorico che ha effetto antiaging. (26)
Occorre però mettere in rilievo i limiti di tali studi: questi si basano su animali di laboratorio che hanno una vita breve, e vengono condotti durante il periodo di svezzamento, non della vita adulta. C'è poi da porsi una domanda: come è possibile applicare a lungo termine una restrizione calorica sull'uomo? Dovrebbe trattarsi di una dieta a durata infinita non certamente proponibile agli esseri umani.
Finora non è chiaro il meccanismo per cui la restrizione calorica provochi un ritardo nell'invecchiamento. Fra le ipotesi avanzate c'è il generale rallentamento del metabolismo che ha tra i suoi effetti la modulazione della produzione dei radicali liberi. Il danno da radicali liberi è implicato nella patogenesi di molte malattie. Il danno ossidativo al DNA può essere associato all'aumentare del rischio di cancro che si verifica con l'aumentare dell'età. (27)

L'eccesso di produzione dei radicali liberi può anche contribuire al danno tessutale nell'artrite reumatoide, nelle malattie infiammatorie del colon (incluso il M. di Crohn e la Colite Ulcerosa), nella cataratta, nella degenerazione maculare, nelle malattie neurodegenerative, e può essere uno dei maggiori fattori etiologici del processo d'invecchiamento. (27)

L'organismo ha un sistema di difesa anti-ossidativo per controllare il danno da radicali liberi. Questo include anche i nutrienti anti-ossidanti: l' a-tocoferolo, isomero della vitamina E, l'acido ascorbico (vitamina C). Il b-carotene e i flavonoidi hanno un'attività antiossidante in vitro, ma la loro importanza come antiossidanti in vivo è ancora sotto esame. Dato che i nutrienti come l'a-tocoferolo e l'acido ascorbico hanno attività antiossidante in vivo, è stato proposto che l'aumentato apporto di questi nutrienti mediante dieta o supplementi possa ridurre l'incidenza o ritardare l'insorgenza di malattie come le malattie cardiovascolari e il cancro. Il supplemento di vitamina E, in particolare, migliora l'immunità cellulo-mediata sia nei ratti che negli esseri umani. (28) Finora però non ci sono dati certi per raccomandare la vitamina E quale prevenzione dell'aterosclerosi. L'apporto di vit. E dai cibi (frutta, verdure, noci) è inversamente associato al rischio di malattie cardiovascolari in alcuni studi (29), ma non in altri (30). Nonostante ciò, il consumo di questi cibi deve essere incoraggiato per i numerosissimi nutrienti che essi contengono.

L'elevato apporto di b-carotene dietetico è stato associato ad una diminuzione degli eventi cardiaci in alcuni studi (30). Comunque i risultati dei trials clinici sono in genere negativi per cui non c'è alcuna giustificazione per raccomandare b-carotene ed altri carotenoidi per la prevenzione delle malattie cardiovascolari.
I flavonoidi, contenuti nel vino rosso, sono stati proposti essere una delle spiegazioni per il "paradosso francese" - la relativa bassa mortalità cardiovascolare in Francia malgrado un elevato apporto di grassi totali e saturi (31) - in parte dovuta alla loro attività antiossidante (32).
Comunque i dati sui flavonoidi e sulla vit. C e il rischio cardiovascolare sono in genere controversi, per cui sarebbe prematuro raccomandarne il supplemento per prevenire l'aterosclerosi.

Malgrado negli anni '80 gli studi promettessero un calo del rischio di cancro (soprattutto polmonare) in associazione all'assunzione di b-carotene dietetico, questi dati non sono stati successivamente confermati. Alcuni autori (27) hanno messo in risalto la correlazione tra basso apporto di frutta e verdure con il doppio di frequenza dei più comuni cancri, incluse le neoplasie maligne genitourinarie, gastrointestinali e polmonari. Recenti studi hanno dimostrato che una dieta ricca in frutta e verdura protegge anche contro la perossidazione lipidica in vivo (33) e l'ictus (34).
Fermo restando che le ricerche scientifiche continuano a studiare i nutrienti più importanti per combattere la battaglia dell'antinvecchiamento, possiamo però suggerire, nel frattempo, le linee guida per una alimentazione sana ed equilibrata, rilasciate dal Dipartimento dell'agricoltura U.S.A. nel 1992 (35).

Conclusioni
"Senectus ipsa morbus" - sosteneva Ippocrate; ma a quel tempo poche persone raggiungevano i 65 anni di età e, quelle poche non disponevano ancora di tutti i "vantaggi biologici" che la vita attuale presenta. Se per qualcuno oggi la senescenza rappresenta ancora una malattia di per se stessa, significa che la nostra società, che sta inesorabilmente invecchiando, entro la metà di questo secolo sarà quasi completamente allettata, per metà agonizzante e, in parte, già defunta!

Uno studio condotto su un vasto campione di soggetti di tutte le età ha rivelato che circa il 50% delle persone con età tra i 65 e i 69 anni hanno descritto gli anni in corso come i migliori della loro vita; così come il 44% delle persone tra i 70 e gli 80 anni e il 33% di quelle sopra gli 80 anni. La stessa indagine condotta 25 anni prima dava percentuali molto inferiori (32% tra i 65 e i 70), riflettendo i favorevoli cambiamenti della vita moderna in termini di qualità della vita stessa. Questo studio suggerisce che gli anziani del 2000 si considerano più sani e più felici rispetto agli anziani delle precedenti generazioni.(36)
Di fronte ad una società sempre più longeva e verosimilmente più sana, la considerazione di Ippocrate perde di valore e lascia il campo ad un nuovo concetto di senescenza che meglio si adatta alla situazione attuale.

Un prestigioso geriatra, il dottor Buttler, durante una recente tavola rotonda sull'anti-aging medicine (37), ha sostenuto che "i medici che curano i pazienti anziani praticano la medicina anti-aging quotidianamente nei loro ambulatori; per mantenere un paziente attivo e con una certa qualità di vita, non servono magici elisir ma invece un approccio olistico." Ha quindi suggerito quattro punti per vivere più a lungo e più felici:
1. favorire la salute fisica (dieta, esercizio, non fumare, moderato uso di alcool)
2. favorire l'uso di approcci non farmacologici fin dove è possibile
3. favorire una salute sociale (una rete di relazioni interpersonali e di amicizie)
4. avere del buon senso
Di risposta altri due colleghi, che partecipavano allo stesso dibattito - dottor Fossel e dottor Pan - hanno concluso sottolineando che l'anti-aging medicine è medicina. La popolazione di oggi presenta nuovi bisogni, e la classe medica ha il dovere di saperli affrontare. La conoscenza sui fenomeni che regolano le malattie e l'invecchiamento sta aumentando, insieme alla percezione di ciò di cui si necessita per invecchiare bene.

L'articolo, citato in principio (1), racconta l'esperienza di un ingegnere elettronico americano, in pensione, di 72 anni che da quando si è rivolto ad una clinica anti-aging, riferisce di aver acquistato più energia, più vitalità e vigore sessuale. Grazie ad un preciso protocollo antiaging, da sei mesi assume supplementi di DHEA e di testosterone. Come testimone degli attacchi terroristici, è scaturita in lui una ragione in più per ricercare un adeguato trattamento anti invecchiamento: è suo desiderio infatti migliorare l'elettronica, al fine di metterla a disposizione dell'esercito, nel tentativo di prevenire altre eventuali orrende catastrofi.
Per tornare infine ancora ad Ippocrate, si ribadisce che il credo della medicina sin dall'antichità è stato "Primum non nocere". Molti medici, per non violare questo dettato, si rifiutano di applicare i protocolli anti-aging finché non provvisti di studi a lungo termine in proposito. L'associazione della medicina anti-aging di New York ribatte che basta guardare al pericolo che i processi dell'invecchiamento portano in se, per iniziare a vedere il favorevole rapporto rischio/beneficio di queste nuove terapie sotto una nuova luce. (16)
Il dibattito resta aperto.


Bibliografia

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