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Study of an old Man's Profile - Galleria degli Uffizi - Firenze
La relazione di aiuto all'anziano
Incontro e dialogo
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di
Rita Farneti

Domani, e domani. Ancora e forse.
S'insinua lieve con piccolo passo
giorno dopo giorno
sino all'ultima sillaba del tempo segnato.

(liberamente tradotto dal Macbeth di W.Shakespeare)

PREMESSA INTRODUTTIVA La capacità di vivere la relazione d'aiuto con la persona anziana è strettamente collegata a ciò che si apprende e ,sperimentato, viene accolto ed integrato alla consapevolezza dell'esistenza. E' la disponibilità a sperimentare il motore che attiva un processo di crescita umana e professionale, perché l'esperienza di formazione stimola alla ridefinizione di abilità tecniche e competenze relazionali, nonché alla ricerca di una congruenza adeguante il grado delle conoscenze preesistenti.

In ogni "relazione umana di tipo terapeutico" che testimoni bisogno di aiuto e volontà di aiutare "le caratteristiche" dei soggetti coinvolti assumono un ruolo prioritario nel definire scopi ed obiettivi comuni . Il processo attraverso il quale si articola il lavoro di formazione alla relazione con la persona è sorretto da valenza psicologica ,poiché crea un potenziale setting di lavoro, nel quale assunti teorici ed aspetti terapeutici vengono a soddisfare la necessità di interrelazione reciproca.

Entrare in relazione con l'utente anziano significa essere in grado di cogliere e saper coniugare aspetti soggettivi (personali) ed aspetti oggettivi (professionali).Usualmente gli aspetti personali ( ad esempio ambizioni, fantasie, concetti ,bisogni, vissuti)vengono privilegiati in un lavoro a carattere psicologico, mentre gli aspetti professionali ( quali conoscenze, competenze ed abilità) risultano prevalere in un lavoro a carattere formativo, soprattutto in considerazione di una richiesta pressante a filtrare paradigmi teorici che una sorta di obsolescenza del sapere depriverebbe della valenza di significati.

Infatti il bisogno di una "nuova tecnologia di lavoro" ( ed anche la tecnologia stessa nel lavoro)tendono a rendere frammentario un " sistema di sapere" ,perché sottolineano nel ruolo dell' aggiornamento e della riqualificazione una funzione non più meramente contributoria , bensì strategica "per il presidio della qualità della risorsa umana".

Spesso la frattura fra livelli di sapere acquisito e qualità di sapere fungibile rende manifesta la prevalente convivenza di costellazioni tassonomiche( schemi concettuali nella valutazione delle patologie nell'anziano e dell'anziano) e mappe cognitive( interpretazioni legate alla condizione di invecchiamento), che assolvono alla funzione di tradurre vissuti positivi e negativi attribuibili alla persona che invecchia.

Percezioni e rappresentazioni personali nelle relazioni "con persone anziane" significative "nella vita di ciascuno" finiscono, poi, per assumere un ruolo protettivo avverso" ansie di morte, di inabilità ,di dipendenza, di impotenza" .Rappresentano per lo più i sentimenti denunciati verso gli utenti ed i sentimenti che s'intendono nutriti dagli utenti verso gli operatori. Gli operatori dei servizi sociali ed assistenziali avvertono frequentemente l'influenza dei processi (personali) di invecchiamento, dei processi di invecchiamento dei propri familiari e di quelli delle persone anziane con cui lavorano.

Dunque è ciò che provano a giocare un ruolo decisivo nel determinare la qualità nell'assistenza che intendono offrire, a prescindere dalle condizioni reali degli utenti: infatti " pregiudizi personali e familiari possono indurre a forme di presa in carico non corrette".

Lo stress professionale ,comunemente definito sindrome da burn-out, sembra maggiormente presente - o maggiormente denunciato - in operatori che abbiano tendenza a negligere, più o meno consapevolmente, il vissuto modulato dai processi controtransferali. Si tende a vivere una relazione a fisarmonica ,anche in forma inconsapevole. La tendenza ad ignorare nell'anziano necessità di intimità e riconsiderazione possono indurre ad un comportamento che individua nel processo di invecchiamento effetti per massima parte ascrivibili al rimodellamento biologico. La possibilità di offrire aiuto , non solo un trattamento garante di efficacia, si lega, invece, alla capacità di riconoscere nostri ed altrui sentimenti, perché il rapporto con l'utente anziano crea ed amplifica un luogo dell'incontro simbolico, continuamente risignificato dalla relazione nella rappresentazione della persona che invecchia.

Essere unici ed irripetibili rappresenta una verità, ma perché questa "espressione così nobile abbia un senso la società deve essere organizzata in modo tale che le persone possano continuare a crescere fino all'ultimo istante della loro vita".


SENTIRE E PENSARE LA PERSONA ANZIANA Nelle condizioni di lavoro strutturato , e soprattutto in quelle professioni chiamate di presa in carico, esiste la tendenza al burn-out, sindrome che Burisch ha valutato complessa ed " estremamente variegata ", stabilendone una più agevole descrizione " attraverso esempi pratici" rispetto ad una definizione esaustiva "mediante drastici modelli diagnostici". Il burn-out esprime più" di una metafora", perché include " alcuni fenomeni complessi, più o meno affini".

Usualmente la sintomatologia da burn-out s'intende comprensiva di tipologie" realmente diverse": già Fischer aveva operato una distinzione fra burnout (in senso stretto) e wearout (logoramento).La sindrome da burnout interesserebbe "individui che si creano da soli un eccesso di stress", mentre i sintomi da wearout sembrerebbero presenti in "soggetti passivi(..)che non sanno dire di no agli altri".

Se il locus of control è fuori, nel giudizio degli altri, la persona si considera vittima di eventi a sé esterni. Esiste, poi, una terza categoria ,i rustout( termine che traduce letteralmente arrostito), comprensiva di soggetti che, "per farsi compatire, si atteggiano a vittime dello stress e delle sconfitte ,senza in realtà aver mai dimostrato intraprendenza e valore".

Lo schema di una situazione trappola denuncia empasse al perseguimento di una meta ed incapacità ad individuare strategie opportune per la risoluzione del problema. Si struttura un conflitto fra attrazione e repulsione. Quando ,invece, la persona si percepisce invischiata in una situazione - che non riesce in alcun modo a modificare - si configura un conflitto tra repulsione e repulsione.

Spesso gli operatori dei servizi sanitari ed assistenziali dichiarano di percepire un disagio collegato a difficoltà ritenute, per lo più , non bypassabili.

La richiesta di un corso di formazione mostra il bisogno di ottimizzare una prestazione professionale, e ,spesso, traduce, più o meno linearmente e consapevolmente, il desiderio di migliorare relazioni in punti avvertiti conflittuali. Le richieste, non di rado ancorate alla necessità di informazioni in merito al funzionamento dei servizi ed alle relative procedure, rivelano ,in corso d'opera, e più chiaramente, quanto sia importante sentirsi meglio centrati all'interno della relazione con la persona, non solo con l'utente assistito.

Fare "ageism" significa privilegiare una particolare ottica attributiva, che della vecchiaia evidenzia in misura prioritaria " elementi e tratti negativi ".In questo modo miriamo, più o meno consapevolmente, a non "scalfire la nostra autostima e posizione nella vita da giovani" ed alimentiamo il bisogno di non essere attraversati da "malattia ,perdita di senso nella vita e morte".

In parallelo determinate aspettative ,presenti nel sistema sociale d'appartenenza e legate all'età biologica, vincolano ad una sorta di obbligo di congruenza con modelli normativi che accreditano coerenza al concetto di normalità . Il significato intrinseco all'invecchiare sottolinea complessivamente il livello di stabilità del "movimento attraverso il ciclo vitale", della " posizione all'interno della società" e dell' "interpretazione soggettiva dell'età biologica".

L'universo dell'anziano è "disomogeneo e polimorfo" , "percorso da inquietudine" , invoca presentabilità e rispetto sociale; anela a proteggere una propria dignità, ricamata in una sorta di fragile continuità.

E' possibile definire la vecchiaia? Lo schema di inquadramento concettuale, mutuato dalla scienza medica, sembra indulgere in un'interpretazione in chiave prettamente organicista :risulta più agevole , dunque, individuare ed assumere come uniche e tipiche " trasformazioni in chiave biologica". E' una modalità di ricognizione che volge lo sguardo alla malattia , e vede nell'interlocutore malato, per lo più, un assente giustificato dal ciclo produttivo.

Lo sguardo del medico sottrae" al corpo quell'ambivalenza simbolica che la malattia esalta, per collocarlo in quella bivalenza polare" nella quale viene a confermarsi una scissione fra normale e patologico; non è offerta attraverso la malattia una riflessione sulla vita ,solo "una riflessione sulla malattia" che, come entità clinica , possiede un "decorso", un "esito", mai un "senso".

Se è (meglio) valutabile la condizione di invecchiamento, la vecchiaia risulta di per sé "indefinibile". La condizione di invecchiamento si modula attraverso un "processo irreversibile" nel quale, anche "in assenza di malattie, si assiste al declino di funzioni vitali": effetti legati a malattie , incidenti, anche stress ecc. sono in grado di accelerarlo. Può l'invecchiamento sic et simpliciter accreditarsi come "processo di usura" dei vari sistemi ed organi? Una spiritosa nobildonna francese di 70 anni, alla domanda" Cosa è per lei la vecchiaia?", suggerì di formulare la domanda a qualcuno più anziano delle sue 70 primavere…Il Cardinale Lambertini era convinto assertore dell'adagio " Il cuore non invecchia mai, gli altri organi sì"…

La domanda se in realtà volgiamo lo sguardo al passato perché il futuro, che siamo in grado di rappresentarci, desta ansia e preoccupazione ,non mi sembra fuor di luogo…La durata media dell'esistenza umana si è straordinariamente allungata rispetto agli inizi del secolo scorso, tanto allungata da poterci immaginare sia fortunati consumatori di un numero sempre più consistente d'anni sia ,nello stesso istante, protagonisti non vitali dei medesimi. Lo slogan diffuso - dare più vita agli anni, non solo più anni alla vita - diventa, in qualche modo, promotore di una scommessa "possibile".

In passato la lunghezza nella vita umana "aveva rappresentato un fattore utile in termini evoluzionistici" ; infatti dagli anziani dipendeva "la trasmissione di informazioni ed esperienze che sarebbe stato assai vantaggioso ricostituire direttamente di generazione in generazione". Per l'antropologa Margaret Mead ,"nelle società preistoriche, durante carestie e periodi di siccità, la salvezza di tutti poteva essere assicurata dalla presenza di un vecchio ",in grado di rammentare un qualche luogo ove trovare cibo e acqua; la possibilità di attingere da quell'esperienza permetteva anche la risoluzione di problemi causati da calamità. Quindi "il carattere vitalunga potrebbe essere stato selezionato dall'esigenza di salvaguardia della specie, come altri fattori trasmessi geneticamente".

La psicologia sottolinea dell'invecchiamento la valenza di processo all'interno dello sviluppo individuale, costruito lungo tutto l'arco della vita. Poiché interessa e coinvolge il ciclo vitale della famiglia è "traiettoria costellata di eventi critici", che rendono necessario il ricorso a nuove abilità e sollecitano il passaggio a differenti assetti relazionali . Cambiamenti e trasformazioni sono la punteggiatura adeguante lo scandire della nostra esistenza, perché il processo di crescita è presente nell'intera esistenza e non contempla in assoluto "il primato(…) di un'età su un'altra". Ad ogni età (del vivere) corrisponde una sorta di "caleidoscopio di età funzionali e strutturali" (età mentale, età sociale, età legata a ruoli specifici): utilizzare la differente età biologica pura si rivela estremamente riduttivo e fuorviante.

L'esistenza di una crescente variabilità fra soggetti (con il passare degli anni) mette in risalto l'influenza che possono giocare " il moltiplicarsi ed il differenziarsi delle esperienze nel variare apprendimenti, stili di vita ed assetti relazionali". Soprattutto è evidenziata la plasticità individuale ,che titola il singolo potenzialmente in grado di sperimentare situazioni e condizioni di vita in grado di agevolare o rallentare le sue (personali) modificazioni cognitive e comportamentali. Acquista sempre più consenso la tesi che intende "anzianità e vecchiaia frutto di una produzione culturale rafforzata dal peso della scansione sociale del tempo e del ciclo dell'esistenza nell'ambito di strategie di vita e strutture di comportamento". Sembra avere ancora molta importanza l'equazione a doppio binario che include nella giovinezza la salute. Immagini dunque chiunque quanto possa essere desolante la perdita della giovinezza, perché perderla può significare anche perdere la salute.

Convincersi della possibilità di costruire un progetto di vita anche negli ultimi giorni di un autunno molto avanzato, che preannuncia i rigori e la lucida desolazione dell'inverno dello scontento, è condizione necessaria ,ma non sufficiente, per superare la solitudine, spesso denunciata dall'anziano come la sofferenza più lancinante .

Il nuovo si presenta in maniera generale, generica, generalizzante, come impegno forzato e forzante a recuperare "in un posto attivo" nella società "una sorta di identità compatibile". Il condizionamento dello stereotipo che interpreta il vecchio "inutile, asessuato ,malato ,isolato e solo" obbliga la persona che invecchia a mutuare comportamenti e stili di vita in continuo disequilibrio fra congruenza ipotetica ed alienazione manifesta.

Wertheimer sottolinea nell'anziano la percezione (subdola) di " una distanza tra il mondo reale , che" la persona consuma nel vivere "ed un mondo fantastico, nel quale" la persona che invecchia" continua ad evolvere anacronisticamente, senza riuscire a cogliere la matrice del primo , e sentendo paradossalmente concreto il secondo". Se per il giovane e per l'adulto maturo il vincolo di adesione ad un'immagine sociale adeguata impone il ripescaggio di forze propulsive per la "conquista dell'avvenire" ( e dunque il senso dell'essere si esprime nella capacità di poter abitare un'esistenza appieno significata) ,per l'anziano il senso di esistere nel tempo è spesso traducibile in una modalità iterativa - anche agita - "di ritiro da impegni ed evitamento al confronto con l'avvenire". Tutto ciò può anche leggersi come una sorta di decisione finalizzata al recupero di " misure di autoprotezione e di rallentamento".

L' eventuale "possibilità di proiettare su un avvenire incerto valori esistenziali ,offerti da una vita già vissuta e da esperienze già affrontate," rinforza maggiormente una fisiologica (forse anche specie specifica) resistenza al cambiamento. In questo senso una qualità della vita, coerente con alcuni criteri(livelli di autosufficienza ed autonomia), può rivelarsi incongruente con altri(qualità nel benessere psicofisico): prevale la percezione di un'esistenza "non soddisfacente". Per non incorrere nel rischio di perdite e frustrazioni la persona che invecchia "mobiliterà" capacità difensive non consce ,nel tentativo di contrastare "il pericolo di fratture nella trama del proprio vissuto di individuo". Spinto alla " deriva" dal tempo ,di cui legge e sembra patire "i segni devastanti", tenterà di "aggrapparsi al concreto", diventando il kofon prosopon di un'esistenza immancabilmente anacronistica "agli occhi altrui". In quest'ottica di permanenza si può leggere il rifiuto ad assumere la terminabilità come "idea regolativa" del vivere e l'aspirazione ad "una sospensione del passare del tempo".

In tema di assistenza alla persona anziana la consistenza di un modello organizzativo - Assistenza domiciliare integrata - dovrebbe permettere di negoziare fra le domande degli utenti e le risposte della struttura. E' un modulo pragmatico, ritenuto meglio adeguato ai bisogni del singolo ,perché in grado di coniugare necessità di corrispondenza ed obbligo di simmetria.

Nel management dei servizi sociali è continuamente messa in risalto una necessità a modulare " competenze a differenti livelli, distinguendo correttamente tra l'area delle conoscenze, ovvero dei sistemi di knowhow generali e specialistici, l'area delle effettive capacità connesse al ruolo( distinguendo tra capacità operative e capacità relazionali ed attribuendo a queste ultime un ruolo decisivo nell'identificazione della qualità manageriale) ed infine l'area delle qualità personali e professionali".

Alla figura dell'operatore volontario, invece, non viene facilmente attribuito e riconosciuto il possesso di uno specifico professionale ,usualmente accreditato ,invece, a figure legittimate dall'appartenenza ad ordini professionali. Il volontario si riconosce all'interno di un gruppo (associazione) che liberamente adotta regole deontologiche ,più o meno concordemente condivise; assembla in sé gli aspetti della figura che prende in carico in forma gratuita e, dunque, può diventare oggetto di identificazioni sia da parte dell'(utente) assistito sia da parte dei soggetti che con l'(utente)assistito interagiscono.

Questo può dare all'operatore volontario molto spazio, ma anche sminuire la significatività dei contributi offerti, rischi nei quali è facile incorrere per la dinamica(complessa) di proprie ed altrui aspettative.

L'identificazione rappresenta quel meccanismo ,non del tutto consapevole, col quale l'individuo cerca di "assumere altrui qualità, tratti e caratteristiche". Sostiene un processo che coincide con il nascere della nostra attività mentale : è ritenuto fondante e fondamentale per la salute della vita psichica. La personalità si costituisce (e si differenzia) attraverso una serie di identificazioni. Basti pensare come il bambino e la bambina , attraverso la relazione con i genitori, adottino modelli per dare vita alle parti di un loro mondo interno, personaggi in cerca di autore che troveranno ,nella dimensione adulta, regia più consona.

Attraverso il meccanismo dell'identificazione orchestriamo un processo di cambiamento finalizzato a trarre un appagamento personale. Ritengo tu sia bello, grande, ammirato, dotato, fortunato, potente, temibile…e quindi sarò come te .In questo modo nulla avrò da temere da te (ed ancor meno da me stesso).Se attraverso l'identificazione tendiamo a voler in nostro possesso gli aspetti (degli altri)che ci piacciono, è scontato che aspetti, in noi e negli altri sgraditi ( a queste condizioni non posso sentirti buono, sembra essere il ritornello di certe coppie..) , facciano fatica ad acquisire una qualche cittadinanza.

Quando ci si riferisce alla relazione tra persone si parla di identità: l'identità di una persona si costruisce "all'interno di relazioni emotivamente significative". La relazione è spazio di incontro e dialogo, " luogo emotivo e cognitivo" nel quale si struttura il modo di vedere se stessi ,gli altri e la realtà. Ci sono persone con forti disagi e gravi difficoltà ,non in grado di "differenziarsi dall'altro significativo" per conquistare uno spazio mentale autoriflessivo , garante in una rappresentazione di sé coesa e "solida". Si può supporre che nel processo di crescita non siano state soddisfatte "sequenze evolutive" vitali per la relazione con un altro da sé vissuto delimitato in pensieri, affetti e bisogni. Molto spesso l'altro si assimila a schermo sul quale "proiettare parti frammentate di sé", nelle quali potersi identificare, una sorta di copione stereotipato che impedisce cambiamenti.

La relazione significativa non è assimilabile ad "un'alleanza esplicita o ad una collaborazione tra persone integre nei loro intendimenti". E' un rapporto di comunicazione e riconoscimento, nutrito e garantito da "affettività, continuità e coerenza".

ABITARE LO SPAZIO DELLA VECCHIAIA La personalità rappresenta l'essenza irripetibile di ogni individuo , attraverso la quale ,con parole, mimica ed azioni , l'essere umano si manifesta all'altro .Esprime con flessibilità adeguante l'immagine che ognuno si costruisce riguardo a se stesso e che a se stesso rappresenta.

La psicogerontologia ha studiato dell'invecchiamento singoli processi e persone :ogni persona "mantiene una relativa stabilità nell'età adulta e va incontro nell'età senile a modificazioni" che interessano la sfera biologica, psicologica e sociale.

Si ritiene che la causa di un certo grado di modificazioni nell'organismo umano, "nel modo di essere persona nel mondo e nelle relazioni sociali", unica e diversa da tutte le altre, possa meglio cogliersi attraverso la ricostruzione della storia della persona stessa. Capire i problemi che presenta l'anziano ed essere in grado di prevedere eventuali condizioni di disadattamento permette di rafforzarne la disponibilità all'adattamento e facilita un riadattamento compatibile. Infatti è stato dimostrato come nel processo di invecchiamento "le persone continuano a differenziarsi l'una dall'altra se persistono le condizioni individuali e sociali perché ciascuna possa proseguire la realizzazione di se stessa". Quando in un gruppo di anziani si addiviene ad un'omologazione nel "comportamento e modo di pensare dei vari componenti" ,attenuandosi fino a scomparire "le differenze individuali", le persone risultano vittima di un "processo di sopraffazione e di condizionamento che, emarginandoli e coartandoli nella loro spontaneità, consente loro di sopravvivere come organismi, non di continuare a vivere come soggetti".

"L'elevatissima variabilità" che contraddistingue coetanei in età avanzata sembra confermare il paradosso a voler definire la psicologia del settantenne, dell'ottantenne, del novantenne. "Nell'età senile, le persone si differenziano non soltanto per le peculiarità che geneticamente le contraddistinguono, ma anche - e soprattutto - per la storia "che ciascuno ha vissuto e "per la situazione nella quale attualmente si trova". Risulta difficile definire, almeno da un punto di vista psicologico, l'invecchiamento un processo uniforme: occorre, invece, considerare e riconsiderare continuamente le increzioni soggettive che nel corso degli anni mettono in luce "caratteristiche" nello stile di vita ,in funzione anche di esperienze pregresse, di contingenti condizioni di salute e di ambienti nei quali le persone risultano complessivamente inserite.

La diversità nei due sessi appare significativa sia nell'accettare le modificazioni connesse all'invecchiamento, che le donne patiscono meno, sia nel riconoscere, a ridosso del pensionamento, alle funzioni di cura ed alla trasmissione di valori una valenza ancora valida. In entrambi i sessi si registrano notevoli differenze individuali in relazione "all'esistenza di un partner , alla vicinanza di figli e nipoti" (l'intimità a distanza), all'atteggiamento "dei giovani nei confronti degli anziani" ed a personali condizioni di salute e autosufficienza. Nell'uomo la percezione di un'immagine sociale diversa, enfatizzata dal nuovo ruolo di pensionato, incide, spesso , in negativo sul processo di invecchiamento delle funzioni biologiche e sulle relazioni.

"Il fattore culturale influisce in modo significativo sul rendimento psichico nell'età senile sostanzialmente attraverso le modalità di conservazione - da parte di chi dispone di una base culturale elevata - di un più alto livello di efficienza - specie per quanto riguarda le espressioni verbali e creative dell'intelligenza - e mantenimento di una più spiccata variabilità interindividuale. Il primo fatto conferma da un lato il ruolo positivo esercitato sul funzionamento mentale dal poter disporre di un materiale culturale ricco e stimolante, dall'altro, la tendenza a conservarsi più integralmente e più a lungo in età avanzata da parte delle attività maggiormente utilizzate negli anni precedenti: il secondo fatto sottolinea l'influenza esercitata dalla cultura nel favorire il realizzarsi delle potenzialità individuali e nell'ostacolare" un processo di omologazione "in termini di appiattimento verso il basso" nei livelli "di comportamento ".

In ambito di osservazione geriatrica il medico adotta un'ottica parziale ,isolando la malattia dalla persona malata e discostandosi da una visione (unitaria) che contempli il contatto con bagaglio culturale, assetto relazionale, convinzioni morali ed ideologiche dell'individuo. Questo complica il poter distinguere tra "patologia dell'invecchiamento, ed invecchiamento stesso". Il vissuto del paziente e la sua storia interagirebbero sulla sintomatologia, farebbero da volano ai sintomi, che si ha tendenza a valutare meri ed unici effetti del processo morboso. "Presso i primitivi che conoscevano il corpo e non l'organismo, la malattia aveva un significato sociale ,e come tale, era qualcosa che si poteva scambiare nel gruppo" . Pouillon n'afferma il " valore iniziatico" presso il popolo dei Dangaleat, ove," in segno di elezione", la malattia" non era vissuta individualmente, ma scambiata come tutte le cose, in quell'ordine simbolico che faceva di ogni evento una relazione sociale ricca di senso."

Frequentemente nella presa in carico di un utente anziano la struttura dei servizi sanitari ed assistenziali tenderebbe a patire di un imbrigliamento ,valutato come inevitabile dal suo stesso interno, e genericamente imputabile all'apparato burocratico : nel complesso ambirebbe offrire un'immagine di efficienza, ma sconterebbe gli effetti di una modalità organizzativa efficace solo per parti ,considerata la dichiarata complessità delle strategie negli interventi d'assistenza alla persona. Facilmente si alimenta nell'utente la convinzione di dialogare con un interlocutore poco flessibile ,che manifesta margini di risicata duttilità nel fronteggiare eventuali verifiche e riflessioni in corso d'opera. In qualche modo viene sottolineata la discrepanza fra erogazione dei servizi e gestione delle risorse.

Le organizzazioni dei servizi alla persona, "anziché porsi al servizio del cliente" sembrano in realtà costringere" il cliente a porsi al loro servizio(affrontando le inefficienze nella forma suprema delle lentezze e delle lungaggini nella fornitura del servizio; accettando di porsi in un situazione di impossibilità di dialogo e di lagnanza circa la qualità del servizio; attivando modalità di costituzione di processi organizzativi occulti, informali, paralleli nell'antiquata logica del baratto e della pressione personale; pagando in definitiva il doppio per qualche cosa che vale la metà)".

La selezione degli interventi alla persona non autosufficiente e non autonoma necessita di un modello organizzativo operativo a breve termine e funzionale a tutto campo. Permette di pensarci vecchi attraverso immagini di altri vecchi in forma meno desolata, non connotata da quella passività avvilente che fantasie di dipendenza ed angosce da separazione disegnano come invivibile.

Il corpo che supponiamo nostro da vecchi, con articolazioni poco flessibili ,ma ancora in grado di fare movimenti, con la memoria che ha deficit, eppure ancora soccorre, in presenza di organi meno brillanti , che pure assolvono, seppur in percentuale ridotta, ad una loro funzione, reincarna la faticosa e difficile opera di integrazione fra quanto non è più e quanto ancora può (e deve) bastare.

Il sentimento più rappresentato è il bisogno di essere garantito, seguito e rispettato ,mai abbandonato: la richiesta di miglioramento dei moduli organizzativi maschera anche il bisogno di non essere presi alla sprovvista, magari aspirando al possesso di un corpo immutabile. Il presente rischia di essere percepito poco attivo e ,per una sorta di compensazione, si cerca di rendere gli altri attivi ed attivanti, anche quando ci si ritrae dalla relazione. Se viene immediato convenire che in ognuno di noi la vecchiaia non va subita ma neppure usata come arma per insostenibili rivendicazioni ed ancor più sottili ricatti o mascherate manipolazioni, permane lo sconcerto quando si tratta di venire a patti con la gestione delle condizioni di vita che sembra contraddire la proprietà della vita.

Non ho cuore ,dicono i nostri vecchi, non ho risorse, non ho un futuro che posso sentire ancora mio ,nel quale potermi proiettare e pensare di esistere, tranne che pezzi del mio corpo che, curati, possono ridarmi una certezza (in percentuale) che sia ancora mio ed io possa abitarlo con la speranza realistica in una vita possibile.

La repentinità della morte nell'altro, la malattia cronica, anche invalidante, la patologia inguaribile, possono innescare reazioni di prevalente inquietudine, di paura, di ansia, di isolamento emotivo, perché la nostra inconscia e narcisistica parte onnipotente non ammette la possibilità di affrontare la spietatezza della morte e l'ineluttabilità nella nostra morte.

IL TEMPO DEL COMMIATO La cultura occidentale dimostra di non avere un buon rapporto con la morte ,perché l'omologa come nemica: tanto più la teme tanto maggiori ( e maggiormente sofisticati) sono gli espedienti razionali nel volerla combattere.

Usualmente operiamo distinzione fra una morte biologica, denunciata dalla fisiognomica del cadavere, una mia morte ed una tua morte.

Galimberti afferma che " nella sua generalità la morte è sottratta al simbolico per essere affidata allo sguardo clinico che, sezionando il cadavere, scopre la "verità" della malattia, e quindi della vita che nella malattia ha urtato quotidianamente. Non più degenerazione di un corpo, ma fondamento di un sapere, questo è diventata la morte dal giorno dopo in cui ,aprendo i cadaveri, la medicina ha costruito se stessa sotto il segno della difesa strenua della vita come valore assoluto che si oppone a quel negativo assoluto che è la morte".

In un sistema di comunicazione quale il linguaggio la parola morte è definita nella sua essenza come opponibile ed ostante quanto ritenuto vitale ed attivo; scatena senso di repulsione e paura, sia nelle vesti di "morte anonima" ,quella di colui con il quale non abbiamo costruito legami, sia nelle sembianze drammatiche di "morte violenta", perché spietatamente ci costringe alla separazione da quanto conosciamo fuori di noi ,togliendoci (al)la persona con cui abbiamo intessuto trame di affetto, amicizia, conoscenza e consuetudine.

Possiamo , nelle ombre sfuggevoli che costruisce il pensare, rappresentarci della nostra morte una sola qualità, "l'immanenza", ed insieme immaginarla nel divenire del tempo legata alla percezione di sentirci nel mondo?

Più frequentemente sperimentiamo davanti alla morte il sentirci sodales , perché ci percepiamo meglio "uniti" contro la morte che nella bellezza e problematicità della vita: la cultura occidentale avversa dell'incontro con la morte il significato dell'entrare a fare parte di un destino comune .Nel rituale dei sussurri, che scandiscono il commiato, si rinforza la segreta ed indicibile pretesa di osteggiare un pericolo che ci accomuna. Spesso ,in caso di catastrofi naturali( o indotte dall'uomo stesso),transitiamo nella percezione di morituri, rivendicando contemporaneamente il diritto a sentirci in attività di viventi.

La medicina considera la morte un problema biologico affrontabile, perché è possibile ricondurlo con linearità asettica alla distruzione o al degrado alterato di quelle strutture che, garanti di funzioni, rappresentano un substrato indicatore di funzionamento in un organismo. Per la scienza medica la necessità di combattere la malattia trova nell'istituto della cura l'avvallo ad una sfida augurata( e voluta) possibile, il guarire. Riconoscere nella morte il fallimento narcisistico implicito al guarire rende esplicitamente incongruente la relazione con il malato e fa avvertire di essere fuori bersaglio all'interno della relazione con la persona che sta morendo .La comunicazione tende a farsi improvvisamente intermittente, poi periferica e sfuggente, come se si cercasse di volgere lo sguardo in qualunque altra direzione tranne che negli occhi di chi sta lasciando la vita , o si prepara a farlo. E' un contatto che impatta in modo destrutturante con la realtà presente della nostra vita, non rappresenta solo il distacco da una persona .

I progressi delle conoscenze e le possibilità terapeutiche in medicina hanno portato ad una suddivisione dell'uomo in frammenti sempre più piccoli: medico ed operatore sanitario non riescono a dare alla morte in ospedale un significato in grado di integrarla in una visione filosofica. Difficilmente possono permettersi di tradurla in un'esperienza collettiva scandita e legittimata nel rito. Piuttosto esiste un rituale della morte che sempre più si diversifica dal rito dell'accompagnamento presente in altri popoli ed altre epoche.

E' sperimentata la consistenza di un binomio fallimentare, perché tanto più alto è il potenziale della strumentazione tecnologica nel prolungare la vita, tanto maggiore è il dolore che deriva dalla sconfitta delle tecnologie e dei presidi farmacologici .Così la rete dei rapporti fra medico, morente e familiari diventa una gabbia relazionale perché ognuno , mentre è alla ricerca della sua verità, combatte da solo contro l'angoscia.

Siamo molte volte davanti ad una paralisi della comunicazione, che viene rianimata da una frenesia tecnologizzata ,per sedare l'ansia, e riassettata in un' asetticità relazionale ,per contrastare il senso di impotenza.

Chi è destinato a morire è per lo più consapevole di ciò: a volte parlare con lui serve ad aiutarlo, perché lo libera e non falsa né interrompe il contatto con le sue paure.

Per chi ritiene l'emozione espressione di debolezza e la razionalità invece una forza ,parlare di morte significa dare voce alla paura di abbandonare e di essere abbandonato. Se i messaggi sono chiari, il morente comprende il senso della sua esperienza e riesce ad integrarla attraverso una sofferenza soffribile. Se i messaggi del morente sono accolti e compresi, è un'esperienza che libera chi lascia e chi deve accettare di essere lasciato. Esiste un modo sano e vero di morire, con dignità e consapevolezza ,perché un'accettazione della morte autentica mette la persona in condizione di sentire in modo più vero i significati della propria esistenza. Sono le cose del passato le prime ad essere rimpiante, poi è il mondo esterno a perdere d'interesse per il morente che, attraverso la sensazione del contrarsi del tempo, allontana cose e visi per potersene separare.

Se la vita non viene prolungata con mezzi artificiali e la famiglia del morente accetta di lasciarsi andare alle emozioni ( e di lasciare andare il proprio congiunto), la persona sarà aiutata a vivere la "sua esperienza di morte" con pacatezza ed in uno stato di vera accettazione .

Resta il dolore insopportabile in chi resta. Il lutto è una straordinaria e dolorosa risorsa perché rinsalda il legame con la persona scomparsa, attraverso un processo di comunione unico e particolare. E' come se la sagoma fredda del cadavere, nel momento in cui non trasmette più alcun segnale, attivasse in chi rimane processi culturali modulati nelle più diverse forme.

Lucidamente ne ha espresso il tormento Luigi Pirandello che al momento della morte della madre si trovava all'estero: "passarono dunque alcune ore tra la morte della madre ed il momento in cui il figlio n'apprese la notizia".

Pirandello pensò che fino al momento in cui "non aveva avuto la notizia della morte della madre, dentro di lui aveva continuato a pensarla viva. Comprese, dunque, che nella sua mente la madre poteva vivere indipendentemente dal fatto che vivesse veramente, perché lui poteva continuare a far vivere sua madre dentro se stesso anche se lei non c'era più. La morte della madre sanciva solo che lei(madre) non avrebbe più potuto pensare a lui(figlio) nella sua mente di madre". E concluse ,dunque, che lui era morto dentro sua madre.

Nel processo del lutto si spegne "l'immagine di noi negli altri" mentre prende vita dentro di noi , nella forma della rappresentazione," la presenza dei nostri cari morti". L'elaborazione del lutto rappresenta la capacità della nostra mente di vivificare la presenza di qualcuno fisicamente morto. Il rito funerario indiano ,in caso di morte di un'infante, obbligava la madre a seguirlo ed a bruciare col cadavere del bambino nella stessa catasta di legno. In qualche modo è mantenuta nel processo del lutto una simile analogia: noi partecipiamo " nelle fantasie inconsce " di quell'ardere e consumarci simbolico: soffriamo come se nella persona che muore morisse una parte di noi. La sofferenza nella quale ci sentiamo imprigionati esprime un riparare simbolico al dolore dell'altro dal nostro interno. Ci fa risentire il legame (e nel legame) e la fatica a rinunciarvi per la forma intangibile che ne dà il ricordo. La rabbia che si prova denuncia l'aggressione da parte di un nemico cattivo ed onnipotente , artefice vituperato della scomparsa di qualcuno a noi caro ,perché ci ha strappato qualcosa di nostro. Contro quel nemico , consapevolmente e non, indirizziamo sentimenti di odio e disperazione: in qualche modo sentiamo di affrontare un duello che sappiamo impossibile.

Pensare ed immaginare la morte mette dunque continuamente in discussione il nostro potere di vivi: è questo potere di vivi che vogliamo far coincidere con un potere sulla vita, intesa come quintessenza del vitale di cui a piacimento poter disporre, non costretti ad abdicare al bisogno di conservare senso al fluire dell'esistenza , senza risarcimenti e scorciatoie in grado di coltivare l'illusione in un qualche diritto da rivendicare.


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